Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/07/2017 Qui - Sarò forse uno dei pochi a pensarla così, ma reputo Jobs, film del 2013, diretto da Joshua Michael Stern e con protagonista Ashton Kutcher, un film migliore e più interessante nonché coinvolgente (soprattutto nella narrazione) di questo secondo film biografico su Steve Jobs, perché Steve Jobs, film del 2015 diretto e co-prodotto da Danny Boyle con protagonista Michael Fassbender, nonostante l'originalità della messa in scena e della sceneggiatura non mi ha coinvolto e convinto del tutto. Messa in scena infatti troppo teatrale, dialoghi esasperati e pieni di humor e battute intelligenti, rendono certamente il film parecchio gradevole, ma ciò non lascia il segno. Poiché questo atipico e frammentato biopic, che concentra tutta l'attenzione su tre snodi fondamentali (revisionati come fossero "in diretta", in tempo reale) della vita/carriera di Steve Jobs, non mi ha per niente appassionato. "Steve Jobs" difatti (che ricostruisce il suo burrascoso passato personale e professionale soltanto attraverso i brevi flashback e gli infiniti dialoghi) ci porta nei backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più significativi della carriera di Jobs, il Macintosh nel 1984, il NeXTcube nel 1988, l'iMac nel 1998, e per tre volte compaiono, in questi minuti, ostacoli e difficoltà, sotto forma delle persone più importanti della sua vita, con le quali Jobs intrattiene intense discussioni, a volte più "accese" e a volte più "temperate", comunque mai banali seppur estenuanti, soprattutto per lo spettatore, specie se non abituato al "teatro". Dato che quest'opera, che appunto non è il classico e prevedibile biopic come si potrebbe pensare, che lascia più spazio alla sceneggiatura che alla regia, che punta troppo (e non benissimo come altri) sui dialoghi (tutti d'un fiato ma senza colpi di scena), tanto che ne risente tutto il ritmo del film, è quasi in tutto e per tutto una deludente opera teatrale.
Infatti l'intera pellicola può essere paragonata a una pièce teatrale, e in quanto tale gli elementi fondamentali della sua struttura risultano essere la sceneggiatura e le interpretazioni attoriali. Elementi ai quali in ogni caso Danny Boyle (non una firma banale che ha partorito diversi film dall'intento variegato, spaziando fra più generi, la sua regia poi è una regia che sa il fatto suo) si mette al servizio, facendo il poco indispensabile, il giusto per valorizzarli. A tal proposito, Aaron Sorkin (comunque uno dei migliori sceneggiatori attualmente in circolazione) regala uno script certamente formidabile, impeccabile, dal perfetto design strutturale ma personalmente non propriamente funzionale. Si è voluto infatti a tutti i costi copiare l'impostazione alla "Social Network" di Fincher che tanto aveva fatto bene e che aveva lanciato proprio lo sceneggiatore in questione, ma quella stessa impostazione mal si adattava a questo tipo di film, che vuole essere molto più intimista e riflessivo. Egli difatti pone l'accento sul "dietro le quinte" della vita del visionario imprenditore, concentrandosi sull'investimento umano, personale e sentimentale necessario per raggiungere il successo, ma lo fa in modo leggermente spezzettato, sconclusionato, caotico ed emotivamente sconnesso.
Ovviamente quello che emerge è dunque il Jobs-uomo dotato di insicurezze, paure e manie, testardo ed arrogante, "incompatibile" con il resto del mondo ("end-to-end", come i suoi prodotti), prima ancora del Jobs-inventore sicuro di sé, spontaneo e ambizioso, che egli stesso si sforzava di mostrare a tutti, ma esso non viene mai approfondito, tanto che il film, che ricalca la storia di quello che già sappiamo, è un film senza un'anima precisa. Un'anima divisa a metà, come la parte soggettiva ed oggettiva di me, perché personalmente, il film non è di semplice valutazione, c'è l'apprezzamento per un lavoro svolto benissimo (Boyle, per i miei gusti, non sbaglia un film) ed un'innovazione del genere biografico che risulta valida, coraggiosa e tutto sommato proponibile, di contro, lascia un pizzico di delusione per tutto quello che questo film sarebbe potuto essere e che invece, a conti fatti, semplicemente non è. Poiché sarò sincero, guardando dal trailer mi aspettavo di vedere una biografia su Steve Jobs nel quale viene narrato il suo successo ed il come sia diventato un tale pilastro della tecnologia a livello mondiale (ma in meglio e diversamente dal precedente lungometraggio), ma quando l'ho visto mi son ritrovato davanti ad un'opera completamente diversa, troppo diversa dai miei gusti personali.
Non ho trovato infatti uno stimolo in una sceneggiatura così strutturata, una sceneggiatura peggiorata dalla scelta del regista sia nel far andare a parare il tutto verso il rapporto con la figlia (eccessivamente emotivo e romanzato), proprio quando si entra nel vivo della vita di Jobs, sia di voler (per forza) enfatizzare quei benedetti/maledetti minuti che precedono l'inaugurazione del prodotto in sala. Poteva insomma evitare di tirarla per le lunghe in molti punti del film, e portare il finale verso il picco della carriera di Jobs, facendo vedere i suoi ultimi mesi di vita, invece di soffermarsi sul rapporto con la figlia. E non c'entra il fatto che queste potenziali forzature (il cosiddetto processo enfatico) sono, sostanzialmente, solo soggettive, ovvero che dipende dalla filosofia cinematografica che lo spettatore vuol porsi, e che se non si è un fan di Jobs o quantomeno un appassionato di storia del Personal Computer non lo si può capire, perché dopo una primissima parte buona, verso metà, il film, si spegne lentamente. La fotografia poi è a tratti troppo spenta tale da non rendere efficaci l'espressioni facciali degli attori, anche se Michael Fassbender (magnetico ed ipnotico, capace in ogni caso di trasportare lo spettatore all'interno del "mondo", fatto di idee e circuiti, del creatore dell'iPhone) è estremamente bravo.
Lui infatti è davvero magistrale nell'affrontare un ruolo così delicato e pieno di emozioni inaspettate e con un carattere molto implicito, in modo abbastanza naturale. Ma anche Kate Winslet, irreprensibile e integerrima, a cui è affidato il ruolo morale di portare equilibrio e sedare gli eccessi, è molto brava, reale ad esprimere emozioni senza esagerare o senza essere troppo piatta. Al contrario della moglie di Steve, personaggio (interpretato da Katherine Waterston) che hanno trattato troppo poco per l'importanza che aveva. Tutti gli altri invece tutti abbastanza in parte per il ruolo, da Seth Rogen a Jeff Daniels, da Sarah Snook a Michael Stuhlbarg (recentemente molto apprezzato in Cut Bank), fino a John Ortiz e Perla Haney-Jardine. In conclusione, un film sicuramente di notevole fattura, pregiato e raffinato, con una buona colonna sonora, con sinfonie che mettono suspense ove c'è né bisogno ed è drammatica al punto giusto e nel momento giusto, tuttavia come già detto, abbastanza anonimo e non incisivo, seppur questo racconto di una delle personalità più importanti della storia recente, di un visionario che aveva la capacità di pensare in modo "differente", di un genio che è stato l'epicentro della rivoluzione digitale che ha cambiato le nostre vite, è un bel racconto. Anche se personalmente è un peccato che, questo ritratto intimo e profondo di un uomo, sia stato decisamente sotto le mie aspettative. Tuttavia è consigliabile vederlo, nonostante io abbia incredibilmente più apprezzato il primo lungometraggio, lungometraggio che (tramite una narrazione lineare e semplice al contrario di questo) mi aveva fatto conoscere questo grande personaggio. Voto: 6,5