mercoledì 28 novembre 2018

Still Alice (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/02/2016 QuiStill Alice è un film del 2014 scritto e diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland, con protagonista Julianne Moore, la quale grazie alla sua interpretazione si è aggiudicata il Premio Oscar per la Miglior attrice protagonista. La pellicola è l'adattamento cinematografico del romanzo Perdersi (Still Alice), scritto nel 2007 dalla neuroscienziata Lisa Genova e pubblicato in Italia da Edizioni PiemmeAlice Howland è una donna alla soglia dei cinquant'anni, moglie, madre e professoressa di linguistica alla Columbia University di New York, orgogliosa degli obiettivi raggiunti. Alice ha una bella vita, tanti ricordi, ha una solida famiglia composta dal marito chimico e tre figli: Anna, Tom e Lydia. Ad un certo punto, nella vita di Alice, qualcosa comincia a cambiare, dapprima qualche dimenticanza ed in seguito veri e propri momenti di "vuoto" durante i quali non riconosce il posto in cui si trova. Questi eventi convincono Alice a ricorrere ad accertamenti medici e le viene diagnosticata una forma presenile di Alzheimer di matrice genetica. Confermata la diagnosi dopo una serie di episodi allarmanti, le sue certezze crollano, diventando una donna fragile e indifesa, anche agli occhi della famiglia che l'ha sempre vista come un pilastro. Il film racconta come Alice affronti la malattia, questa forma rara e precoce che le sta portando via tutto, ed il progressivo ed inarrestabile decadimento cognitivo. La difficoltà nel linguaggio e la perdita della memoria non le impediranno comunque di lottare, trattenendo ancora un po' la donna meravigliosa che è e che ha costruito tutta la vita. Si sente spesso dire che il cinema è terapeutico, che cura il 'male di vivere', la malattia, la sua insensatezza. Ci sono film che effettivamente favoriscono l'anamnesi e l'autoanalisi, emergendo i fantasmi o i passeggeri oscuri che ci portiamo dentro. Non sconfiggono malattie e nemmeno combattono le patologie, eppure questi film curano, raccontando storie di cura anche quando non è proprio possibile curare, guarire. Still Alice, appartiene a questo genere, fornendoci una spiegazione e un'argomentazione emozionale del morbo di Alzheimer, la storia di una deriva, la vicenda di una donna intelligente e speciale che perde giorno dopo giorno le tracce di sé, del tempo, di quando c'era, era, esisteva e conosceva il suo nome, quello della sua primogenita, quello delle persone care e delle emozioni della vita di Alice Howland.
Ma non siamo di fronte al solito film sulle malattie incurabili che mira a conquistare il pubblico con toni ed eventi a tutti i costi strazianti e con l'obiettivo di far risaltare l'eroe americano compianto di turno e che entra nella storia perché ha una morbo e fa qualcosa di straordinario, ci troviamo di fronte a una sorta di cronaca purtroppo comune a tante persone. Il film infatti elude qualsiasi forma di patetismo o di esibizionismo, interrogandosi e misurandosi col dolore muto e ingrato dell'Alzheimer, liberandosi di retorica, pathos e involontaria comicità per essere il più onesti e diretti possibile. Il film mantiene una posizione coerente e verosimile verso la sua protagonista, armata di coraggio, di tenacia, di verosimiglianza che non la fa mai apparire come una vittima della malattia o un soggetto in cerca di comprensione/compassione. Una pellicola che si distacca notevolmente dai toni melodrammatici e strappalacrime che solitamente si presentano al grande pubblico quando trattasi di descrivere malattie insidiose ed incurabili. Non assistiamo al classico film da finale strappalacrime, qui le lacrime cadono durante, toccante e commovente il discorso che tiene davanti ad una  platea, e laceranti alcuni episodi che ci renderanno partecipi della sua evidente perdita di memoria e di cognizione. Perché a differenza di altri film che parlano di Alzheimer, Still Alice sceglie di non di inoltrarsi nelle fasi finali della malattia, dove tutto svanisce, pezzo dopo pezzo ma in maniera irreversibile, perché è già abbastanza doloroso sapere che esiste il rischio di perdere un giorno o l’altro ciò che meglio ci definisce come esseri umani, la memoria. E con la perdita di memoria segue la perdita della dignità, della cognizione, dell'orientamento.
Più che un film drammatico si presenta come una cronaca lucida di un destino inesorabile dal quale e' impossibile fuggire. Ma altresì rappresenta la tenacia, la determinazione, la lotta umana e verosimile di una donna che non si arrende ma combatte ogni giorno per trattenere frammenti di memoria, di vita intera. L'arte di perdere, l'arte di combattere e di vincere, queste sono le due battaglie principali contro le quali Alice deve lottare quotidianamente, per non perdere la cosa più essenziale, se stessa. Perché lei è una persona incredibilmente tenace e solare. E' tenace perché sin dai primi segni del suo morbo precoce, se da un lato è preoccupata, dall'altro lotta con tutta se stessa per non sprofondare nel totale oblio della sua persona, si attacca con tutta la sua forza ai frammenti di memoria che le ricordano che è una donna eccezionale, ed è solare. E' solare, nonostante tutto, non si piange continuamente addosso, ma anzi continua a regalare, finché la sua malattia glielo concede, bellissimi sorrisi e sprazzi di vitalità alla sua famiglia, che non capisce che lei non è una malata qualsiasi. Perché gli altri, mentre la forza fisica viene a mancare, possono ancora ricordare gli eventi che hanno segnato la loro vita, lei no. A lei il suo morbo strappa via tutti i suoi ricordi più preziosi e la rende un'estranea in un corpo che fatica a riconoscere, circondata da visi che ora sembrano quelli di persone sconosciute mai incontrate prima, perché questo non è un disturbo della personalità o un male che guarisce con l'amore dei propri cari, Alzheimer è una belva che piano piano divora tutte le tue funzioni cognitive e fisiche e ti priva di tutto ciò che hai.
Di Still Alice colpisce anche la delicatezza, quasi la timidezza, che poi è la strada migliore da percorrere quando si parla di una malattia che è una tragedia di silenzi sempre più lunghi, di impenetrabili momenti muti squarciati all'improvviso da parole di lucida consapevolezza. Ottima pellicola di rilievo, che riesce a mantenere una presa asciutta e lucida nonostante il soggetto drammatico messo in scena, supportata da una strepitosa interpretazione da parte della Moore, in splendida forma, misurata ed essenziale, un'attrice straordinaria, espressiva come poche, carica di umanità che dona al suo personaggio spessore umano e determinazione senza caricarlo di inutili drammaticità teatrali, riuscendo perfettamente a rappresentare il declino di una donna affetta da questa malattia, immedesimandosi nella lotta quotidiana di una donna che non si arrende ma si aggrappa alla vita, alla memoria, alle parole prima che svaniscano, prima di disimpararle per sempre. Fluida e ben costruita sceneggiatura, lineare nello svolgersi e pungente quanto basta da spronare lo spettatore a con-vivere per un'ora e mezza con la protagonista e assistere egli stesso alla violenta devastazione che apporta l'Alzheimer. Nessuna vittoria o lieto fine, ma solo un susseguirsi di amare realtà. Con un messaggio positivistico in fondo: quello di lottare sempre e comunque, senza dimenticare che noi non siamo la nostra malattia. E che forse, di tutte le cose che questa riesce a portar via, l'amore è l'unico sentimento che non si può disimparare o dimenticare. Un film che merita di essere visto. Un film che suggerisco a tutti per la delicata tematica trattata in modo veritiero, un argomento di grande interesse, perché è un morbo che è più diffuso di quanto si pensi, e credo sia uno dei più temibili dal punto di vista psicologico. Il finale del film ci lascia con una domanda a cui non è facile trovare e non vorremmo trovare risposta, chi saremmo senza i nostri ricordi e senza la nostra memoria? Voto: 7