mercoledì 20 marzo 2019

Collateral Beauty (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/07/2017 Qui - Ci sono film che ci soddisfano pienamente, parzialmente o per niente. Collateral Beauty, film del 2016 diretto da David Frankel (regista del bellissimo Io & Marley e del passabile One Chance), mi ha soddisfatto collateralmente, anche se non ho capito esattamente cosa significa, ma vedremo dopo, intanto però una cosa è certa, Amore, Tempo e Morte, sono questi i tre elementi che caratterizzano tutte le nostre vite, come ci insegna Howard Inlet (Will Smith), brillante dirigente pubblicitario, prima che una tragedia devasti la sua esistenza. Howard, infatti, dopo la perdita della figlia non riesce più a mettere insieme i pezzi della sua vita, non ha voglia di parlare, non ha voglia di mangiare, non ha voglia di cedere la società. I suoi colleghi e soci (il trio Kate WinsletEdward Norton e Michael Peña) sono così, dopo vari tentativi, costretti ad assumere un'investigatrice privata che dimostri l'incapacità del loro "capo" nel prendere decisioni. Ma l'investigatrice non è sufficiente, e per dimostrare lo stato di follia in cui riversa Howard (altresì scuoterlo e riportarlo alla consapevolezza che la sua vita non è finita), i tre colleghi riescono a coinvolgere un gruppo di attori amatoriali (Keira KnightleyHelen Mirren e Jacob Latimore) convincendoli a prendere parte a un piano del tutto surreale, un piano che in modi imprevedibili riuscirà nel suo intento. Che sia questo un film programmaticamente lacrimevole è ovvio, che si regga su un'astruso e contorto escamotage narrativo, è piuttosto vero. Però il film (visto su Infinity), a mano a mano che scorre, se si accetta l'assurdità dello spunto, conquista un interesse che si fa solido soprattutto verso la conclusione, quando la pellicola si tramuta, quasi, in un thriller sentimentale, con snodi che mettono a fuoco alcune cose apparentemente semplici da decifrare, ma che trovano concretizzazione solo alla fine. E se la regia di Frankel si premura, forse, di voler dare spiegazione a tante cose, d'altro canto mette tanto sentimento nel racconto, del cast le migliori sono le donne, da Naomie Harris, a Helen Mirren, a Keira Knightley e Kate Winslet, che tengono a freno il rischio di ridondanza emotiva della storia. Una storia che tocca tematiche altissime in modo credibile e coinvolgente.
Collateral Beauty è un film che ci insegna a a guardare tutto da un'altra prospettiva, nulla è completamente buono e nulla è completamente cattivo, se si conoscono le motivazioni di determinate azioni. A volte infatti la realtà è così dolorosa da affrontare che alcune persone non riescono a guardarla negli occhi e a superare i momenti di sofferenza, in particolare quando di mezzo c'è la perdita di una persona amata. E allora alcuni percepiscono la perdita e il lutto come talmente inaccettabili da non riuscire a viverli, non resta loro che negarli, che dissociarsi dalla realtà dei fatti. Ma paradossalmente così non se ne liberano, rimangono imbrigliati ai loro cari senza riuscire a lasciarli andare, rimangono imbrigliati alla morte che li consuma e cadono nell'abisso del vuoto. Un film perciò che aiuta a comprendere l'importanza di un percorso di elaborazione della perdita presente o imminente di una persona amata. Un'elaborazione che passa per rabbia, tristezza, lacrime, per arrivare a commozione, accettazione di quanto che si è perso e al sorriso di amorevolezza che scaturisce dalla consapevolezza che a quella persona rimarremo sempre connessi, è questa la Bellezza Collaterale che dà titolo al film, come detto però, arrivarci non è facile. Prima di tutto perché non è semplice evitare di cadere nel superficiale cercando di commentare questa pellicola.
Il riferimento a Charles Dickens (comunque alquanto imbarazzante) è chiaro, quello del tema invece non tantissimo. Dopo stentati tentativi infatti di offrirne una concreta e palpabile definizione, e io aggiungerei esemplificazione, non si riesce a capire esattamente quale sia questa bellezza collaterale. Se per essa difatti si intende, semplificando crudamente quello già scritto, ovvero che a fronte del dolore inestinguibile che provi per un gravissimo lutto subito, guardati intorno, solleva la testa, avverti tutta la bellezza che c'è intorno a te, prendi consapevolezza che ciò potrà lenire il tuo dolore...beh, si rischia di sprofondare non già nel banale ma persino nell'irriverenza. Sotto questo aspetto, credo quindi che il film possa essere bonariamente definito fallimentare. Se, al contrario, si considera la prospettiva meno filosofica e più vicina al sentire comune e popolare (senza, naturalmente, indicare con ciò una minore sensibilità ma di sicuro un po' più distante dalla mera analisi filosofica), allora la pellicola intercetta l'emozione acuta di coloro che, direttamente o no, hanno provato nella loro esistenza un dolore tanto acuto. In questo caso, epurato dalle aspirazioni, talvolta pretese, razionalistiche tipiche della speculazione filosofica, il film ha una sua importante motivazione d'essere.
Si avvale di un cast d'eccezione e con esso (o, forse, grazie ad esso) si avvia a snodare una narrazione che può reggere sino alla fine, anche se l'aspetto melenso, in alcuni tratti, c'è sempre. Anche se d'altra parte l'argomento della morte è così tanto spinoso e delicato che accostarvisi, anche nella finzione cinematografica, può destare sentimenti travolgenti. In ogni caso, grazie ad una trama lineare, ma non banale, con piccoli, ma fondamentali e continui turning point che ne scandiscono bene il ritmo, Collateral Beauty nel complesso risulta perciò essere un gran bel film, che sin dalle battute iniziali presenta le figure di Norton e della Winslet come accessorie ma necessarie. Il cast, bisogna dirlo, stellare, esalta, sebbene a prima vista non sembri, Norton e Kate Winslet, e, se mai ce ne fosse bisogno, li consacra nell'ampio olimpo dei grandi attori che, quando serve, sanno adattarsi a ruoli apparentemente minori allo scopo di esaltare un Will Smith (certamente più credibile che in Focus), eccellente sì, ma che senza di loro non sarebbe così ben delineato e non si apprezzerebbe più di tanto. Il loro lavoro da "gregari" è dunque fondamentale, così come quello della Mirren, forse la vera protagonista femminile della pellicola, per rendere la presentazione del protagonista una climax ascendente, rispettata al suo apice, da una grande interpretazione del protagonista.
L'effetto domino, che accompagna il film in tutta la sua durata, è emblema della tempestività, della pertinenza e della giusta collocazione degli aiutanti ai personaggi (lo sono i tre amici/colleghi per il proprio capo, e le tre entità, morte, tempo e amore, per i rispettivi problemi degli stessi), che come tessere posizionate al posto giusto e con la giusta inclinazione, fanno sì che la trama si svolga senza intoppi e che catena si completi fino alla fine, facendo crollare le ansie e le paure di tutti. Dunque il film risulta essere ben riuscito, nonostante non manchino alcune pecche, una colonna sonora da grande film (anche se bellissima è la traccia principale del film, ovvero Let's Hurt Tonight dei One Republic, singolo estratto dal loro album Oh My My) e all'altezza del cast, si respira poi troppa America, nel bene e nel male, per un film e per degli argomenti che dovrebbero essere più universali e infine forse tutto davvero alla fine si risolve in maniera troppo perfetta, quasi irreale. Effettivamente comunque anche la sceneggiatura è banale e scontata (grande dolore, grande vuoto esistenziale, crollo economico, catarsi finale) con un incedere sinceramente prevedibile. Ma sono comunque sufficienti i lati gradevoli del lungometraggio (la bellezza collaterale insomma) per non meritarsi una bocciatura. Innegabile la discreta prova degli attori, la fotografia e l'intensità di Will Smith. I tempi del narrato invece (come detto) sono indovinati, con un ritmo equilibrato e un piano di lettura teso a coinvolgere lo spettatore nella vicenda strappando lacrime (poiché è praticamente impossibile non emozionarsi e commuoversi) ma non privo di una ironia latente. Un esempio di pessimismo ottimistico che indulge si nel lieto fine ma certo amarognolo, dato che qualcosa di meglio si poteva e si doveva dare in più. Voto: 7