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martedì 30 aprile 2024

Mon Crime - La colpevole sono io (2023)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/04/2024 Qui - Una garbata commedia francese che diverte nonostante i suoi alti e bassi. La parte migliore è l'inizio, con le indagini dell'ispettore e le riflessioni di Fabrice Luchini, tutte orientate a identificare rapidamente un colpevole. Sfortunatamente, segue una fase meno coinvolgente (il processo e ciò che segue) che riprende vita con l'arrivo di Isabelle Huppert, la quale si diverte chiaramente a esagerare nel suo ruolo. La regia è adeguata, gli attori sono competenti e i titoli di coda molto piacevoli (senza contare i numerosi omaggi cinefili). In definitiva, è un'opera piacevole e cortese ma alquanto leggera, che si colloca tra le meno rilevanti del regista. François Ozon, partendo da un'opera teatrale già adattata per il cinema negli anni '30 e '40, crea una commedia intelligente, ma non irresistibile. Voto: 6+ [Sky]

martedì 27 febbraio 2024

The Whale (2022)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/02/2024 Qui - Il cinema di Darren Aronofsky è sempre stato coraggioso, bisogna riconoscerlo (e basterebbe vedere Madre!), anche se non sempre a mio parere è riuscito a sfornare film completamente risolti. Come già sperimentato in "The Wrestler" con The Whale ritorna sul tema dell'eccesso e della morte come punto d'arrivo e glorifica il suo interprete, un bravissimo e redivivo Brendan Fraser, su cui adagia l'intero peso di un film a tratti anche sgradevole. Ne esce un racconto abbastanza sincero nelle intenzioni ma che si fa ineluttabilmente ridondante nella sua ripetitività (due ore di film ambientate in una stanza non sono proprio uno scherzo) e sguaiato nel disegno del personaggio della figlia aggressiva (una Sadie Sink che sembra reinterpretare con più ardore ma senza sfaccettature apprezzabili la sua Max di Stranger Things). Alla fine i pregi superano i difetti ed il saldo è positivo, ma tolto l'encomiabile lavoro di Brendan Fraser (che al di là della trasformazione fisica operata dal make up, anch'esso premiato con l'Oscar, si rivela attore a tutto tondo) non vi è quasi nulla che mi farà ricordare questa pellicola (sarà che disdegno l'autocommiserazione e l'autodistruzione, proprio perché vivo una situazione quasi simile). Voto: 6,5 [Paramount Plus]

lunedì 31 luglio 2023

Macbeth (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2023 Qui - A pochi anni di distanza dal Macbeth di Justin Kurzel, una nuova trasposizione che mantiene anch'essa la fedeltà al testo/contesto, eppure quanta differenza, quante similitudini. Candidato agli Oscar nel 2022 in tre categorie, il primo film a cui i fratelli Coen non lavorano insieme, dirige il solo Joel, dà nuovamente importanza alla confezione, che per quanto superlativa, è osticamente tediosa. Stile asettico, rigoroso e mortifero, personalmente troppo. Più che un film un'opera teatrale in tutto e per tutto, e siccome sempre poco mi garba, difficoltà ho avuto. Ma ancora una volta, a tenere banco per tutta la visione, gli straordinari interpreti. Denzel Washington in particolare risulta inedito e convincente allo stesso tempo. Alla fine è comunque Shakespeare a trascinare. Voto: 6

mercoledì 30 novembre 2022

Malcolm & Marie (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2022 Qui - L'omissione di un doveroso ringraziamento pubblico scatena un'infinita schermaglia tra lui (John David Washington), regista afroamericano reduce dalla prima trionfale del suo ultimo film, e lei (Zendaya), splendida compagna ed ex attrice tossicodipendente. È una crisi di coppia, in verità, che parte da molto più lontano e che ha a che fare con due approcci idiosincratici alla realtà, all'arte, all'autenticità, all'identità sociale e razziale, al gioco dei ruoli di genere. Numerosi gli aspetti interessanti toccati da Sam Levinson, affogati però in una melassa verbale che spesso suona artefatta. Si evidenzia infatti una certa forzatura nell'evoluzione della storia, facendola cadere in alcuni momenti (pochi) nella noia. Elegante ma pressoché inutile il bianco e nero, commento musicale invece di prim'ordine, alla fine il primo film ad esser completato dopo lo scoppio della pandemia di COVID-19, riuscito a metà. Voto: 6

lunedì 28 febbraio 2022

Miss Julie (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/02/2022 Qui - Impossibile non salvare la bravura del cast (tre interpreti, Jessica Chastain, Colin Farrell e Samantha Morton, mica pizza e fichi), la caratterizzazione ambigua dei rispettivi personaggi e i costumi, mentre tutto il resto rimane avvolto in una nube di mistero: che senso ha portare avanti per due ore un'idea che, per quanto interessante, viene sviluppata con contenuti tanto esigui da poterne realizzare a stento un corto? Un alternarsi di desiderio, repulsione, verità, menzogna, sadismo, masochismo senza alcun filo logico, che lascia assolutamente staccati perché impossibile da comprendere nel turbinio confuso della loro schizofrenia galoppante. Dialoghi inutili che si protraggono all'infinito (secondo un'impostazione dannatamente teatrale, ma da copione) per giungere alla conclusione che servi o padroni si è nell'anima. Fallimentare, è quest'opera di Liv Ullmann (che quest'anno ritirerà l'Oscar alla carriera). Voto: 4,5

lunedì 31 gennaio 2022

Come pietra paziente (2012)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2022 Qui - In mezzo al conflitto afghano una donna veglia sul marito in coma e ne approfitta per dirgli tutte le cose che da vivo non poteva riferirgli. Basato essenzialmente sul dialogo (o meglio, monologo) e sull'interpretazione della Golshifteh Farahani, è una storia per certi versi struggente ma anche tediosa. Non si fa remore nel toccare temi scabrosi e induce a ulteriori riflessioni su un tema, quello della condizione della donna musulmana, già ampiamente dibattuto. Quel che nel film (diretto da Atiq Rahimi) ho trovato scostante è la scelta di un racconto in forma di alternativo Kammerspiel che, pur sempre ben tenuto, in più frangenti rischia il manierismo piuttosto che l'evidentemente ricercato effetto straniante. Io di solito ho forti reticenze per questo tipo di cinema, preferisco vedere piuttosto che sentire, ma in questo senso è anche un film potente nella sua direzione psicologica, un po' patinato (involontariamente) nella delicatezza del confronto tra amore e desiderio. Troppo "invitante" nel suo amaro contesto. A conti fatti riuscito però risaputo, e decisamente non per tutti. Voto: 6

The Father - Nulla è come sembra (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2022 Qui - Una rappresentazione della demenza senile di devastante potenza, interpretata da un Anthony Hopkins assolutamente da Oscar (poi prontamente vinto), supportato da un cast a sua volta di grande bravura (su tutti Olivia Colman, che non è un'attrice qualunque). Il merito del regista Florian Zeller (al suo esordio alla regia) è di far immedesimare lo spettatore nel degrado mentale del protagonista tramite continui stravolgimenti della narrazione e dei ruoli dei protagonisti, a simboleggiare il labirinto della malattia in cui progressivamente l'anziano non riesce più a districarsi (lo straniamento di Anthony è il nostro straniamento). La sensazione d'impotenza e solitudine, nonché la sofferenza dei familiari, sono rappresentati con grande empatia, realistico e commovente. Un drammone intenso, straziante e a tratti anche abbastanza duro da digerire. Inutile dire che la magnifica prova di Anthony Hopkins tiene in piedi totalmente da sola la storia (la sceneggiatura "teatrale", anch'essa vincitrice di un Oscar), una storia sì "banale" ma che ha il grande merito di farti comprendere il dramma di chi ci passa. Il dramma del perfetto alter ego "maschile" di Julianne Moore, protagonista in Still Alice di una problema similmente debilitante. Voto: 7,5

sabato 20 novembre 2021

Ma Rainey's Black Bottom (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2021 Qui - Ciò che funziona come spettacolo teatrale non per forza si traduce in un ottimo film, un'affermata pièce non necessariamente può essere adattata con successo in un altrettanto lungometraggio e questo titolo ne è l'esempio. Viola Davis e lo scomparso Chadwick Boseman offrono due formidabili interpretazioni (specialmente la protagonista, lui è molto bravo ma quando entra in scena "Ma" tutto ciò che è le attorno scompare, è Viola a rubare lo show e dimostrare di avere il perfetto physique du role per il personaggio). Detto ciò, si salvano quasi solo le performance dei due attori. Il film (diretto da George C. Wolfe, che cose migliori in precedenza ha fatto, vedasi soprattutto Qualcosa di buono) è semplicemente noioso e poco coinvolgente, la storia poteva benissimo essere raccontata in un corto di 25-30 minuti, e il ritmo narrativo è sballato per me. Pesante per 80 minuti mentre il finale, la cosa di gran lunga più interessante e da approfondire, troppo frettoloso e poco curato. Precisamente: sono quattro eventi piuttosto importanti ma presentati in neanche 7 minuti di tempo sullo schermo per lasciar spazio ad estenuanti e poco originali monologhi sulla religione e il razzismo (per fortuna c'è un po' di bella musica blues). Da vedere? Solo per la grande Viola Davis e per l'ultima commovente prova di Chadwick Boseman. Nota finale, dopo aver visto questo "statico" film, la conferma che ingiustificati i 2 premi Oscar vinti, non solo perché concorrevano contro il Pinocchio di Matteo Garrone nettamente superiore, ma sinceramente ci sono pochissimi costumi, e il trucco? Come a voler premiare il film solo per il fatto di avere un cast di persone di colore, mah. Voto: 5

giovedì 30 settembre 2021

Le sorelle Macaluso (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2021 Qui - Minato da una tragedia che riguarda una di loro, un gruppo di sorelle affronta con dolore il tempo che passa, in una casa sempre più gravata da astio e conflitti e nella quale l'amore fatica a farsi strada. Emma Dante adatta per il cinema una sua opera teatrale, reclutando un gruppo di brave attrici (tra cui Donatella Finocchiaro) che suppliscono con l'espressività ad una sceneggiatura che penalizza la storia a favore di un simbolismo eccessivo. Un arco temporale esteso dall'infanzia fino alla vecchiaia in cui si percorre la gamma psicologica di un matriarcato pieno di problemi e di contenziosi detti e non detti, che però non riescono a coinvolgere per la dispersività in troppi battibecchi ed appunto estetismi pseudo simbolici. Troppo l'indugiare nostalgico su oggetti e particolari, ma il nucleo del dramma resta nell'ombra. La stessa regia pare indugiare troppo o compiacersi più di una volta e questo impedisce al giudizio complessivo di prendere il volo come le colombe protagoniste del film. Di un film (presentato a Venezia) tecnicamente elegante, molto buona l'ambientazione che privilegia gli interni con qualche suggestiva "escursione" esterna, ma parzialmente affettato oltreché scontato. Voto: 5,5

lunedì 30 novembre 2020

Madeline's Madeline (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Questo è un film (ad opera della filmmaker and performance artist americana Josephine Decker, personalmente incontrata nella puntata 7 della seconda stagione di Room 104, dove era l'ideatrice, regista e protagonista della stessa) che è un insieme di tante tematiche, raccontate anche con una certa originalità, ma certamente non per tutti. E' un film che partendo da una protagonista psicologicamente fragile, finisce per intrecciare l'esperienza teatrale, luogo dove la sfera privata incontra il processo creativo dell'opera teatrale. Abbastanza complesso, ambizioso anche nella forma, non proprio nelle mie corde, ma il concetto di pura esperienza emotiva che in fondo è alla base di questo lavoro e che deve essere vissuto a livello emotivo, non è niente male. Dramma sì, ma c'è di che gioire. Fari puntati su Helena Howard: la sua prova attoriale è convincente. Mentre tra il resto del cast merita una menzione la "direttrice" Molly Parker e la madre iperprotettiva Miranda July, già protagonista/regista di The Future. Voto: 6

lunedì 27 maggio 2019

La stoffa dei sogni (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/06/2018 Qui - Un film "buffo" come lo sono certe commedie teatrali, questo è La stoffa dei sogni, film del 2016 diretto da Gianfranco Cabiddu e interpretato da Sergio Rubini e Ennio Fantastichini. Siamo di fronte, infatti, ad un film che fa del teatro la sua chiave di lettura nonché la sua chiave esecutiva. Non a caso la trama della pellicola, che è stata liberamente tratta dalla pièce L'arte della commedia di Eduardo De Filippo e dalla sua traduzione in napoletano de La tempesta di William Shakespeare, si svolge nelle realizzazione di un'opera teatrale da parte di una compagnia inedita, attori e criminali che si ritrovano per caso su un isola, quella dell'Asinara (isola carceraria nel mezzo del Mediterraneo dopo un naufragio). Tutti dovranno misurarsi in questa opera corale, e i criminali dovranno dare un'abile prova di se per non essere scoperti da un commissario amante del teatro. Ci sono difatti tutti gli ingredienti per un'opera buffa, che strappa sorrisi lievi (come la gestualità dello straordinario Rubini) ma soprattutto molte riflessioni sul senso del teatro come forma di riscatto, sul valore dell'integrazione, sull'amore per i figli (che sono tutti uguali, sia quelli del commissario che quelli dei criminali). Un film che sul finale ci riporta alla realtà, o meglio ad una realtà, perché giocando con il teatro, metafora della vita, si sfuma il confine tra reale e non reale e forse giudicheremmo le persone non solo per i loro sbagli. Una delle cose infatti più interessanti del film, non a caso la sceneggiatura ha vinto, a fronte di nove candidature, il David di Donatello nel 2017, è l'accostamento di queste due realtà teatrali con una commedia del grande inglese rielaborata in dialetto napoletano con accostamenti alla sceneggiata. Giacché il modo in cui le opere di Shakespeare e di Eduardo De Filippo vengono incorporate e fuse è brillante, gli autori riescono nell'intento di creare un adattamento libero e originale che rende comunque omaggio ad entrambe, senza confonderle o banalizzarle.

mercoledì 22 maggio 2019

È solo la fine del mondo (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/04/2018 Qui - Il teatro al cinema molto spesso non funziona. Ma attori bravissimi e un regista capace riescono nell'impresa a volte di renderlo piacevole. E' questo il caso di È solo la fine del mondo (Juste la fin du monde), sesto film del giovanissimo e prolifico regista canadese Xavier Dolan (con una ricca esperienza come attore, carriera iniziata da bambino: ma stavolta non recita come in altri suoi film), premiato al Festival di Cannes 2016 con il Gran Prix du Jury e trasposizione del testo omonimo del drammaturgo francese Jean-Luc Lagarce, morto di Aids a 38 anni. Questo film del 2016 infatti, dalla struttura prettamente teatrale (e nonostante la stessa che spesso non sopporto) è un film teso e ossessivo, che sembra guardare a grandi classici del passato pur aggiornandoli a temi e umori contemporanei, parecchio interessante. Anche se quest'ultima sua opera appare estremamente cupa e disperata, quasi senza speranza, dove il concetto di famiglia ne esce drammaticamente frantumato. Nel microcosmo rappresentato difatti, quello del classico figliol prodigo che ritorna a casa dopo dodici anni di assenza ma solo per comunicare alla famiglia (madre, fratello maggiore, sorella minore e cognata mai conosciuta prima) la sua imminente morte (ma senza riuscire tuttavia a dirglielo, anche perché questo è un film di sguardi e silenzi), la famiglia esce come un ambiente chiuso e oppressivo dove ci si ripete parole addosso senza capirsi e dove le buone intenzioni degli uni sono contraddette dalla distruttività di uno. Certo, il personaggio interpretato (bene, come sempre) da Vincent Cassel sembra soffrire di patologie tutte sue, che lo portano sempre sul punto di rottura, e tutti i personaggi sembrano preda di sentimenti "sovreccitati" anche quando non riescono a esprimerli. Ma al tempo stesso equivoci, nevrosi, rancori, segreti e limiti acquistano anche tratti di universalità: è facile farsi male, anche tra persone che si vogliono bene. Ne esce un film claustrofobico e forse "per pochi", oltre la cerchia dei cinefili.

lunedì 20 maggio 2019

Moonlight (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/04/2018 Qui - Anche se esageratamente acclamato dalla critica d'oltreoceano e in parte da quella internazionale (è addirittura tuttora considerato dalla critica cinematografica uno dei film migliori della storia), ho visto comunque Moonlight, il film vincitore di 3 Oscar nella scorsa edizione. Comunque perché ero davvero dubbioso di come, e mai come questa volta, le aspettative alte potessero scontrarsi, date le promesse, con la realtà, una deludente realtà. Moonlight è infatti un film del 2016 "solamente" discreto scambiato per un quasi capolavoro da molti critici (professionisti), e l'esagerato numero di candidature agli Oscar più che un reale apprezzamento nei confronti del film appare più che altro come il tentativo da parte dei soci dell'Academy di smarcarsi dalle accuse di scarsa rappresentanza di minoranze etniche all'interno della cerimonia che gli avevano colpiti durante le precedenti edizioni. L'effetto di ciò è che un film non particolarmente eclatante come quest'opera seconda di Barry Jenkins, regista che per fortuna è riuscito (grazie al suo contributo in fase di sceneggiatura) a non fare sentire troppo la base originale dell'opera teatrale di cui è tratto, ovvero In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney (giacché le impostazioni teatrali molto spesso mi annoiano), ha finito per ottenere una visibilità e un riconoscimento che probabilmente non si meritava. Non fosse per il fatto che è narrata dal punto di vista di una comunità di emarginati, la storia è una di quelle che si sono già viste un centinaio, un migliaio di volte (quella del protagonista Chiron cresciuto in un sobborgo di Miami dove povertà, droga, crimine e mancanza di affetto sono le sfide quotidiane che deve affrontare, unite alla scoperta della propria omosessualità). E Moonlight è un film estremamente semplice, fin troppo talvolta, fino ad arrivare a sfiorare il semplicismo, che non è mai una cosa raccomandabile in questi casi. Non succede molto di realmente stimolante o che porti effettivamente a riflettere circa le tematiche trattate.

domenica 28 aprile 2019

7 Minuti (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/01/2019 Qui - Tratto dall'omonimo testo teatrale di Stefano Massini (che ne ha scritto insieme al regista Michele Placido anche la sceneggiatura della versione cinematografica) e rifacendosi ad un fatto realmente accaduto in una fabbrica dell'Oltralpe, 7 Minuti (2016), racconta uno spietato aspetto della realtà concernente il mondo del lavoro e, più precisamente, quello, della fabbrica. Nel film infatti, di denuncia e girato quasi interamente in una stanza di una fabbrica, si assiste ad un gioco al massacro tra vecchie e nuove generazioni, diverse etnie che rivendicano ognuna le proprie ragioni per accettare o rifiutare l'accordo che una società propone all'intero cast femminile del film (che vede interpreti neofiti e di lunga data tutte egualmente brave, tra cui Ambra AngioliniCristiana CapotondiFiorella MannoiaViolante Placido e Clémence Poésy). Un accordo, quello di rinunciare a sette minuti della loro pausa, che facile da accettare proprio non è, perché se singolarmente significa poco, ma moltiplicato per tanti sono numeri ragguardevoli. In fondo è vero, cosa sono sette minuti con la sicurezza di un posto di lavoro sicuro, magari malpagato però con una certezza che ti porta in qualche modo ad andare avanti ed in tempi di crisi economica non è cosa da poco.

martedì 2 aprile 2019

Barriere (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/10/2017 Qui - Valutare un film come Barriere non è affatto facile. Quello di Denzel Washington, alla sua terza regia dopo Antwone Fisher (2002) e The Great Debaters: Il potere della parola (2007) e qui nelle vesti di attore e regista, è un lavoro, l'adattamento cinematografico (del 2016) dell'opera teatrale del 1983 Fences di August Wilson (accreditato come sceneggiatore del film nonostante sia morto nel 2005) e vincitrice del premio Pulitzer per la drammaturgia, che nella sostanza rimane prigioniero della sua impostazione teatrale soprattutto nella regia che concede molto poco, come poche sono l'escursioni all'esterno delle quattro mura di casa e del cortiletto posteriore, piccoli palcoscenici dove si sviluppano e si sviscerano in un profluvio di parole, le vicende ed i caratteri dei personaggi. E non amando molto le impostazioni teatrali l'ho trovato molto spesso noioso, causa anche la durata forse eccessiva che appesantisce la visione. Perché se Steve JobsCarnage o Birdman, avevano nel loro manico la storia avvincente, l'intrigo e il coinvolgimento, qui niente di tutto ciò. D'altronde anche se Barriere è un film intenso, molto parlato e ben recitato (che offre in ogni caso bei momenti e buoni spunti) è irrimediabilmente teatrale. E non si capisce quindi come abbia fatto a meritarsi la candidatura all'Oscar, e non si spiega neanche come Viola Davis abbia fatto a vincere l'Oscar come migliore attrice non protagonista, non perché lei non è brava, anzi, è un'ottima interprete ma il ruolo non mi è sembrato un ruolo tale da meritare un simile riconoscimento. Certo, ci sono scene emotivamente struggenti impreziosite dalla bravura degli attori (giacché certamente Washington e la Davis fanno la parte del leone), ma come detto prima è un film prigioniero della sua stessa struttura teatrale nella verbosità e nella ridondanza dei dialoghi. Barriere difatti si muove fra il sublime ed il noioso allo stesso tempo, e l'unico motivo di interesse diventa il tema.

lunedì 11 marzo 2019

Dobbiamo parlare (2015)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2017 Qui - DOBBIAMO PARLARE (Commedia Italia 2015): Scialba e goffa imitazione di Carnage di Roman Polanski, questo film di Sergio Rubini, regista ed attore che in ogni caso mi piace tanto essendo mio conterraneo, proprio non funziona. La storia è semplice, due coppie che scoperti gli altarini di tutti ne diranno di cotte e di crude, ma il risultato è grottesco, non tanto nell'aver caricato eccessivamente in negativo i difetti di ambedue le coppie ed esagerato su alcune situazioni o alcuni comportamenti, quanto nel fatto che in una sola serata si finisce per rinfacciarsi l'impossibile ed il cinismo sembra avere il sopravvento su tutti gli altri sentimenti, anche quelli buoni. Certo, gli attori hanno indubbie capacità recitative, ma per colpa di troppe forzature, risulta mediocre la prova di Isabella Ragonese, non sufficientemente brillante quella di Fabrizio Bentivoglio e solo appena sufficiente quella di Maria Pia Calzone. E anche se i film basati principalmente sui dialoghi fa sempre piacere poterli gustare, questo si può tranquillamente non vedere. Poiché i contenuti sono scarni, triti e ritriti ma soprattutto, nonostante si lasci seguire fino alla fine perlomeno per vedere come andrà a finire, ha un finale poco comprensibile e la resa complessiva è davvero poca cosa. Si poteva fare di più. Voto: 5

venerdì 9 novembre 2018

Il nome del figlio (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/01/2016 QuiIl nome del figlio (2015) non è la versione italiana della commedia francese Cena tra amici, infatti i due film usciti a distanza di tre anni, condividono soltanto il punto di partenza letterario, Le prénom, una pièce teatrale. Il nome di un bimbo in arrivo, annunciato durante una cena, è l'avvio e la bomba che esplode una dopo l'altra le maschere sociali dei commensali. A cambiare sono il salotto, convertito letteralmente e antropologicamente in italiano, e naturalmente il nome, ispirato dalla nostra letteratura e dalla nostra Storia (da Adolf a Benito). Paolo Pontecorvo, agente immobiliare con la battuta pronta e il vizio della beffa, e Simona, aspirante scrittrice di periferia col vizio della gaffe, aspettano un bambino. In occasione di una cena, che raccoglie intorno al tavolo i futuri zii e la futura zia, Paolo comunica con enfasi e convinzione il nome scelto per il nascituro. La famiglia, composta da professori universitari, insegnanti e musicisti allineati a sinistra, non reagisce bene davanti a quel nome, un nome 'inquadrato' a destra e dentro un passato drammatico per la nazione. Dibattito e scambio di idee degenerano presto in una messa in discussione di valori, scelte e persone, che non mancano di offendere e ferire tutti, nessuno escluso. Ma qualche volta l'amore può fare miracoli e rimettere ordine nel caos degli affetti.