Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2021 Qui - Non conosco il videogioco da cui è tratto perciò non so dire se il taglio grottesco, quasi demenziale, è qualcosa che appartiene già al prodotto Ubisoft o è una scelta voluta solo per il film. Comunque sia, sembra essere funzionale a una visione in disimpegno, dove l'implicazione "mannara" si fonde discretamente con l'alone di sospetto e complotto che attanaglia tutta la storia. Manca però qualche dettaglio in più, in quella che sembra una sceneggiatura poco interessata a fornire un quadro completo su fatti e personaggi ma che riesce comunque a imbastire un prodotto godibile e senza grosse incertezze. Tra i pregi la regia, di Josh Ruben, che riesce a ben bilanciare gli elementi horror con quelli da giallo, la location innevata, l'atmosfera inospitale e il buon affiatamento del cast (comprendente nomi noti e meno noti). Tra i difetti i dialoghi, che sono spesso stupidi, e le dinamiche davvero scontate. Anche gli effetti speciali e lo splatter non esprimono al massimo il potenziale di questo plot. Carino, ma poteva essere anche meglio, peccato. Voto: 6
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martedì 9 novembre 2021
martedì 24 novembre 2020
Joker (2019)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2020 Qui - Prediligere un certo cinema non vuol dire non apprezzare il resto, come nel caso dei cinecomic, preferisco la spettacolarità, l'azione e tutto, però impossibile non restare ammaliato da questa sorprendente opera di brutale cinismo e violenza del buon Todd Philips, che ci aveva abituati solo a commedie o innocui film d'azione. Per far ciò affida la parte del protagonista, un reietto della società con disturbi mentali, a uno splendido Joaquin Phoenix (che raramente sbaglia un colpo), non solo a suo agio, ma "immerso" totalmente nel ruolo, sia a livello fisico, che comportamentale, con quella risata isterica che riecheggia nelle nostre orecchie sin dalla prima volta che la possiamo ascoltare. È una prova monumentale, giustamente e meritatamente premiata con l'Oscar. Joker infatti, pellicola basata sull'omonimo personaggio dei fumetti DC Comics ma scollegata dal DC Extended Universe (e per fortuna direi), dipinge un ritratto disperato e irrecuperabile dell'eroe, anzi, in questo caso del cattivo per eccellenza, e in un modo mai sperimentato prima. Un modo che colpisce, convince, destinato a fare storia. Non si tratta, per fortuna, soltanto della discussa legittimazione artistica di un personaggio "da fumetto" che sganciandosi dai cinecomic (anche se le allusioni alla saga di Batman ci sono, qua e là) entra prepotentemente nel cinema d'autore, quanto piuttosto della potenza metaforica di cui la vicenda del clown triste riesce a farsi portatrice: attraverso la sua versione della storia, Todd Philips tira fuori il Joker dal ruolo limitante di antagonista, e scortandoci oltre la sottile linea che divide il bene dal male, ci rende partecipi di una tragedia umana di fronte alla quale è difficile restare indifferenti. Accompagnata da una risata strozzata e da una costruzione drammatica potentissima, la parabola di Arthur Fleck sa infatti essere in contemporanea una storia intensamente personale e tragicamente politica.
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lunedì 15 luglio 2019
God's Pocket (2014)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/05/2019 Qui
Tema e genere: Film drammatico indipendente, adattamento cinematografico del romanzo del 1983 Così si muore a God's Pocket scritto da Pete Dexter.
Trama: Quando il figliastro Leon rimane ucciso in un "incidente", Mickey cerca di seppellirne il corpo insieme alle cattive informazioni che si porta dietro. Poiché però la madre esige di conoscere la verità sull'accaduto, Mickey si ritrova a dover fare i conti con un corpo che non può seppellire, una moglie che non può placare e un debito che non può saldare.
Recensione: Ambientato in un immaginario quartiere di Philadelphia, il God's Pocket appunto, il film vorrebbe raccontare le vicende di una piccola comunità di personaggi, chi più chi meno sconfitti dalla vita. Il tono elegiaco è però contraddetto da stucchevoli iniezioni di grottesco e da esplosioni di follia e violenza che lasciano più perplessi che stupiti. L'intento di tenere insieme la frustrazione dei personaggi per il loro fallimento esistenziale, il depresso scenario post-industriale dei primi anni Ottanta e le malcelate ambizioni da black comedy, sarebbe stato difficile da conseguire anche, si pone, per i fratelli Coen al massimo splendore, nel caso di God's Pocket si sfiora in più frangenti la caricatura. Le tensioni sociali e razziali che stanno sullo sfondo dei drammi sopra cui si muove il film non riescono a coinvolgere, forse anche a causa del facile determinismo di fondo dello script. Quando il giornalista interpretato da Richard Jenkins s'innamora a prima vista e perdutamente della matronale Christina Hendricks, la sensazione è che il film possa prendere una strada differente, magari sciogliendosi in un romanticismo forse di maniera, ma almeno con la possibilità di sorprendere un po'. Così purtroppo non è, e tra sbiadite pennellate di humour nero e velleità di denuncia che non vanno a segno, God's Pocket non sa in nessuna maniera rendersi memorabile. Né a salvare il film dal fallimento arrivano l'impianto e le dinamiche di genere, in quanto la scelta del plot è quella di rimanere in mezzo al guado, in bilico fra più possibilità, con un finale che non inquieta come vorrebbe. E che lascia l'amaro in bocca per l'occasione perduta.
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sabato 13 luglio 2019
Suburbicon (2017)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/05/2019 Qui - L'America e le sue contraddizioni (di ieri e di oggi) sono al centro dell'ultima fatica di George Clooney. Regista di un prodotto interessante e ben strutturato, capace di attirare l'attenzione grazie ad una regia brillante (e non solo). Un film, Suburbicon, film del 2017 diretto dall'attore Premio Oscar, difficile da poter inquadrare in un genere ben definito (diffidate da coloro i quali lo presentano come una commedia), risultato di una commistione di stili ed eventi volti, sì ad intrattenere, ma principalmente a denunciare e far riflettere. Il che non sarebbe un problema se non fosse che il messaggio finale del film, non che sia poco interessante o trito il tema trattato (il problema dell'odio razziale è oramai, quasi, una costante della produzione cinematografia hollywoodiana), ma sembra come se l'intera proiezione sia volta unicamente all'analisi di tale "denuncia" (che arriva dopo 104 minuti di una trama lineare e, sostanzialmente semplice, con incastri facili da comprendere e che impediscono di identificare il tutto come un vero e proprio giallo, ma che si trascina con una calma apparente, al messaggio finale di denuncia), senza dare particolare risalto a tutte le sequenze intermedie, utili solo ad arrivare alla risoluzione finale. La mano dei Coen si percepisce come fonte ispiratrice del progetto, sono loro infatti gli sceneggiatori della pellicola, ma manca nella sostanza di una trama che di originale ha davvero poco, a partire appunto dal messaggio moralistico che pervade il film, ma anche dalla classicità dello script dei fratelli. Con l'unico guizzo dell'amicizia silenziosa, fatta di gesti, dei due bambini in teoria su fronti opposti. Suburbicon propone difatti una critica all'ipocrisia generalizzata della società americana degli anni '50 (e non solo) che tende a celare pulsioni violente e oscure, e in cui la speranza di un mondo finalmente tollerante è affidata ai gesti di un bambino. Un bambino che vive in una strana cittadina americana costruita interamente a tavolino, a misura di una perfetta famiglia bianca americana.
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