Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2022 Qui - In mezzo al conflitto afghano una donna veglia sul marito in coma e ne
approfitta per dirgli tutte le cose che da vivo non poteva riferirgli.
Basato essenzialmente sul dialogo (o meglio, monologo) e
sull'interpretazione della Golshifteh Farahani, è una storia per certi
versi struggente ma anche tediosa. Non si fa remore nel toccare temi
scabrosi e induce a ulteriori riflessioni su un tema, quello della
condizione della donna musulmana, già ampiamente dibattuto. Quel che nel film (diretto da Atiq Rahimi) ho trovato scostante è la scelta di un racconto in
forma di alternativo Kammerspiel che, pur sempre ben tenuto, in più
frangenti rischia il manierismo piuttosto che l'evidentemente ricercato
effetto straniante. Io di solito ho forti reticenze per questo tipo di cinema, preferisco
vedere piuttosto che sentire, ma in questo senso è anche un film potente
nella sua direzione psicologica, un po' patinato (involontariamente) nella delicatezza del
confronto tra amore e desiderio. Troppo "invitante" nel suo amaro
contesto. A conti fatti riuscito però risaputo, e decisamente non per tutti. Voto: 6
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