martedì 30 novembre 2021

Collective (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Un documentario asciutto ed essenziale che segue per la maggior parte le vicende di un gruppo di giornalisti (di un quotidiano sportivo, e quelli non sportivi facevano le tre scimmiette?) intento a indagare su un caso di corruzione e frode in Romania, venuto a galla dopo un incendio in un locale durante un concerto. Molti giovani persero la vita nell'incendio ma allo stesso tempo tanti altri morirono in ospedale per la bassa qualità delle cure ricevute. Ma il documentario di Alexander Nanau (candidato come miglior documentario e miglior film internazionale ai premi Oscar 2021) si pone l'obiettivo di seguire anche la vicenda umana, stando dalla parte delle vittime di questo genocidio senza precedenti. Un film duro non tanto nelle immagini ma per (appunto) l'asciutta determinazione con cui racconta la diffusione del problema corruttivo in Romania e l'indifferenza verso di esso di buona parte della società, tra complicità e sottovalutazione. Asciutto anche nelle scelte narrative, tanto che un difetto lo si riscontra nell'avvicinarsi troppo al documentarismo. Documentarismo potente e quasi mai compromissorio (il che è anche un limite) in cui però qualche sotto-trama poteva trovare uno sviluppo adeguato. Interpretazioni valide, anche considerando che parte degli attori interpretano sè stessi. Più che discreto reportage di denuncia, incalzante e coinvolgente, un lavoro di grande qualità. Voto: 7

Every Breath You Take - Senza respiro (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Un buonissimo cast e un soggetto originale erano le premesse di una visione stimolante, e invece tutto si perde nei meandri di una storia piatta, senza grinta. Eppure il film meriterebbe di essere guardato, soprattutto nel caso in cui si vuol passare una serata rilassante, con un thriller psicologico che non mette ansia. È infatti un film che non indulge nella violenza oltre lo stretto necessario, e che crea la tensione e l'azione che servono senza spingersi troppo oltre. Qual è il limite di questo film? Il promettere (appunto) più di quanto riesca a mantenere. Vi sono, difatti, evidenti limiti di sceneggiatura. Tutta la narrazione si svolge sul doppio registro di ciò che appare rispetto a ciò che davvero è. Purtroppo, la costruzione del racconto e la psicologia dei personaggi non rende onore all'intuizione iniziale che avrebbe potuto portare il film (diretto comunque bene da Vaughn Stein) su binari assai coinvolgenti. I colpi di scena comunque ci sono, e alcune idee narrative sono anche piuttosto interessanti, ma il film nel suo complesso non colpisce come vorrebbe. Casey Affleck e Michelle Monaghan faticano ad emozionare lo spettatore, Sam Claflin riesce però a dare vita ad un villain sottilmente inquietante. Voto: 5+

Un divano a Tunisi (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Dramedy franco-tunisina, primo lungometraggio per Manele Labidi Labbé, che vuole descrivere vita e difficoltà lavorative di una psicoanalista a Tunisi, tra scetticismi, ostacoli burocratici e parenti invadenti. Una storia abbastanza semplice per come strutturata ma che non manca di affrontare dei temi interessanti e di una certa importanza, utili a delineare lo stato di diritto in Tunisia, senza essere troppo pressante e senza rinunciare a qualche sorriso. Quasi sempre brillante ma a tratti più serio, il film è infatti meno superficiale di quello che sembra, tuttavia non così coraggioso, sfugge via e risulta leggermente sopravvalutato. Diciamo che la protagonista, brava e a modo suo bellissima (è Goshifteh Farahani, per lei una piccola particina in La notte ha divorato il mondo, ad interpretarla), regge tutto il film. Un film seppur non del tutto convincente (con un finale di storia che non è riuscito a colpirmi), comunque grazioso e simpatico. Perché non tutto funziona nella sceneggiatura (talvolta incapace di rendere tangibili le emozioni, a tratti forzata nella sua leggerezza, con personaggi troppo fuori le righe), ma il risultato è interessante (fa inoltre piacere ascoltare tra le pieghe della colonna sonora due canzoni di Mina). Voto: 6

Rifkin's Festival (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - I film di Woody Allen sono (quasi) sempre meritevoli di visione ma questa volta il "maestro" sembra meno ispirato che in altre occasioni (meno che in Un giorno di pioggia a New York per esempio) tanto da ricorrere all'escamotage di realizzare sequenze "ispirate" a celebri film europei (citazioni per Fellini, Pasolini, Truffaut, Bunuel, Godard, Bergman, e qualcun altro che mi sarà sfuggito) forse per "corroborare" una sceneggiatura che pare esile e troppo ripetitiva, basata com'è su un personaggio che appare essere un alter ego del regista (nei panni di un anziano signore con un matrimonio in crisi e che si sogna sempre al centro di alcuni film che hanno segnato la sua vita). Una commedia votata al sentimentale, un po' nostalgica e decadente nei dialoghi, anche se non manca una corposa vena ironica, dal ritmo ragionato, ma forse troppo lineare nelle dinamiche che offrono pochi spunti davvero degni di nota. E tuttavia si guarda volentieri dall'inizio alla fine. Merito al cast (Elena Anaya, Louis Garrel, Gina Gershon, Wallace Shawn) che mi è sembrato abbastanza credibile. Voto: 5,5

Synchronic (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Due paramedici (Anthony Mackie e Jamie Dornan, che sinceramente una gran prova non offrono) si imbattono in persone morte o gravemente ferite dopo aver fatto uso di una nuova droga sintetica che provoca una alterazione della percezione temporale. Dopo un paio di film a basso costo piuttosto originali (V/H/S: Viral e Spring quelli da me visti), Justin Benson e Aaron Scott Moorhead affrontano per vie traverse un tema tra i più affascinanti della fantascienza con un risultato convincente solo a metà: la prima parte intriga ma si rivela essere solo un lungo preambolo, mentre la seconda, nonostante la bella resa dei "viaggi nel tempo" indotti dalla droga, risulta appesantita da troppe spiegazioni. Film gradevole ma sbilanciato. L'idea non era malvagia, ma lo sviluppo, allorché poco fluido (con tanto di dialoghi stucchevoli e prolissi), lo si aspettava decisamente migliore, nonché più compatto (sembrano due film in uno). Comunque vedibile senza grossi patemi, anche se non mi sembra un prodotto destinato ad essere ricordato a lungo. Voto: 5,5

Paradise Hills (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Colori sgargianti, cura visiva maniacale per questo Paradise Hills, centro immerso in un'isola avente lo scopo di rieducare ragazze dell'alta borghesia ad essere ad immagine della propria famiglia. Lo scopo quindi è spersonalizzare i soggetti sottoposti alla cura e renderli più inclini al conformismo. L'immagine è molto importante, l'apparenza domina ma è legato troppo al modello di riferimento, cioè Picnic ad Hanging Rock ma senza la forza ed il fascino misterioso del film di Peter Weir (o della serie omonima), come pure La fabbrica delle mogli di Bryan Forbes. Troppa forma e poco contenuto o almeno quest'ultimo poco solido rispetto all'impianto visivo. Il cast (prettamente femminile) non è male (le bellissime Emma Roberts, Eiza González e Milla Jovovich, più la brava Awkwafina), la regia debuttante (della Alice Waddington) non mostra grandi pecche, ma il ritmo della narrazione e la storia in sè mostrano poca fluidità e scarsa propensione al coinvolgimento vero e proprio. Si lascia vedere, ma rimangono poche tracce. Voto: 5,5

Tom & Jerry (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - La tecnica mista non giova particolarmente al duo inossidabile, celebri personaggi creati da William Hanna e Joseph Barbera, soprattutto a causa di una storia avulsa dal loro mondo abituale che ai bambini, in teoria i principali fruitori del film, dice molto poco (duo che, in un hotel di lusso americano, rovinano un matrimonio sontuoso pieno di animali animati in 2D, in un mondo reale). Nulla da eccepire a livello tecnico: l'ingente dispiego di mezzi si vede tutto, ma il tentativo di allargare il bacino di utenza diventa un'arma a doppio taglio e ci si diverte davvero solo quando sono i cartoni a farla da padroni. In questo senso, tutto è simpatico, molto carino, ma manca quel guizzo alla "Roger Rabbit", che ti dia anche solo una motivazione del perchè tutto questo avvenga (e la comparsata di Paolo Bonolis proprio non c'azzecca, sembra trovarsi lì e basta). Buona la prova della sexy protagonista (Chloë Grace Moretz, sempre deliziosa), poco più che anonimi gli altri (tra cui Michael Peña). Si fa guardare (questo filmetto diretto da Tim Story, già regista tra gli altri della duologia del "Poliziotto in prova"), ma per i nostalgici dei personaggi originali (tra questi anch'io) è una delusione. Voto: 5+

Locked Down (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Interamente ambientato e girato durante la pandemia e completamente integrato nella stessa, il nuovo film di Doug Liman (quello di Barry Seal per intenderci) è brillante nella sua lettura, non perfetto ma certamente più originale dell'italiano, prevedibilmente orrido, Lockdown. La protagonista del film è la sempre affascinante Anne Hathaway supportata dal bravo Chiwetel Ejiofor in una storia a metà fra la commedia romantica ed il sottogenere heist quasi interamente retta sul lavoro dei due attori. Il film funziona fin quando la pandemia detta i confini e le riflessioni sull'evento esterno che, mettendo in pausa la routine (altro confinamento), fa deperire le convinzioni sulla propria esistenza privata/lavorativa. Steven Knight (talentuso sceneggiatore che tuttavia con Serenity fece un buco nell'acqua) è abile nel vivacizzare le dinamiche con videochiamate, tormentoni, il mix di generi e aperture all'esterno (le poesie diegetiche declamate per strada). Funziona fin quando il regista è al servizio degli interpreti, degli estri della sceneggiatura in interni e non promuove troppo una commedia sin lì piacevolmente parca (grande Ben Kingsley). Con un titolo così evocativo e contingente, invece, gli autori ad un certo punto pretendono la sospensione d'incredulità con l'heist movie compiacente ed inverosimile. Nonostante ciò, ed anche se a tratti approssimata, opera gradevole. Voto: 6

Nomadland (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Realizzato quasi in forma di documentario, un interessante reportage sul "nomadismo" moderno, non privo tuttavia di suggestioni narrative legate alla vicenda del personaggio principale. Un ruolo che si adatta perfettamente all'ottima Frances McDormand, il cui personaggio compie una scelta apparentemente radicale ma in realtà naturale considerate le sue inclinazioni caratteriali. Il suo percorso, geografico e umano viene raccontato in modo lineare, senza grandi sussulti ma realisticamente in un film in cui il paesaggio, spesso aspro, diventa coprotagonista. Chloé Zhao riesce a imporsi nel panorama cinematografico internazionale (ha vinto l'Oscar per la migliore regia con questo film) non cambiando per nulla il suo lodevole stile di regia, riconoscibile ormai dal mix che fa di finzione e realismo documentaristico (esattamente come in The Rider, film ugualmente riuscito, forse più, anche a livello emozionale), e puntando tutto sul carisma e la bravura della McDormand, forse unica attrice in grado di reggere un ruolo così complesso oggi (e non gli si può dire niente, l'Oscar ci sta). Le ragioni del successo sono dovute alla comunque buona fattura del film (riuscito l'utilizzo di attori "presi dalla strada" cit.), che esplora una cultura già vista nel cinema americano ma sotto differenti punti di vista, e inquadrature in stile western. Alla buona riuscita contribuiscono fotografia e musiche. Un bel film, ma non assolutamente il miglior film, eppure a fronte delle sei candidature, il terzo Oscar eccolo lì, diciamo che qualche sbadiglio scappa. Voto: 7

L'ombra delle spie (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Un film di spionaggio classico (ambientato in un periodo di alta tensione come quello della crisi cubana del 1962) senza troppi fronzoli. Il film di Dominic Cooke, regista del sopravvalutato Chesil Beach, ci racconta infatti, in modo ben scandito e chiaro, una vicenda complessa, che nel film riesce a esplicitarsi senza eccessiva farraginosità. Non è certo un action ma si basa principalmente sui personaggi senza avere la profondità di un La Talpa tanto per fare un esempio. Però il soggetto, tratto da una storia vera (basato sulla vita della spia britannica Greville Wynne), non è niente male. Questa spia un po' improvvisata, ma efficace in questo ruolo per lui tutto nuovo che determina il suo modo di agire specialmente nel suo rapportarsi a livello umano, tanto da diventare amico del suo omologo russo. Proprio alla base di questo rapporto personale, contrariamente ad una normale spia lo spinge a rischiare oltre il dovuto, anche pagando un prezzo per questo. La presenza di Benedict Cumberbatch poi è una garanzia, in considerazione della sua profonda trasformazione fisica. Tutto per un film di spionaggio di stampo classico che, nonostante la continua sensazione di déjà vu, riesce a intrigare e intrattenere lo spettatore. Voto: 6,5

Magical Girl (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Un padre ama così tanto sua figlia che è pronto a commettere un crimine per esaudire il suo desiderio. Ma il suo errore apparentemente piccolo, porta a una reazione a catena e non c'è modo di fermarla. Pregevole lavoro che osserva l'ineluttabilità del destino e l'incapacità dell'uomo a governarlo, Magical Girl del regista spagnolo Carlos Vermut è opera seducente e dalla struttura narrativa originale. Un'opera misteriosa, che mescola magia, erotismo e psicopatologia, con qualche snodo narrativo poco credibile, ma affascinante e una volta tanto non scontata. Peccato che tutto questo non sia sufficiente a tenere alta l'attenzione per le due ore circa di durata. Lungo il percorso narrativo infatti, che intreccia, in un valzer di ricatti e sangue su piani temporali paralleli e sovrapposti, i destini di tre personaggi apparentemente lontani, si verifica una perdita e una dispersione graduale della suspense e della tensione che, unita a una costruzione altalenante del ritmo, a conti fatti finisce con l'indebolire il racconto e di riflesso la sua trasposizione (il suo "messaggio"). Gli attori sono anche bravi (in particolar modo Bárbara Lennie, vincitrice dell'unico Premio Goya a fronte di 7 nomination nel 2015, già vista in Contrattempo, Tutti lo sanno e Il regno) e il film, sotto l'aspetto puramente estetico, di Cinema, se la cava, ma non tutto funziona bene od impressiona positivamente (compreso il disturbante finale). Voto: 6

Appunti di un venditore di donne (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Film diviso in due parti. La prima, veramente riuscita, ambienta benissimo la vicenda nella Milano anni Ottanta, usa molto bene le maestranze a disposizione e costruisce un clima malinconico e amaro, molto adatto a un noir. La tavola sembra apparecchiata per una sorpresa, ma la seconda parte deraglia purtroppo in una storia sgangherata e senza molto senso, che pesca a piene mani nell'improbabile. Casting assortito alla bell'e meglio (c'è pure Libero De Rienzo, al suo ultimo film), un protagonista intollerabilmente monocorde (raramente si sono visti attori tanto legnosi come Mario Sgueglia) e un intreccio (tratto dall'omonimo romanzo di Giorgio Faletti) alla perenne ricerca del colpo di scena, in barba alla minima plausibilità dello sviluppo narrativo. E così tra agenti donna del Sisde con licenza d'uccidere, senatori con la pistola, brigatisti part time, la vicenda si sfascia sotto gli occhi dello spettatore illuso di aver trovato un noir italiano di livello. Un deciso passo indietro per Fabio Resinaro, co-regista del buonissimo Mine, che mette troppa carne al fuoco e non riesce ad impiattare la tavola come si deve. Peccato, l'idea di partenza avrebbe meritato una sorte migliore. Voto: 5

mercoledì 24 novembre 2021

L'isola di Giovanni (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e in seguito allo sgancio delle atomiche, l'isola giapponese di Shikotan viene occupata dall'esercito russo. Nonostante la situazione sia particolarmente drammatica (la convivenza praticamente forzata), due bambini, provenienti da contesti culturali e geografici molto differenti, diventano amici. Quello che viene dopo è la lotta che diventa molto più dura con il passare dei giorni e sopravvivere diventa una sfida. Questo anime quindi ripercorre quei drammatici accadimenti, così come era già stato fatto per Una tomba per le lucciole, attraverso gli occhi di un bambino, che assisterà al susseguirsi degli eventi (tragici) che segneranno in modo indelebile tutta la sua esistenza. Il film (diretto da Mizuho Nishikubo) può essere diviso in due parti: nella prima, nonostante l'invasione nemica, viene lanciato un messaggio di speranza sulla possibilità di convivenza fra due popoli diversi. Vediamo, infatti, bambini giapponesi cantare in russo e, per tutta risposta, bambini russi cantare in giapponese. Banale ma efficace. Nella seconda parte, invece, viene descritto l'orrore della deportazione e della separazione dai propri familiari. E' una parte molto intensa seppur caratterizzata da una serie di scelte che ho trovato molto inverosimili. Ma la scelta che mi ha lasciato più perplesso è quella inerente proprio al titolo ed ai suoi riferimenti letterari, Giovanni viene infatti da "Una notte sul treno della Via Lattea" di Kenji Miyazawa, racconto poetico che viene assorbito dal film stesso, facendolo diventare purtroppo per me, leggermente pedante. Nonostante ciò, oggettivamente un buon film, certamente istruttivo e sicuramente riuscito. Voto: 6,5

Mirai (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Per Mamoru Hosoda il tema della famiglia è molto importante, visto che già in altre occasioni è messa al centro dei suoi racconti. Questa volta viene evidenziata nel processo di crescita e nella consapevolezza di un bambino di 4 anni che vede il suo mondo cambiare con l'arrivo di una sorellina. Tra magia e realtà si snoda il racconto del regista giapponese, caricato di molta umanità e di sensazioni positive, perfettamente calibrato e dotato di una buonissima grafica che pur senza sensazionalismi evidenti riesce a rendere la storia fluida e interessante, incastrando le dinamiche famigliari con i "sogni" di un bambino che man mano vede il proprio ego mettersi da parte in favore di un'armonia comune. Il film, quindi, è un tentativo di rivisitazione del nucleo famigliare ai giorni nostri, sempre con un pizzico di elemento fantasy, ma senza esagerazioni, com'è tipico dei suoi film precedenti. Ovviamente, il suo pensiero è puramente soggettivo, e non è detto che a tutti può piacere com'è stata giostrata la visione della condizione famigliare, ma rimane sempre un film dalle buone morali e animazioni. Un film, che come tutti gli altri di Mamoru Hosoda (che ormai bisognerebbe considerare un grande), va visto, perché anche questo è bello, anzi, personalmente è il suo più bello, praticamente bellissimo. Mirai, l'ennesima (la più splendente) perla di un regista che veramente non riesce a sbagliare un colpo (molto bello La ragazza che saltava nel tempo, belli sia Summer Wars che The Boy and the Beast, non male Wolf Children). Un grande autore contemporaneo che grazie alle sue esperienze e nell'essere un prodigio nel campo dell'animazione, ci regala la sua opera più autobiografica. Sacrificando magari la spettacolarità del genere per una narrazione più intima, ma ugualmente (se non più) efficace. Mirai è piaciuto a tanti, tra cui ai signori dell'Oscar, che lo misero (prima volta in assoluto per un film d'animazione giapponese non prodotto dallo Studio Ghibli) nella cinquina del 2019, dove vinse Spiderman - Un nuovo universo, e anche questo ci sta. Mirai è il nome della sorellina del protagonista e in giapponese vuol dire futuro. Voto: 7,5

Penguin Highway (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - La durata appare oggettivamente eccessiva, soprattutto perchè il film prende una piega piuttosto surreale, manchevole di spiegazioni razionali, che perde di incisività facendo, conseguentemente, scivolare l'attenzione e il coinvolgimento verso il basso, non consentendo una godibilità della storia che per lunghi tratti appare indigesta (troppo ambiguo il rapporto tra i protagonisti). La grafica è buona, la prima parte della storia si segue bene e in maniera fluida, ma complessivamente il film di Hiroyasu Ishida, per quanto mi riguarda, manca di concretezza e di vero appeal, nonostante la fantasia e l'originalità che appaiono evidenti. Lo Studio Colorido, che trae ispirazione (anch'esso) da quello della Ghibli, debutta con questo prodotto a metà tra il surreale e la fantascienza, tratto da un racconto di Tomihiko Morimi che ha avuto grande successo di pubblico in Giappone. A mio parere un film non totalmente riuscito e non per tutti. Un racconto di formazione sicuramente apprezzabile ma sfortunatamente alquanto, e troppo, sbilanciato. Voto: 5,5

Modest Heroes (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Il primo capitolo della serie Ponoc Short Films Theatre raccoglie tre cortometraggi in tecnica mista (appunto) dello Studio Ponoc, uno studio di animazione giapponese in cui, qualche anno fa, sono convenuti alcuni animatori dello Studio Ghibli, e che ha già realizzato il lungometraggio Mary e il fiore della strega (2017). I corti animati che compongono questo progetto affrontano tutti argomenti diversi (due su tre sono fantasy), adottando differenti stili e toni. Il risultato finale è incerto, anzi, citando il titolo del progetto, modesto. Quel che mi ha lasciato più perplesso è l'inconsistenza della materia narrativa di ciascun corto. A questa considerazione fa leggermente eccezione il terzo corto, "Invisible" Man, forse il più centrato dal punto di vista delle suggestioni, sicuramente affascinante per la sua estetica, ma, comunque, incerto in alcuni passaggi del racconto. Il peggiore fra tutti mi è sembrato il primo, Kanini & Kanino, banale e ingenuo nella storia e nelle risoluzioni, sia narrative che grafico-estetiche. Life Ain't Gonna Lose è una storia di formazione carina (di un ragazzino allergico), ma innocua. Però, le riconosco il pregio di aver messo in scena con abbondanza di dettagli (il cibo!) vari aspetti della vita jappo. Punto a sfavore: rapporto madre-figlio e character design/cromatismi ricordano troppo (troppo) quelli di Ponyo di Miyazaki (e alcune soluzioni ricordano anche il mood estetico de La principessa splendente di Takahata). Insomma, lo Studio Ponoc merita attenzione, ma ha ampi margini di crescita. In particolare, mi auguro che si affranchi a sufficienza dagli standard dello Studio Ghibli, pur mantenendone la qualità formale. Voto: 5,5

Flavors of Youth (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Nato dalla collaborazione tra uno studio di animazione cinese e uno giapponese e realizzato tra tre registi, Flavors of Youth è un anime i cui tre episodi hanno in comune il sentimento di malinconia e rimpianto per il passato. I personaggi raccolgono spunti che li portano a pensare a fatti della loro infanzia che hanno indelebilmente segnato la propria vita. Realizzato con uno stile grafico suggestivo e una tecnica impeccabile, è un film molto maturo per la sottigliezza psicologica con cui sono rappresentati i personaggi. Anche se a volte la retorica è in agguato, il film è onesto e risveglia uno spontaneo sentimento di tenerezza verso la vita che scorre. C'è comunque da dire che non tutti gli episodi sono dello stesso livello. Il primo cortometraggio ha come filo conduttore il cibo, ed è dal mio punto di vista il cortometraggio più riuscito, è nostalgico e malinconico. Evoca nella mente sapori e momenti del passato che non torneranno mai più. Il secondo episodio, dal titolo "La piccola sfilata di moda", è il corto più debole a livello di sceneggiatura. Per quanto la storia sia piacevole, non riesce ad essere efficace ed evocativa come le altre due. Amore a Shangai, l'ultimo dei racconti, è una storia romantica e coinvolgente in cui i protagonisti sono legati dal filo rosso del destino. A tratti che ricorda alla lontana i film di Makoto Shinkai, 5 cm al secondo e il più recente Your name. I tre mediometraggi sono ben narrati e il tema del cambiamento è ben sviluppato. Nella fattispecie il cibo, la moda e la casa. I registi sono tutti e tre giovani al loro esordio e nel complesso hanno fatto un buon lavoro, complice un character design semplice ed efficace, delle buone animazioni e una colonna sonora coinvolgente. Voto: 6

Miss Hokusai (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Un'immersione nella Edo della prima metà del XIX secolo. Una storia di formazione personale e professionale tanto curata nei dettagli quanto densa di carica espressiva, e tuttavia fredda e compassata nel ritmo. La storia di O-ei, talentuosa figlia del più famoso Hokusai (personalmente sconosciuto pittore, ma uno dei principali artisti giapponesi dello stile ukiyo-e [mondo fluttuante]: genere di stampa artistica giapponese), che una propria via al di fuori dell'ombra del padre vorrebbe trovare. L'impostazione è quella di uno slice of life, quindi non esiste, sostanzialmente, una trama, anche se si possono suddividere i diversi episodi in due categorie: una parte riguarda il rapporto fra il pittore e i suoi discepoli e figlie, un'altra riguarda episodi soprannaturali legati al mondo della pittura tradizionale. Questi ultimi episodi sono quelli che maggiormente mi hanno interessato al film, ma anche la figura di O-nao, figlia cieca del pittore, è ben caratterizzata e interessante, più noiosi i vari discepoli che servono ad alleggerire complessivamente il film. Degna di nota (negativa) la musica: il rock è davvero inappropriato e avrei preferito una musica più contestuale. Insomma un film, diretto da Keiichi Hara, prodotto dallo studio Production I.G, tratto dal manga Sarusuberi di Hinako Sugiura, visivamente e concettualmente interessante, ma lento e non convincente del tutto. Voto: 6

Voglio mangiare il tuo pancreas (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Tenendo bene a mente Quel fantastico peggior anno della mia vita (o qualunque altro film dalle simil dinamiche, soprattutto finali), Shinichirō Ushijima combina il tema della malattia con lo shoujo (una categoria di manga e anime indirizzati principalmente a un pubblico femminile, a partire dalla tarda infanzia fino alla maggiore età) con stramboidi silenziosamente attratti l'un l'altro. Qualche eccesso nella caratterizzazione dei personaggi, ma si apprezzano i disegni eleganti e mai spocchiosi (animazione di buon livello anche se non esaltante, bella la spiegazione dello strano titolo) e la tenacia, tipicamente asiatica, nel percorrere le strade del sentimento e dell'emozione senza paura di esagerare. E infatti si esagera, ma con purezza, in maniera non programmatica. Riuscito il colpetto di scena, che non modifica la sostanza ma preserva il candore del personaggio coinvolto. Tratto dal romanzo omonimo di Yoru Sumino del 2014, da cui sono stati tratti anche un manga e un film live action, Voglio mangiare il tuo pancreas fa quindi, e decisamente il suo dovere, nonostante tutto. Perché sì, il film non ha un incipit originalissimo, ma riesce a rendersi interessante, poetico e coinvolgente quanto basta per mantenere in costante attenzione lo spettatore. Un buon film animato, da consigliare. Voto: 6,5

Weathering with You (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Un film discreto ma un po' deludente. Nonostante offra ottime animazioni, grafica e song molto appropriate (bellissime le animazioni che giocano tantissimo su queste luci riflesse dalle gocce d'acqua mentre il cielo rasserena, albe, cieli rareffatti, riflessi sulle nuvole, animazione del cielo fantastica, da favola), perde nella storia, che ho ritenuto poco interessante. Visto che è stato uno dei big del 2019, mi aspettavo molto meglio. Non basta la classica storia d'amore per rendere un film bello, a mio giudizio, avrei voluto vedere una storia più solida, realistica e uniforme. Troppe sono le ovvietà e i cliché che si vedono, troppi i luoghi comuni e l'uso del "già visto". Nel corso delle vicende troppe sono le domande lasciate senza risposta che ruotano attorno ai due personaggi, e un terribile senso di déjà-vu con la precedente pellicola di Makoto Shinkai che a lungo andare tende ad annoiare. Per il resto propone degli ottimi tratti sentimentali che arrivano emotivamente. Secondo me perde un po' di smalto nel finale, o forse mi sono perso qualcosa, visto che sembra un po' approssimativo, forse anche manchevole di incisività, fortemente desideroso di un happy end a tutti i costi. Ma questo è un anime ben costruito sui sentimenti, interessante visivamente e capace di coinvolgere facilmente, puntando tutto sull'intensità emozionale del racconto e della caratterizzazione dei personaggi. In questo senso resta un film delicato, condito di tanta tradizione giapponese. Ma siano lontani dallo stupore della visione di Your Name. Voto: 6+

In questo angolo di mondo (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Sunao Katabuchi si è formato con gli insegnamenti di Hayao Miyazaki e in questo suo film dimostra di saperli mettere in pratica, imbastendo una storia di forti emozioni. Emozioni che paradossalmente sembrano trattenuti, in quelle che sono le caratteristiche dei personaggi principali e che mostrano di come in tempo di guerra si possa mettere da parte la sofferenza e andare avanti con la forza di volontà, quasi come a isolarsi dalle paure e dai pericoli. In questo angolo di mondo (adattamento anime del manga Kono sekai no katasumi ni di Fumiyo Kōno) potrebbe trovare delle assonanze con Una tomba per le lucciole, ma il film di Katabuchi si focalizza, forse in maniera un po' prolissa, sulla vita di una giovane donna che deve affrontare cambiamenti improvvisi nella sua vita e imparare cose nuove, conoscere nuove realtà famigliari e deve fare i conti anche con un destino che la porta ad avere, e fare, scelte diverse da quelle per cui era portata. Un film graficamente discreto, come già accennato forse un po' lungo e non totalmente fluido in alcuni momenti, ma capace di coinvolgere e mantenere viva l'attenzione dello spettatore, portandolo a riflettere su quello che era la condizione della donna in Giappone e le conseguenze di un conflitto mondiale che non ha risparmiato nessuno. Un buon film d'animazione, che al netto dei pregi e dei difetti (la storia d'amore tra Suzu ed il suo sposo pur non essendo banale e mielosa è poco approfondita e soprattutto frettolosa), merita sicuramente la visione. Voto: 6,5

Japan Animation - Parte 2

Post pubblicato su Pietro Saba World il 24/11/2021 Qui - Dopo 11 lunghi mesi, dopo praticamente un intero anno (questo intenso 2021), finalmente si conclude, ma non termina affatto (dopotutto non ho visto tutto e/o il meglio, ancora tanti da scoprire), il mio viaggio all'interno dell'animazione giapponese, l'animazione oltre allo Studio Ghibli. Animazione giapponese che è abbastanza cambiata in quarant'anni (l'evoluzione c'è stata ed ancora c'è), e tuttavia spiegare nel dettaglio il cambiamento avvenuto è impresa proibitiva per me, per approfondimenti rivolgersi ad altri più ferrati e capaci, ma comunque è ovvio che proprio la Ghibli abbia fornito un contributo importante a tutto quel settore che nel tempo è divenuto vitale nel Sol Levante. Tra omaggi, citazioni e tanto altro, di tutto e di più, però è stato un percorso bello ed interessante. Un percorso di visione che mi ha quindi permesso di scoprire alcuni interessanti talenti ma soprattutto grandi maestri, prematuramente scomparsi decenni fa, è il caso di Satoshi Kon, o molti più recenti, è il caso di Makoto Shinkai e Mamoru Hosoda. E proprio da loro tre (di cui filmografia ho peraltro visto tutta, tranne il primo e l'ultimissimo di Hosoda) sono venute le più belle sorprese personalmente parlando, certo, non ho trovato quel gran capolavoro che mi aspettavo (anche se alcuni vicino ci sono andati), forse troppo affezionato alla Ghibli o decisamente troppi ne ho visti (ben 25, però adesso ne saranno addirittura 34), ma è stato ugualmente emozionante affrontarlo questo viaggio. Un viaggio/percorso cominciato con Perfect Blue (1997), Steamboy (2004), Lamù - Beautiful Dreamer (1984), Jin-Roh - Uomini e lupi (1999), Panda! Go, Panda! (1972), Metropolis (2001), Oltre le nuvole, il luogo promessoci (2004), La ragazza che saltava nel tempo (2006), proseguito con Mary e il fiore della strega (2017), Sword of the Stranger (2007), Millennium Actress (2001), 5 cm al secondo (2007), L'impero dei cadaveri (2015), Maquia (2018), Summer Wars (2009), Goshu il violoncellista (1982), Tekkonkinkreet - Soli contro tutti (2006), Una lettera per Momo (2011), Viaggio verso Agartha (2011), Tokyo Godfathers (2003), Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo (2012), Patema Inverted (2013), La forma della voce (2016), Il giardino delle parole (2013), Paprika - Sognando un sogno (2006) e conclusasi oggi con questi 9 film. Nove pellicole/anime pescate (proprio non riesco a smettere di inglobare tutto in uno) da diverse piattaforme streaming. Da VVVVID, Prime Video e TimVision direttamente, da Netflix non direttamente diciamo. Detto ciò, ecco com'è andato quest'ultimo viaggio.

sabato 20 novembre 2021

Pieces of a Woman (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Disgregazione di una coppia in seguito ad un drammatico parto che si conclude con la morte della neonata. Film che privilegia il doloroso punto di vista di una giovane madre interpretata con grande intensità da Vanessa Kirby (vincitrice della Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile a Venezia e candidata all'Oscar nella medesima categoria). Non meno rilevante la prova di Shia LaBeouf (nuovamente di livello la sua performance, soprattutto dopo Honey Boy, non tanto gli altri) nella parte di un marito incapace di comprendere fino in fondo l'emotività della compagna e quella (breve ma incisiva) della grande Ellen Burstyn. Le prove degli attori compensano qualche incertezza della sceneggiatura che passa dal dramma intimista a quello processuale forse in modo troppo schematico. Si poteva decisamente approfondire tutto meglio, senza concentrarsi su piani sequenza complicatissimi e simbolismi banali (i semini di mela). Resta nella mente il bellissimo piano sequenza iniziale, condito da un pathos eccellente che rende il tutto molto interessante. C'è anche l'indubbia capacità registica (dell'ungherese Kornél Mundruczó, al suo primo film in lingua inglese) di rendere appieno il calvario umano e psicologico di una donna "in pezzi", ma va anche detto che la storia e tutto ciò che le ruota attorno sono state viste moltissime volte. Bello, ma non affatto bellissimo. Voto: 6

Ma Rainey's Black Bottom (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Ciò che funziona come spettacolo teatrale non per forza si traduce in un ottimo film, un'affermata pièce non necessariamente può essere adattata con successo in un altrettanto lungometraggio e questo titolo ne è l'esempio. Viola Davis e lo scomparso Chadwick Boseman offrono due formidabili interpretazioni (specialmente la protagonista, lui è molto bravo ma quando entra in scena "Ma" tutto ciò che è le attorno scompare, è Viola a rubare lo show e dimostrare di avere il perfetto physique du role per il personaggio). Detto ciò, si salvano quasi solo le performance dei due attori. Il film (diretto da George C. Wolfe, che cose migliori in precedenza ha fatto, vedasi soprattutto Qualcosa di buono) è semplicemente noioso e poco coinvolgente, la storia poteva benissimo essere raccontata in un corto di 25-30 minuti, e il ritmo narrativo è sballato per me. Pesante per 80 minuti mentre il finale, la cosa di gran lunga più interessante e da approfondire, troppo frettoloso e poco curato. Precisamente: sono quattro eventi piuttosto importanti ma presentati in neanche 7 minuti di tempo sullo schermo per lasciar spazio ad estenuanti e poco originali monologhi sulla religione e il razzismo (per fortuna c'è un po' di bella musica blues). Da vedere? Solo per la grande Viola Davis e per l'ultima commovente prova di Chadwick Boseman. Nota finale, dopo aver visto questo "statico" film, la conferma che ingiustificati i 2 premi Oscar vinti, non solo perché concorrevano contro il Pinocchio di Matteo Garrone nettamente superiore, ma sinceramente ci sono pochissimi costumi, e il trucco? Come a voler premiare il film solo per il fatto di avere un cast di persone di colore, mah. Voto: 5

Over the Moon - Il fantastico mondo di Lunaria (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Produzione sino americana per questo film d'animazione distribuito da Netflix che parla di elaborazione del lutto, di piccoli e grandi delusioni famigliari ma anche di ritrovata serenità e maturità interiore. Nulla di particolare, ma forse la seconda parte della storia appare un po' troppo bambinesca sotto l'aspetto visivo, e le canzonette ogni due scene mettono decisamente alla prova la resistenza di chi non ama queste ingerenze (purtroppo molto spesso prerogativa di certi film animati). Il conflitto interiore della protagonista è risolto rapidamente senza creare empatia alcuna. Molto più interessanti sono le vicende del fratellino e il suo incontro con la Regina. Graficamente non eccezionale, c'è di meglio in giro, ma abbastanza colorato e movimentato per piacere un po' a tutti, però soprattutto a un pubblico giovane. Perché target o meno è comunque un buon lavoro, un lavoro candidato agli ultimi Oscar, diretto da John Kahrs e Glen Keane (quest'ultimo animatore proveniente dalla Disney, e si vede), e giustamente dedicato alla memoria della sceneggiatrice Audrey Wells (già sceneggiatrice de Il coraggio della verità - The Hate U Give, suo ultimo). Forse è stata messa troppa carne al fuoco, forse gli eventi si susseguono in modo troppo veloce e a volte citazionista ma Over the Moon è un film sufficientemente godibile e piacevole. Voto: 6

Elegia americana (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Storia (vera) anche bella e interessante (sceneggiato da Vanessa Taylor, il film è l'adattamento cinematografico dell'omonimo libro di memorie del 2016 di J. D. Vance) ma piena a tappo di retorica buonista, col classico americano medio che ce la fa nonostante tutto. Tante situazioni già viste, niente di nuovo. Non naufraga per le ottime prove della Amy Adams (nonostante un certo overacting) e soprattutto della Glenn Close, un vero mostro sacro della recitazione, che non per caso ha ricevuto l'ennesima (l'ottava a fronte di zero statuette) candidatura all'Oscar (questa volta come migliore attrice non protagonista). A tal proposito, quest'ultima molto somigliante all'originale, diciamo quindi giustificata la seconda candidatura ricevuta dal film, quella per miglior trucco e acconciatura. Del resto non si salva molto e (il grande) Ron Howard (ahimè) non piazza mai un colpo un pò ad effetto per migliorare un pochino una sceneggiatura appunto sincera ma troppo poco statica e povera. Delude lui (capace di ben altro e di molto superiore qualitativamente parlando), ma soprattutto questo film, troppo lungo, abbastanza prevedibile e con poco mordente per convincere abbastanza, o almeno il minimo indispensabile. Voto: 5,5

La tigre bianca (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Un amaro apologo sulla divisione in caste, basato su una sceneggiatura intelligente (una sceneggiatura non originale, e ci sta, candidata agli Oscar, si tratta infatti dell'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Aravind Adiga del 2008) che mette bene in evidenza l'immobilismo e le forti sperequazioni della società indiana. Sembra il classico racconto di lotta per la sopravvivenza e ascesa sociale nell'India mòrsa dalla povertà, ma questo anti-Millionaire va oltre, e affonda il coltello nella cancrena delle caste e nella corruzione, con cinismo, prima seducendo lo spettatore con i toni della commedia per poi inghiottirlo in un mondo tutto marcio dove nessuno si salva. In questo senso, magari non tutto può apparire coerente come caduta o ascesa del protagonista, ma ha il merito di rinunciare alle sequenze melodrammatiche o telefonate. Voce off, qualche lungaggine e qualche virata favolistica, sono riscattate dall'interpretazione del giovane Adarsh Gourav (nel suo primo ruolo da protagonista) e dalla cura scenografica, anche se un po' troppo patinata. Una storia tagliente, implacabile, universale, diretta da Ramin Bahrani (regista anche del film tv Fahrenheit 451), da non sottovalutare e possibilmente vedere. Voto: 6,5

The Midnight Sky (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - George Clooney porta sullo schermo il libro d'esordio, La distanza tra le stelle (Good Morning, Midnight), di una giovane autrice americana, Lily Brooks-Dalton. La storia, con lo sfondo dell'impianto fantascientifico, è una riflessione sulle fasi che precedono la fine dell'esistenza e sui bilanci di una vita intera, in cui rimpianti e rimorsi spesso sembrano prevalere sulle soddisfazioni vere. Il regista (non alle prime armi, e diligente mestierante, si ricordi Suburbicon) cerca di rendere il travaglio emotivo dei personaggi lavorando sui primi piani e sui giochi di ombre (non solo Augustin, ma anche gli astronauti di Aether che tornano a casa senza essere riusciti a comunicare con nessuno, ignari di quanto sta succedendo sulla Terra) e non rinuncia ad alcune sequenze spettacolari (quelle nello spazio a tratti ricordano quelle di Gravity), che gli sono valse addirittura una candidatura agli Oscar per gli effetti speciali, ma alla fine manca quella scintilla che renda il film veramente memorabile. Mancano, almeno in parte, tensione narrativa e coinvolgimento emotivo, ogni tanto però qualche emozione fa capolino, specie nel finale. Non male, ma neanche troppo bene. Opera comunque godibile e meritevole di visione. Voto: 6

Notizie dal mondo (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Uno dei padri di Jason Bourne, Paul Greengrass, che ne ha diretto anche l'ultimo capitolo (con il titolo dello stesso personaggio), dirige un film semplice nella sua linearità, ma non privo di contenuti, scegliendo un particolare momento della storia di un paese lacerato ancora nel profondo dalla guerra di secessione da poco terminata. Lettore delle notizie dal mondo, il capitano Kidd si imbatte in una bambina a cui hanno sterminato la famiglia e decide di riportarla a casa: non mancheranno gli imprevisti. Western contemporaneo che riprende alcuni temi tipici del genere e che si segnala per un andamento lento, introspettivo e placido, come quello di un fiume, ma che sa però comunque coinvolgere lo spettatore, facendolo empatizzare coi protagonisti e la loro sorte. Perdonabili alcune inverosimiglianze della sceneggiatura. Belle le prove di Tom Hanks (un perfetto uomo di mezza età con i suoi patemi e si trascina lungo tutto il film con la figura bonaria che da sempre lo contraddistingue) e della giovanissima Helena Zengel. Niente di originale (un film forse già visto fin troppe volte da Il Grinta a seguire) e di eccezionale (le due ore passano anche abbastanza velocemente e si può dire che non ci si annoia), ma un buon film, peraltro messo in scena con cura. Va da sè che in quest'ultimo caso, appaiono tuttavia esagerate le quattro candidature agli Oscar. Voto: 6+

Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Saga (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Divenuta ormai di culto, grazie alle sue esibizioni all'insegna del kitsch, la principale kermesse canora del Vecchio Continente riceve la consacrazione di una commedia americana, che un po' la prende (bonariamente) in giro in stile Zoolander, e un po' ne celebra i lustrini e gli eccessi (si riconoscono pure alcuni volti già noti della kermesse). Will Ferrell, diretto dal suo vecchio amico David Dobkin (già regista, tra gli altri, di 2 single a nozze), interpreta una commedia leggera, spassosa, colorata e persino punteggiata da un paio di belle canzoni (una tra l'altro, quella bellissima della finale della rassegna nel film, fu candidatura agli scorsi Oscar) e qualche battuta rapidamente entrata nell'immaginario collettivo (una su tutte: "Play Ja Ja Ding Dong!"). Niente di indimenticabile, intendiamoci, ma il filmetto funziona bene e raggiunge il suo minimale scopo di intrattenere piacevolmente, complice anche un buon cast (Rachel McAdams, Pierce Brosnan, Dan Stevens) che coadiuva lo strabordante (forse troppo?) protagonista. Voto: 6+

Mank (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Più che un biopic sul talento bruciato dall'alcol dello sceneggiatore anni '20 e '30, Herman Mankiewicz, o sulle origini del film considerato il capolavoro di sempre del Cinema mondiale (personalmente lo ritengo tale solo nella sua eccezione filmica), ossia Quarto potere (che per l'occasione non potevo non rivedere), questo film raffigura, nel bianco e nero tipico dell'epoca (una scelta stilistica obbligata e vincente), la Hollywood che fu. Quella pre-età dell'oro post-guerra mondiale, dei primi film con l'audio, delle prime stelle, quasi tutte provenienti dal teatro, ma anche del Cinema che viveva le difficoltà economica della Grande depressione, e che si faceva con pochi soldi ma tanto talento. In tal senso costumi, musiche ma soprattutto scenografia e fotografia (non stupisce che due degli Oscar vinti a fronte di 10 candidature vengono da lì) curate in modo maniacale, aiutano nell'immersione. Bello davvero, un buonissimo film quindi, tuttavia Mank è anche una pellicola autoreferenziale e ultra dialogica, parlata fino all'inverosimile, non esattamente il massimo. David Fincher va sempre apprezzato però, per il suo modo di mettersi in gioco con film ambiziosi, sebbene poi spesso non riesca a saltare l'asta che lui stesso ha piazzato molto in alto. Mank risulta alla fine molto, fin troppo dinamico per ciò che intende rappresentare. Forse anche un po' lungo, con frequenti divagazioni. Più che discreta l'interpretazione di Gary Oldman (che un'Oscar fortunatamente aveva in precedenza vinto prima della sua terza candidatura con questo film), forse l'aspetto più positivo insieme alla ricostruzione di un'epoca molto interessante dalla quale si può attingere spesso, per tutti gli spunti che offre in termini di personaggi sui generis, proprio come Mankiewicz, la cui vita è ben sintetizzata nella citazione finale. Nel complesso mi è piaciuto sì, ho apprezzato in particolar modo l'omaggio in termini cinematografici al film con e di Orson Welles, sia nel diegetico che nella forma, nel montaggio. Un lavoro certamente encomiabile, riuscito, come questo film. Voto: 7

Da 5 Bloods - Come fratelli (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Stavolta Spike Lee stecca, dopo la buonissima prova di Blackkklansman il regista americano tira fuori un film nobile nelle intenzioni ma estremamente pasticciato e confusionario (i fatti sono infatti troppo pompati e la questione che "la guerra non finisce mai" lascia il tempo che trova). Un film troppo grottesco e semplicistico per essere davvero interessante. Egli rende omaggio agli uomini di colore che hanno combattuto nel sud-est asiatico, ma la vicenda dei quattro reduci che tornano in Vietnam alla ricerca di un carico d'oro seppellito con il corpo di un quinto commilitone che era il loro leader, seppur intrigante è abbastanza inverosimile (qualche artificio fine a se stesso, il formato di ripresa, ed alcuni eccessi penalizzano abbastanza). Sono due ore e mezza non banali e con personaggi ben assortiti in cui però, nella prima parte, si potevano benissimo tagliare certi sfoghi o battute da allegra brigata spesso ripetitive. Quando inizia l'operazione recupero si erge la figura di Delroy Lindo, il nero con simpatie trumpiane (resto del cast così così), e il regista dà sfogo alla sua creatività che passa senza remore da sequenze drammatiche a sberleffi e situazioni paradossali. Troppa carne al fuoco ed il risultato è che quella che non bruciacchia rimane cruda (si salva solo la colonna sonora, peraltro candidata agli Oscar). Forse il peggior film (di quelli che ho visto, non tanti in verità) del regista. Voto: 5

Il processo ai Chicago 7 (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Aaron Sorkin (affermato sceneggiatore già vincitore di un Oscar e candidato con quest'ultimo film agli ultimi Premi) dirige (il suo secondo dopo Molly's Game) una pellicola sul processo che si svolse a Chicago dopo le contestazioni alla convention democratica del 1968. Un'opera al tempo stesso informativa (di un fatto poco noto ai più) e avvincente (basata su tempi e dialoghi serrati), e che si avvale di una sceneggiatura molto ben scritta (ovviamente dello stesso regista) e di un'ottima ricostruzione ambientale, con sequenze coinvolgenti (la ricostruzione degli scontri tra manifestanti e polizia), nonché di una prova eccellente di un cast corale nel quale si segnalano i calzanti Frank Langella e Mark Rylance, ma soprattutto un efficacissimo Sacha Baron Cohen (che con la sua vena ironica ma profonda riesce a far ridere ma allo stesso tempo riesce a fare strenua opposizione pacifica), quest'ultimo non a caso, come il lato puramente tecnico (montaggio e fotografia), ha ricevuto una candidatura agli ultimi Oscar, ma a fronte delle 6 complessive (comprese quella per il miglior film, che sicuramente ci stava, e migliore canzone, sinceramente niente di eccezionale) nessuna statuetta vinta (un po' dispiace). A proposito degli Oscar 2021, paradossale notare che uno dei personaggi in scena è proprio Fred Hampton, il leader delle "Black Panther" co-protagonista in Judas and the Black Messiah (interpretato da Daniel Kaluuya), che in questo The Trial of the Chicago 7 (è il turno di Kelvin Harrison Jr.) deve invece accomodarsi una fila dietro, anche se il suo ruolo non rimane certo secondario. In un film di denuncia perfetto per ricordarci che a volte la manipolazione della realtà è più subdola di quanto immaginiamo. Nulla di originale sia chiaro, ma gli americani son maestri nel girare questo tipo di pellicole. E così le due ore abbondanti di durata scorrono via veloci, coinvolgenti e divertenti senza che ci sia un solo attimo, ma davvero nemmeno uno, di pausa. Forse prevedibile (quando il processo ha una chiara matrice politica è ben chiaro come andrà a finire) e classico, ma gran bel film, peccato anche per le scivolate nella retorica che potevano essere risparmiate. Voto: 7+

La vita davanti a sé (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Una Sophia Loren convincente a più di 80 anni è la nota più lieta di questo film, un film, remake del film del 1977 "La Vita davanti a sè" (che a suo tempo vinse l'Oscar come miglior film straniero) tratto dall'omonimo romanzo francese "La Vie devant soi", che viene leggermente soffocato da una sceneggiatura un po' scontata in cui a tratti prevalgono noia e lentezza. Una sceneggiatura a cui manca quel guizzo che ci faccia entrare davvero nel dramma e nei suoi personaggi, una sceneggiatura che non possiede lo spessore necessario per donare carattere alla pellicola che, tolta l'interpretazione dei due protagonisti (e il conseguente rapporto intenso tuttavia riduttivo tra i due), non sembra possedere altre doti degne di nota. Il regista Edoardo Ponti (figlio della grande attrice) non riesce inoltre a creare la giusta atmosfera. Il film in effetti è un festival di banalità e già visto con il tentativo di redenzione di un giovane disadattato (senegalese) che viene allevato da una prostituta (ebrea) in pensione. Il film purtroppo mette sul tavolo tante (troppe, ci sta in mezzo di tutto) tematiche (la storia nel suo tentativo di essere multiculturale ed inclusiva, alla fine è un po' troppo sbrigativa e superficiale), ma poi punta principalmente sul sentimento, diventando un filmetto light di cui perfetta è la dimensione da piattaforma streaming, ossia Netflix (non a caso sa un po' di televisivo in alcuni passaggi). La canzone della Pausini (che non meritava la candidatura figuriamoci la vittoria dell'Oscar) ha sì un bel messaggio (nella sua ruffianeria), ma arriva inutilmente alla fine, quando ormai irricevibile è alle orecchie dello spettatore, nei migliori dei casi già addormentato. Non male, ma parecchio deludente. Voto: 5,5

martedì 9 novembre 2021

Run (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2021 Qui - Diretto dal giovane regista Aneesh Chaganty (già agli onori della cronaca per l'angosciante thriller Searching), Run racconta un rapporto madre figlia estremamente deviato attraverso gli stilemi del thriller psicologico. Questa madre amorevole e premurosa appare fin da subito troppo perfetta per non farci sentire puzza di bruciato, per cui quando emergono le magagne la sorpresa è relativa. Il thriller però funziona egregiamente, e raccontando una storia semplice ma efficace garantisce una tensione costante con alcuni picchi ansiogeni davvero elevati (detto in parole povere, è molto più horror questo thriller che molti horror, perlopiù recenti, etichettati come tali). Qualche particolare poteva essere approfondito meglio (alcune ingenuità nella sceneggiatura però sulle quali si può anche un po' sorvolare), ma l'epilogo beffardo coglie nel segno. Efficacissime le due protagoniste, e se la Kiera Allen (che disabile lo è davvero) si cala ammirevolmente nel ruolo, la Sarah Paulson mostra un notevole spessore psicologico. Run quindi è un buon film, un esempio (non raro fortunatamente) di come si può creare tensione con grande semplicità, che non deve ricorrere a forzati effetti spettacolari o Jumpscare gratuiti per spaventare. Voto: 6+

Il mostro della cripta (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2021 Qui - Uno spassoso e al tempo stesso inquietante viaggio nella provincia italiana, sostenuto da un cast di giovani talenti del nostro cinema e da un citazionismo spinto fino all'eccesso. Un buon film che, al netto di alcuni difetti nella recitazione (si salvano il simpatico Lillo, anche se risulta avulso dal contesto, e la Campana, nel complesso comunque recitano peggio i veterani, Calcagno e Caselli su tutti, dei giovani) o nella durata eccessiva della pellicola, riesce nel suo intento, ossia quello di divertire, vista la sua natura di commedia, andando però a tingere il tutto con alcune sfumature horror che si sposano alla perfezione con tutto l'impianto che Daniele Misischia (quello di The End, che mi manca) ha creato per il film. Per un film che diverte fino all'ultimo secondo e che riesce, sicuramente, a catturare l'attenzione dello spettatore. Ciò nonostante, Il mostro della cripta non è un film perfetto. L'operazione nostalgia non sempre è perfetta. Con un finale decisamente meno appassionante rispetto a tutto lo sviluppo della pellicola, esso svela il suo più grande difetto. Si tratta, comunque, di un prodotto che non ha alcuna intenzione di eccellere in ogni campo, se non nell'intrattenere il pubblico. Obbiettivo sufficientemente raggiunto. Voto: 6

Life in a Year (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2021 Qui - La bellissima (e qui coraggiosa) Cara Delevigne è stata la ragione per cui mi sono preso la briga di dare un'occhiata a questo film. La premessa iniziale suonava molto come Me and Earl and the Dying Girl (del 2015), ma era una nuova interpretazione. Certo, la storia non è originale, e il film, come la maggior parte di questi, è prevedibile in un certo senso, ma qualcosa di "nuovo" c'è, e comunque l'ho trovato piacevole. Una giovane coppia da diversi lati della pista si conosce e prova a fare funzionare il loro rapporto, contro il parere dei genitori (soprattutto di un genitore, padre di lui interpretato comunque diligentemente da Cuba Gooding Jr), contro ogni probabilità e anche contro il proprio dubbio iniziale. Troppi cliché abusati a parte, sono rimasto piacevolmente sorpreso da quanto mi sia piaciuto questo film, non tanto tuttavia, perché questo film diretto da Mitja Okorn, perfetto non è, la prima metà è un po' stupida e non proprio azzeccato è Jaden Smith. Epperò trasmette emozioni (molto interessanti le musiche), alla fine mi ha fatto piangere ed è stato nel complesso un bel film, un film comunque alquanto "peggiore" di tanti altri visti, anche ultimamente, compreso (soprattutto) Babyteeth. Voto: 6

A cena con il lupo: Werewolves Within (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2021 Qui - Non conosco il videogioco da cui è tratto perciò non so dire se il taglio grottesco, quasi demenziale, è qualcosa che appartiene già al prodotto Ubisoft o è una scelta voluta solo per il film. Comunque sia, sembra essere funzionale a una visione in disimpegno, dove l'implicazione "mannara" si fonde discretamente con l'alone di sospetto e complotto che attanaglia tutta la storia. Manca però qualche dettaglio in più, in quella che sembra una sceneggiatura poco interessata a fornire un quadro completo su fatti e personaggi ma che riesce comunque a imbastire un prodotto godibile e senza grosse incertezze. Tra i pregi la regia, di Josh Ruben, che riesce a ben bilanciare gli elementi horror con quelli da giallo, la location innevata, l'atmosfera inospitale e il buon affiatamento del cast (comprendente nomi noti e meno noti). Tra i difetti i dialoghi, che sono spesso stupidi, e le dinamiche davvero scontate. Anche gli effetti speciali e lo splatter non esprimono al massimo il potenziale di questo plot. Carino, ma poteva essere anche meglio, peccato. Voto: 6

Viaggio ai confini della Terra (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2021 Qui - Un biopic "normale" sul più grande esploratore del secolo scorso, il norvegese Roald Amundsen. Personaggio costruito sulla base di una personalità ossessionata dalla pura e semplice scoperta. Riuscire quindi a dare identità a quelle terre inesplorate e coprire in completo il mappamondo. Il film quindi prosegue su binari sicuri e consolidati a livello narrativo, con grande spazio dato all'uomo Amundsen, saldo al proprio comando e sicuro dei propri mezzi, quanto umano anche nei propri fallimenti. Un film che cerca di guardare Amundsen a 360 gradi, ma che sacrifica a mio parere le sue imprese. Lo spazio dedicato alla spedizione al Polo Sud, diventata una gara con l'inglese Scott, avrebbe meritato maggiore risalto e forse essere il fulcro dello stesso film, così è un biopic come tantissimi altri. L'epica è completamente assente, peccato, speravo in un bis dopo Kon-Tiki, un film ben migliore di questo, in cui c'è, uno dei due registi (Espen Sandberg) e il protagonista (Pål Sverre Hagen), del film norvegese candidato agli Oscar come miglior film straniero nel 2012. Voto: 6