Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/01/2022 Qui - In quasi tutte le scorse volte in questo importante giorno vi ho parlato di film che l'Olocausto prendeva di petto (l'anno scorso fu Resistance - La voce del silenzio), in questo caso invece esso è usato come scorciatoia per la tragedia, e prendendo a cuore l'effettivo significato di questo giorno, questo film da me scelto (ma tuttavia quasi imposto, era l'unico "disponibile" su Sky) spinge proprio sul concetto di Memoria (mai dimenticare, perché il tempo passa, ma la memoria resta, affinché non si ripeta). Il senso del titolo di questo film, tratto da un romanzo di Norman Lebrecht, nasce proprio dal bisogno (lo spettatore scoprirà in quale contesto) di fare memoria dei nomi di chi non c'è più con una variante altrettanto fondamentale nella cultura ebraica: la musica. Musica che nel film è suonata su uno strumento che ha segnato in maniera indelebile il tragico percorso del popolo ebraico, in particolare nel '900: il violino. In questo senso, il film (che si avvale dell'aiuto di due buonissimi attori quali Tim Roth e Clive Owen) ha delle belle musiche firmate dal leggendario Howard Shore, ma questo non basta per attutire le noiose note della narrazione. Di una vicenda che delude clamorosamente nelle delucidazioni conclusive, vero termometro per innalzare il lavoro di François Girard (regista de Il violino rosso che riprende spunto dalla propria ossessione verso lo strumento-oracolo) a film da ricordare oppure metterlo all'interno dell'enorme calderone di opere contro l'infamia tedesca. Soprattutto dopo un'intera rincorsa a cercare qualcuno e qualcosa, troppo scarna si rivela la spiegazione di un angoscioso addio trentennale e i due assi, nel poco spazio disponibile all'interno di un auto, non riescono a rendere giustizia alla loro fama e a quella di una pellicola che si aspetta il climax ad effetto, ma che si dovrà accontentare di un flaccido pugno e un paio di pacche sulla spalla, peccato.
Tra passato e presente, una storia che ha tutti gli ingredienti per commuovere: un'amicizia contrastata, una scomparsa inspiegabile, un risentimento tenace, una rivelazione sconvolgente. Eppure, nonostante si getti sulla bilancia anche il peso dell'Olocausto e la musica faccia la sua parte, il film stenta a coinvolgere, il racconto appare troppo farraginoso ed anche gli attori non convincono del tutto. In The Song Of Names si racconta la storia di un uomo inglese alla ricerca, da 35 anni, del suo migliore amico fraterno scomparso la notte del suo debutto in un importante concerto di musica classica organizzato dal padre del primo. La trama si svolge in un passato recente e vede Tim Roth in viaggio seguendo gli indizi che lo porteranno a scoprire il destino del suo amico, interpretato, da adulto, da Clive Owen. La struttura narrativa del film risulta essere il suo grande tallone d'Achille, con un'impostazione troppo classica di alternanza tra presente e flashback in un susseguirsi di cambi di locazione temporale e cast. Nella regia di Girard non si osa mai, sacrificando un'ottima fotografia ben composta e ben illuminata, in vista di un film piatto nel suo incedere. Un gran peccato, poiché il soggetto risulterebbe interessante soprattutto per la sua vena musicale classica, in quanto il protagonista scomparso doveva essere un violinista dal talento cristallino. Spunti di riflessione vengono comunque offerti e arrivati ai titoli di coda non si pensa di aver sprecato tempo, però era lecito aspettarsi di più da questo film, un film decisamente austero. In ogni caso, se avete ugualmente voglia di vederlo, va in onda stasera su Sky Cinema Due alle 21.15, e lo troverete in replica nei giorni seguenti, successivamente sarà presumibilmente on demand. Voto: 5,5
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