Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/06/2017 Qui - Scrivere su storie vere o girare una biografia non è mai facile, poiché non c'è la fantasia di una reale finzione, comunque sia, con Mister Chocolat (Chocolat), film drammatico francese del 2016, Roschdy Zem, attore e regista francese piuttosto noto (almeno in patria), che ha voluto far conoscere al mondo la storia del primo artista di colore, Rafael Padilla, nato a Cuba schiavo, e approdato in Francia nell'ambiente circense della provincia alla fine del'800, il regista riesce nel suo non disprezzabile intento, quello di raccontare egregiamente la vita del primo clown nero della storia. In una dolorosa vicenda di un personaggio geniale e sregolato, che riuscì ad affrancarsi dalla schiavitù, ma che per quanto baciato dal successo, non ottenne mai una completa emancipazione, in tandem con un altro artista circense, costituì un duo esilarante, dove però lui aveva un ruolo di spalla, gregario, che a lungo andare gli cominciò ad andare stretto, minando anche il rapporto col partner, lui che afflitto dal demone del gioco e bersaglio continuo di rappresaglie e discriminazioni, visse una vita infelice, morendo ad appena 50 anni solo e in miseria. E Roschdy Zem quindi, dirige questo accurato e interessante biopic su questo personaggio che godette, ad inizio '900, di una celebrità notevole quanto effimera, con sensibilità e maestria. Dato che la vera storia di Rafael Padilla non era tanto facile da esporre, in quanto seppur bella, divenne (per colpa dei tempi) la tragica avventura di un pover'uomo nato schiavo e morto povero.
Un uomo che, nato a Cuba nel 1868 e in seguito trasferitosi a Bilbao, si ritrovò in Francia nel 1897 a lavorare in un circo. In un circo dove lui precisamente è uno dei freaks di Monsieur Delvaux, direttore artistico di un piccolo circo di provincia. Esibito tra la donna cannone e l'uomo più alto del mondo, Rafael (Omar Sy) impersona con pelle maculata e osso tra i capelli il mito del selvaggio famelico, terrorizzando sulla pista donne e bambini. Ma George Footit (James Thierrée), clown bianco di professione, intravede in lui un potenziale e gli propone di formare un duo comico. I due così divengono amici e Footit sfruttando il pubblico, che tra l'altro non è abituato a vedere comici di colore, inventa un numero nel quale mette insieme per la prima volta i due principali personaggi del mondo dei pagliacci: il bianco e l'Augusto. In realtà il numero non fa altro che riproporre sotto forma di gag il rapporto corrente fra bianco e nero: Rafael, che acquisisce il nome di Chocolat, viene regolarmente preso a calci da Footit. Ma nonostante ciò, anzi purtroppo solo per questo, la coppia funziona a meraviglia, tanto che, dopo qualche passo incerto, vengono ingaggiati dal circo stabile di Parigi diventando famosissimi, soprattutto Chocolat, tanto da essere immortalati in un manifesto di Toulouse Lautrec e ripresi dai Fratelli Lumière. Purtroppo però, dopo il grande successo, lontano dalle paillettes la vita presenta il conto e la Francia la sua intolleranza. Delazione e arresto infatti innescano un processo di consapevolezza della propria condizione che coinciderà sfortunatamente con il fallimento di una carriera.
Poiché mentre il clown bianco è schivo, previdente, risparmiatore e poco propenso a spendere e spandere le proprie ricchezze, oltre che molto legato al suo amico, forse anche (il film non chiarisce appieno, e fa bene, ma lascia intuire che il sentimento di amicizia da una parte sfiori altri e più complessi stati d'animo) geloso di come questi si getti a peso morto verso le tentazioni e i vizi, passando di donna in donnina e ferendo intimamente anche alcune delle sue giovani e belle amanti, al nero gigantesco difatti successo e denaro non fanno bene, donne, alcol, spese folli e gioco d''azzardo lo mettono infatti nei guai. E' proprio da questo momento in poi che la storia si tinge di toni sempre più drammatici e non basterà né il carcere per una delazione, né l'amore di una dolce infermiera, che si occupa di bambini ricoverati in ospedale, a mutare il corso delle cose. Soprattutto s'incrinerà il rapporto tra i due, perché anche se Chocolat è da una parte il fulcro più appariscente di una comicità in realtà orchestrata e diretta dall'abilità dell'altro, che si mette in sordina accettando il ruolo di spalla per ragioni di spettacolo, la sua incoscienza e la sua poca assennatezza farà scelte sbagliate. Come sbagliato fu l'incontro con un intellettuale haitiano che lo convinse a cambiare, quando invece con la sua popolarità poteva migliorare le cose (e far divertire sempre più i bambini). Soprattutto la decisione di essere il primo attore di colore a portare a teatro l'Otello di Shakespeare, senza tener minimamente conto dell'epoca e dell'opera stessa, fu l'errore più grave.
Non sbaglia invece il regista, che dirige con eccellente professionalità un biopic ben inserito in un contesto storico molto preciso, un contesto ricostruito discretamente con l'atmosfera della Bella Epoque, degli ambienti e degli abiti nonché dei costumi e degli spettacoli circensi e teatrali, anche se la stessa non viene messa in risalto (giacché l'importanza artistica di quel momento è importantissima e influenzerà quasi tutto il novecento). Ma è soprattutto grazie ai protagonisti che il film merita, dato che, avvalendosi dell'ottima e consolidata prestanza fisica e mimica dell'irresistibile Omar Sy (come suo solito burlone, espressivo, sente il personaggio e forse la sua storia interiore), una vera star francese e non solo, il regista e la pellicola convincono. Ma è comunque James Thiérrée il vero portento (straordinaria la somiglianza con lo zio Charlie Chaplin), l'uomo vero del circo (nato da una famiglia circense e pertanto giocatore in casa in un ruolo che lo vede tuttavia anche intenso attore drammatico) che si presta anima e corpo a rendere un personaggio comico ma anche molto malinconico e solo, che rappresenta ala perfezione lo stereotipo più poetico e stimolante della figura del pagliaccio. Lui che, con un atteggiamento da grande attore, una espressività prorompente e occhi che recitano, risplende e luccica.
Non sono in ogni caso un contorno ma validi ulteriori attributi del film (gli interpreti dal primo all'ultimo, compresa la donna cannone hanno dato il meglio di se), molti altri attori noti o notissimi del cinema d'oltralpe, la carinissima Clotilde Hesme (definita con spregio "la femme au negre"), Olivier Gourmet (titolare del circo più prestigioso di Parigi), Noémi lvovsky e Frédéric Pierrot, coppia circense da cui tutto ebbe origine, Alice de Lancquesaing nel ruolo della giovane amante di Chocolat e Olivier Rabourdin, che pur avendo una parte marginale (il proprietario del teatro Antonine) ha dato un carattere importante al suo personaggio da renderlo veramente reale. Purtroppo il film pur essendo gradevole, scorre tra alti e bassi in special modo la parte finale, commovente ma secondo il mio parere non segue più il filo logico del film, troppo drastico il passaggio temporale. La seconda parte infatti per l'eccesso di eventi drammatici, legati anche al latente razzismo forse troppo sottolineato in quel contesto, sorvolando sulle responsabilità personali di ciascuno, non è per niente perfetta. Bellissime sono invece le scene di vita nel circo in quel periodo, soprattutto nella provincia, (spettacolare è l'inquadratura di Parigi quando Chocolat arriva in città) ma anche le riprese reali di un filmato dei due Clown fatto dai fratelli Lumiere che si riproduce prima dei titoli di coda. In definitiva perciò, questo solido e ben recitato film, triste ma istruttiva parabola, che ci ricorda che appena un secolo fa, le persone di colore erano considerate e trattate come razza inferiore e quindi adibite alle mansioni più umili o come nella fattispecie strumenti ludici, privi dei diritti civili più elementari, è assolutamente da vedere, soprattutto per vedere la nobile arte circense di quel periodo, più di cento anni fa, fatta di sacrifici e tanto amore, dove il solo scopo era quello di strabiliare e far soprattutto ridere. Voto: 7