lunedì 18 marzo 2019

Blackhat (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/06/2017 Qui - Premettendo che di certo non mi aspettavo un film al livello di Heat: La sfida o Collateral (alcuni dei suoi migliori del suo genere action), ma da Michael Mann, uno dei maestri del moderno cinema d'azione, però, forse, qualcosa di più sì. Perché Blackhat (dal quale mi aspettavo di più), film action drammatico del 2015 (con protagonista Chris Hemsworth) scritto, diretto e prodotto dal regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, è una pellicola soltanto sufficiente. Michael Mann infatti non è secondo a nessuno in quanto a regia (e genere), dato che sa scegliere i momenti giusti in cui alzare il ritmo, riesce a far riflettere e catturare l'attenzione dello spettatore, insomma, sa bene come creare una pellicola avvincente e ben realizzata. Però, questo film, mi lascia una sensazione di pellicola anonima, un film sufficiente, ma nulla più. Certo, riuscire a riproporre uno scontro avvincente ed interpretato in modo magnifico, come quello tra Jamie Foxx e Tom Cruise in Collateral, era altamente difficile, però per tutto il film ho aspettato che la tensione salisse, ho atteso che arrivasse il colpo di scena o un qualcosa che riuscisse a conquistarmi come altre pellicole che ho visto di Michael Mann (che non ha fatto solo bei film d'azione, ma anche thriller e film biografici belli come Insider ed Alì), attesa, purtroppo, vana. Anche se, nonostante tutto, credo che la pellicola obbiettivamente meriti ampiamente una sufficienza, dato che la pellicola, nonostante difatti duri più di due ore, non annoia e si segue senza troppi (inqualificabili) problemi.
Poiché qualche colpo di scena tutto sommato c'è (solo uno però) e comunque, rispetto ad altre pellicole, è sicuramente un film con un maggior valore aggiunto. Difatti fare il giro del mondo indossando gli occhi di Michael Mann vale comunque il prezzo del biglietto aereo. Il regista ha come sempre un colossale senso dello spazio e le atmosfere notturne di Hong Kong, Kuala Lumpur e Jakarta (tra le altre) esaltano le specialità della casa (anche le musiche sono sempre quelle rarefatte e tensive di marca Mann). Ma in questo crime movie che ha come ambientazione il mondo intero, c'è qualcosa che non va. Ed è la sceneggiatura (ad opera dello stesso Mann e di Morgan Davis Foehl), che seppur un pochino originale, alquanto moderna e abbastanza tecnologica mi lascia piuttosto perplesso. La storia infatti (non così intensa e coinvolgente come mi aspettavo) ha alcuni (forse voluti chissà) buchi di sceneggiatura che leggermente pregiudicano la narrazione, che addirittura la sminuiscono, non contribuendo e non riuscendo ad accrescere l'interesse dello spettatore. Eppure questo comunque onesto e salvabile thriller cibernetico, che segna il ritorno di Michael Mann dopo sei anni d'assenza (Nemico Pubblico, 2009), ha una storia, certamente influenzata dalla diffusione di Stuxnet, un malware progettato dagli americani e dagli israeliani per sabotare le centrifughe dell'impianto nucleare iraniano di Natanz, abbastanza moderna e tecnologica, anche dopo l'ottimo Mr. Robot, che poteva decisamente piacere, e invece solo sufficientemente ci riesce.
Storia che ci racconta che, un importante codice informatico è stato violato, ed ha innescato una catena di eventi che ha colpito i mercati azionari di tutto il mondo. I servizi speciali americani e cinesi perciò collaborano insieme (collaborazione di cui poche volte abbiamo visto, l'unico comunque elemento innovativo del film) per sventare il piano cospirativo di un cyber-criminale. Con l'aiuto quindi dell'ex galeotto Nicholas Hathaway, le autorità saranno coinvolte in un pericoloso inseguimento che li porterà a girare il mondo alla ricerca dell'invisibile malvivente della rete, innescando così una caccia al topo che da Chicago arriva a Giacarta, passando per Los Angeles, Kuala Lampur e Hong Kong. Come detto però, non tutto convince, il ritmo è basso, i cali d'attenzione ci sono e si vedono, e soprattutto nonostante egli rimanga fedele alla propria tradizione cinematografica, che mescola sapientemente l'azione col sentimento, che fonde i colpi d'arma da fuoco e la violenza al ritratto psicologico dei protagonisti, profondo e disilluso come quello di Nick, che non è una brava persona (e ne è perfettamente consapevole), che ciononostante non rinuncia a difendere o vendicare i propri affetti, non raggiunge l'effetto sperato. Poiché certamente Blackhat è un film di genere, pregno però di elementi d'autore, il pessimismo e la malinconia sono tangibili, come tangibili sono le paure post 11 settembre, ancora radicate nella coscienza statunitense, ma si fa fatica (per colpa di tanti fattori e l'antagonista anonimo) a seguire tutto, perché sì, si poteva fare meglio su questo importante punto.
Difatti non credo sia possibile che il regista/sceneggiatore/creatore di Heat non abbia tenuto nella giusta considerazione l'importanza di un antagonista ben disegnato. Eppure a conti fatti in Blackhat il criminale protagonista latita per due ore buone. Incrociamo i suoi galoppini, spesso quasi muti (alcuni durano anche poco), ma per il resto seguiamo tracce informatiche, giochiamo a nascondino nel ristretto perimetro del pianeta terra e del nostro uomo non vediamo neanche uno straccio di avatar. Probabilmente in linea teorica avrebbe dovuto dipingere l'idea di una manciata di cyber-criminali senza faccia che possano causare disastri atomici, cambiare l'andamento della borsa e rubare decine di milioni di dollari e restare impuniti, ma la stessa minaccia risulta impalpabile come una divinità ubiqua troppo diluita o come un fantasma in tempi di mostri e serial killers. Ed è difficile far crescere il pathos quando a farlo è un monitor. Un hacker infatti è il grado zero di azione e personalità e, per quanto realistico, è davvero poco scenico impugnare un laptop al posto di un'arma. Per questo  qualche decisa modifica al plot avrebbe giovato, se non altro per far fremere il senso di pericolo in attesa delle scene clou più fisiche e sanguinose (che pur ci sono e funzionano).
Forse anticipare ed estendere i problemi tra Chris Hemsworth (non eccezionalmente carismatico come lo fu in Heart of Sea) e i federali (al minimo salariale) che lo accompagnano o farne un hacker dalla morale più ambigua o inventarsi un qualche contrasto interno al gruppo investigativo in modo da movimentare una prima parte troppo poco pervasa da questo "smisurato" pericolo di cui si vocifera. Ed anche così il peccato originale del "nemico senza volto" resterebbe comunque. Detto questo, il film si avvale comunque di un gran fascino visivo. Segnalerei il bell'inizio (anche se non del tutto originale, ma sviluppato in maniera originale), con le micro-architetture informatiche, un vero paesaggio da fantascienza anche piuttosto cupo, come un nuovo mondo sotterraneo che forse meglio di ogni altra cosa dà corpo all'oscurità labirintica di questa minaccia su scala mondiale. Non mancano poi anche i crudi, potenti e scenicamente ineccepibili momenti "action" a cui Mann ci ha abituato, anche se la scena della sparatoria nel pieno centro di una processione che prosegue imperturbabile è davvero imbarazzante. Da segnalare anche un finale un po' irrealistico, in cui il nostro eroe di turno da improvvisato poliziotto, diventa un novello e fittizio super-eroe. Tanto per non parlare di criminali che girano (e sparano) con mitra e bazooka senza l'ombra di una volante della polizia "comune". In ultimo alcune (dolenti) note ai protagonisti, dall'alquanto inutile e mal sfruttata Viola Davis alla coppia Chris Hemsworth e Tang Wei, una delle più gelide e male assortite che ricordi (e già la sto per fortuna dimenticando). Tutto per un film solo parzialmente interessante e bello, dove i difetti trovati sono forse dovuti al fatto che le aspettative erano molte, forse troppe, ed è perciò normale non uscirne pienamente soddisfatti, ma mi aspettavo qualcosa di meglio, peccato. Voto: 6