Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/07/2017 Qui - Dopo avermi quasi sconvolto con quell'avvincente film action Sicario e dopo avermi sconcertato con quell'altrettanto bel thriller psicologico Prisoners, Denis Villeneuve colpisce ancora, e lo fa spiazzando e sconvolgendo con un thriller enigmatico ed eccentrico, ma sorprendente, ovvero con Enemy, film del 2013 diretto dal regista e tratto dal romanzo L'uomo duplicato di José Saramago. E' un film infatti abbastanza enigmatico e di non facile interpretazione (o soluzione) perché quello che avviene in poco più di 80 minuti, non è facile da spiegare e capire, anche se non si tratta di un giallo, piuttosto di un thriller psicologico, non ci sono assassini o omicidi, qui il mistero è tutto mentale. Un mistero così criptico che a distanza di giorni non ho ancora le idee chiare, perché facile sembrerebbe la trama, quella di un inquieto ed insignificante insegnate di storia che imbattendosi nel suo doppio, notato casualmente nel ruolo di comparsa in un film, che determinato a capire chi sia questo individuo, cercherà in tutti i modi di scoprire la sua identità (forse un gemello?), ma non lo è, poiché lui stesso finirà in un vortice di ossessioni che metteranno a repentaglio sia la sua esistenza sia quella della misteriosa comparsa nonché dello spettatore, quello che difatti porterà entrambi verso un tortuoso, straniante e terrificante incubo, sarà lo stesso per lo spettatore, che avrà difficoltà a venire a capo all'intera vicenda già di per sé complessa. Come se non bastasse, l'ultima scena arriva come un fulmine a ciel sereno, il finale è infatti e certamente uno dei più grandi shock cinematografici di sempre. E non si tratta del classico colpo di scena in cui, con una spiegazione sorprendente, si risolve il mistero, tutt'altro, la situazione anzi si complica ulteriormente, lasciando il pubblico in balia di uno dei più criptici (ambigui) ed inquietanti enigmi di sempre (vedere per credere).
Giacché, che non si tratti di un film tradizionale, lo capiamo subito dall'onirica sequenza iniziale, un gruppo di uomini in un sex club (tra cui il o uno dei protagonisti) che osservano una donna nuda che sta per schiacciare una tarantola. Tarantola che rivedremo (durante il film e soprattutto nell'incredibile finale) camminare tranquillamente sopra Toronto senza un motivo apparente o una ragione particolare. Come detto, non c'è una spiegazione finale, non c'è un'intuizione geniale che chiude il film, e non sarebbe neanche giusto se ce ne fosse una, anche se questo è un grave difetto, perché se da un lato non è detto che un film debba spiegare tutto e accompagnare lo spettatore lungo il proprio intero sviluppo "mano nella mano", come se fosse un infante, è però certo che un eccesso di oscurità sancisce comunque un fastidioso e palese fallimento a livello comunicativo. Poiché tutti i dubbi rimangono allo spettatore (combattuto tra razionalità e illogicità), che deve fare i conti con se stesso (come il protagonista del film) per arrivare a una conclusione. Conclusione che spiazza soprattutto chi non sta attento, palese è difatti la natura simbolica del lungometraggio, che, accanto ad una narrazione lenta ma interessante e tesa, esige uno spettatore attivo, che non guardi passivamente ma che si impegni a decifrare i messaggi, mediante anche più visioni.
Girato in una Toronto spettrale e solitaria (spesso immersa nella nebbia), Enemy, che vanta un'atmosfera angosciante e onirica di prima categoria (dalle tinte seppia, molto fosche e buie, soprattutto negli interni), sostenuta da una regia davvero eccellente e da una colonna sonora sempre pronta a mantenere viva la tensione, anche se non ha bisogno di esser capita per esser apprezzata, è in ogni caso una pellicola più che discreta. Perché ha tutto dentro di sé, tutto ciò che può fare di un film, un grande film, un attore protagonista (Jake Gyllenhaal, in un doppio ruolo) nuovamente in stato di grazia, un storia avvincente e terrificante, una regia più che ottima e un finale agghiacciante. La discesa negli inferi praticamente di tutti (personaggi e protagonisti), perché di questo si tratta (o almeno è quello che io ho capito), giacché l'intera pellicola può essere vista come la battaglia mentale di un individuo in lotta con il suo "lato oscuro", al fine di responsabilizzarsi verso gli obblighi sociali che gli spettano (la fedeltà alla moglie e i doveri di futuro padre), è difatti affrontata con lentezza disarmante, con inquadrature che danno tempo allo spettatore di contemplarne la bellezza e la fotografia che vira continuamente al giallo, ma mai noiosa o a discapito della storia.
Una storia, una pellicola in cui, anche i titoli di coda, fulminei e ironici, che scorrono sulle uniche inquadrature veramente soleggiate dell'intero film, non ci danno neanche il tempo di assimilare ottanta minuti di viaggio allucinante. Viaggio magistralmente ottimizzato dalla prova attoriale di Jake Gyllenhaal, che riesce a far capire lo stato confusionale e contraddittorio del protagonista, prima desideroso di incontrare questo doppio, subito dopo spaventato all'idea, dato che non sa se quest'ultimo possa migliorare o peggiorare la sua vita. Perché nonostante il film tragga grande giovamento dalle performance di Isabella Rossellini (una delle muse di Lynch), della bellissima Sarah Gadon (una delle muse di Cronenberg, ben 4 film, ultimamente vista in Una notte con la Regina, Dracula Untold e soprattutto 22.11.63.) e di una sexy Melanie Laurent (Bastardi senza gloria, Now you see me e Il volo del falco), quella che si fa davvero notare è proprio la versatile ed indiscutibile bravura recitativa del buon Jake, interprete dei due antitetici personaggi principali di Adam e Anthony. Personaggi strani, enigmatici, stranianti che, come la classica spada di Damocle, ti sfasciano la testa. Il colpo di grazia, come detto, lo dà appunto il finale, inaspettato e sospeso, che invoglia al dialogo e al confronto con quelli che l'hanno visionato, che in fondo è comunque quello che il cinema dovrebbe sempre fare.
Un buonissimo thriller dunque, realizzato da un director (uno dei registi più promettenti e visivamente geniali degli ultimi tempi) che sicuramente arriverà lontano, lui che con la quasi durata d'ordinanza di un'ora e mezza, riesce ad intrigare e immergere lo spettatore in un vortice onirico, in una storia in bilico tra sogno e realtà, tra scherzi della psiche e consuetudini di tutti i giorni. Perché al di la di tutta la cervellotica spiegazione che ne vien fuori (solo in parte da me capito e quindi esposto), resta indiscutibile il fascino inquietante che il talentuoso Denis Villeneuve conferisce al film, senza dubbio uno degli enigmi cinematografici più coinvolgenti e ben riusciti di sempre. Che poi Enemy sia o non sia un capolavoro, ce lo dirà solo il tempo, ma nel frattempo, sono certo di essere davanti (ed aver assistito) ad un grandissimo film che un senso certamente e sicuramente ha, anche se è difficile (ma non impossibile) da trovare. Perché infondo, un significato c'è eccome, l'importante è infatti seguire gli indizi. D'altronde lo riporta anche la dicitura iniziale: "Chaos is order yet undeciphered" (il caos è l'ordine non ancora decifrato). L'apparente disordine logico che il film sembra lasciare nella mente del pubblico difatti, ingloba in realtà tutte le risposte necessarie alla soluzione dell'enigma. E se una sola visione non dovesse bastare, credo proprio che rivedere Enemy sarà senza dubbio un grande piacere, ma forse non per me, poiché difronte ad uno dei migliori thriller psicologici degli ultimi anni mi sono quasi perso in un labirintico viaggio nella mente senza trovar risposta certa, seppur caotico e confuso ma tuttavia incisivo, ambiguo e inquietante. Voto: 7+