lunedì 18 marzo 2019

Veloce come il vento (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/06/2017 Qui - Non sono un fan di Stefano Accorsi, e non sono (come probabilmente ben sapete) un fiero paladino del cinema italiano, ma vedendo Veloce come il Vento, film del 2016 diretto da Matteo Rovere, conosciuto anche col titolo internazionale Italian Race e liberamente ispirato alla vita del pilota di rally Carlo Capone, sono rimasto nuovamente sorpreso, perché questo che è un sorprendente film sui motori, le corse, ufficiali o clandestine che siano, ma anche la lotta di una giovane per non perdere il suo futuro e uno scarto sociale che non si ravvede mai del tutto (personaggio/interpretazione che non passano inosservate), è un film più che discreto, imperfetto quanto si vuole ma ulteriore dimostrazione che un cinema italiano diverso e migliore è sempre possibile. E così dopo il supereroe romano, la cena delle beffe e rivelazioni, è il turno del "Fast and Furious" alla bolognese. In questo caso però, non si ritrovano le finezze di Lo chiamavano Jeeg Robot o le eccezionali movenze e caratteri di Perfetti Sconosciuti, ma Matteo Rovere, dopo due film abbastanza anonimi, sorprende nelle (molteplici) riprese a quattro ruote e approfitta in lungo ed in largo di un personaggio non arrotondato, non solo perché insegna come in gara le curve non si debbano fare per forza tonde. Personaggio che, quello di Loris De Martino (di cui Stefano Accorsi ne è l'incarnazione pressoché perfetta), sarebbe potuto rimanere certamente schiacciato dall'etichetta del tossicodipendente "tout court" ma che invece stupisce e colpisce. Un personaggio ironico nella sua tragicità, completo nel suo essere interiormente frammentato, un eterno fuori luogo che trova, in questa storia (che si gioca su due piani diversi, l'uno adrenalinico, colorato e rumoroso, l'altro discreto, quotidiano, silenzioso), un rifugio accogliente.
La storia è quella di Giulia (Matilda De Angelis), una diciassettenne con i motori nel sangue che non vuole mollare le corse nemmeno dopo la morte del padre, anche perché se la stagione in atto non la vedrà trionfare, finirà con il perdere tutto ciò che le rimane. Ma proprio mentre si ritrova da sola, si ripresenta alla sua porta Loris (Stefano Accorsi), il fratello sbandato mai conosciuto che anni prima aveva percorso le sue stesse orme, e nonostante sia inaffidabile e perennemente fatto, il suo talento è però l'unica speranza a disposizione della giovane per riuscire nella sua impresa. L'impresa di fuggire dai loro demoni e imparare finalmente cosa significhi e quanto sia difficile essere una famiglia. Ovviamente l'impresa più o meno (per non spoilerare troppo) avverrà, come riuscirà quella di aver reso questo film un film da non perdere, poiché Veloce come il vento è un film emozionante, intenso, divertente, commovente, da cardiopalmo, ma non tanto le gare automobilistiche (che comunque vengono messe in scena e regalano delle belle sensazioni) quanto il sempiterno tema della lotta degli ultimi per un possibile riscatto sta al centro di questo film del talentuoso regista Matteo Rovere, il quale prende un tema già visto e rivisto al cinema (le gare in automobile, appunto) ma mettendoci la passione necessaria per creare una storia che riesce a catturare lo spettatore.
Questo anche grazie non solo alla sceneggiatura discretamente azzeccata dalla prima all'ultima scena, di una soundtrack che tiene il passo, ad ogni curva, di una direzione e montaggio che splendono nella concitazione della pista…ma anche quella (densissima di emotività, seppur ben, nascosta) della fanciullezza smarrita e della maturità precoce, ma soprattutto all'ottima interpretazione di Stefano Accorsi (in una delle sue migliori prove, d'altronde il recentissimo David di Donatello come miglior attore protagonista non per caso l'ha vinto) che con accento emiliano calibrato a dovere si cala bene nei panni del pilota che sa tutto di come si guida una automobile da corsa, ma niente di come si "guida" la vita normale. Lui che è riuscito ad andare oltre i soliti ammiccamenti e i soliti incastri in cui siamo abituati a vederlo, mantenendo però quella credibilità e quella realisticità che sono la perla neanche troppo nascosta di questo film. Brava (e bella, una Jennifer Lawrence nostrana) anche la giovane Matilde De Angelis, nata nel '95 e sicuramente un volto nuovo ed interessante del nostro cinema, lei che aiutata da una sceneggiatura che le regala, caso raro per il cinema italiano, un personaggio femminile protagonista e trainante, duro e umano al tempo stesso, levandosi immediatamente e senza passare per il via, l'etichetta di esordiente.
Comunque e in ogni caso Veloce come il vento lascia un miscuglio di impressioni proponendo il dramma, a rischio di eccessiva enfasi, l'adrenalina delle corse, riprese con svariate ottiche, il sentimento, senza far quadrare i conti con il solito schematismo familiare, e la commedia, ma tutt'altro che mitigata e capace di aprire soventi squarci che vanno al di là dell'omologazione più ordinaria. Un ricco (e altalenante) impasto tracciato dai due protagonisti. Se il coraggio di Giulia ricorda una gioventù in lotta per non perdere il futuro, aspetto anch'esso raramente cavalcato (come se tutto andasse sempre bene), è il personaggio tossico di Loris a portar bene (anche qui, il cinema americano insegna). Se nell'ideale infatti il rischio scult era altissimo, in realtà il trasandato Stefano Accorsi funziona egregiamente, soprattutto quando si aggira sulle note più gravi, politicamente scorretto (esemplari in questo i metodi di comunicazione di Loris con il più giovane di casa che soprannomina Allegria ma anche i suoi insegnamenti sulla guida), perennemente sotto i fumi della droga, con un talento offuscato ma non del tutto annientato, un buon cuore segnato dai pregressi ma che batte ancora nonostante tutto. Nei dialoghi, influisce positivamente la parlata emiliano-romagnola che fornisce un amabile tono casereccio e la consapevolezza ulteriore che la provincia italiana ha parecchio da dire e le lingue per farlo, poi arrivano le corse, un altro soggetto attivo.
Non solo circuiti, con le gare vissute fino all'ultima curva, ma anche l'asfalto cittadino (d'esempio l'aggressione per stimolare una fuga all'insegna della guida spericolata, quando si dice fare di necessità virtù) e poi le corse illegali, per le quali si opta per uno sfondo decisamente pittoresco (Matera) con soluzioni spericolate. Va anche detto comunque che il racconto non sempre avanza coeso e che si prende diversi spazi un po' gratuitamente, quanto inutilmente, sovraccaricati, ma ha anche il coraggio di provarci sempre, di non farsi intimidire e di osare (già il trailer anticipava solo una parte lasciando poi spazio ad altro) sparigliando le carte, cambiando prospettiva con sfrontatezza e veemenza, anche se a volte finisce con il declinarsi in territori in prevalenza velleitari. Anche se il film riesce ad accoppiare in maniera superlativa l'azione ai rapporti familiari e umani, senza mai cadere nel patetico e nel sentimentalista. In più ci si avvicina al mondo dei rally rendendolo interessante anche per chi, come tanti (non di sicuro me, amante delle corse e della velocità), vede la macchina solo come un mezzo di trasporto, anche se questa è solo una standardizzata storia di dramma familiare e riscatto, in cui il mondo delle auto di corsa pare fare tutt'al più da sfondo incidentale.
Le sequenze action infatti (quelle relative al circuito del quale fa parte la protagonista, brevi ed intervallate come sono continuamente difatti dalle scene ai box) attengono più al dato didascalico e al repertorio (di riprese televisive, anzitutto) che al reale coinvolgimento, alla natura adrenalinica della corsa e della fusione uomo-macchina, del rombo dei motori incandescenti, della puzza di idrocarburi sparati nell'etere, dello sfrigolio delle gomme sull'asfalto (insomma, il pur convenzionale Rush è un altro campo da gioco). Si salvano tuttavia il folle inseguimento a rotta di collo, molto d'effetto, tra le vie cittadine (per quanto nient'affatto credibile), e la lunga vibrante gara finale risolutiva. Come d'effetto è la resa estetica-grafica, che nel complesso è efficace, dato che l'empatia, stante limiti e difetti strutturali, comunque scatta. Poiché una regia attenta e scrupolosa (mai banale, che offre inquadrature poetiche e rumorose, supportate da un audio e da una colonna sonora sempre un passo avanti) e un Stefano Accorsi davvero straordinario rendono questo film (vincitore di ben 6 David di Donatello oltre a quello di Accorsi, a discapito comunque di ben altre 11 candidature) una scommessa vinta su tutti i fronti. Onestamente, mi aspettavo, in effetti, un prodotto di pregio, e così è stato. Perché credo ormai definitivamente, dopo una stagione ricca di colpi di scena, il cinema italiano, che per me vuol dire sceneggiatori coraggiosi, registi visionari, artisti e tecnici da far invidia e attori che non hanno paura di sporcarsi, forse (anche se ho sempre preferito Hollywood), è definitivamente tornato. Voto: 7,5