Premesso che il film mi è piaciuto, sono rimasto perplesso, confuso, spiazzato sul significato della pellicola, che non del tutto ho capito, cioè, ma di cosa parla veramente questo film? Perché sia il finale ma anche tutto il film si presta a molte e varie interpretazioni. Il film infatti pecca di abbondanza, eccede nei tanti temi, nei dialoghi esuberanti, come un fiume in piena che esonda. Rimane tuttavia una impressione fortemente positiva, un'opera intelligente (semplice ed imperfetta al punto giusto), ironica, surreale in maniera adatta, e ricca di valore artistico, che vuol andare controcorrente sia nel messaggio che nei modi. Tanti vedendo il film avranno sicuramente intuito l'aspetto controverso della storia, in quanto una spiegazione certa o sicura non c'è, ma un messaggio o dei messaggi ci sono eccome. Come quello rivolto ai critici prevenuti e che etichettano tutto e tutti (anch'io certe volte faccio così) e che non si prendono la briga di argomentare (per pigrizia), esprimendo il loro giudizio in modo passionale ed equivocabile, per fortuna la maggioranza non è cosi, come invece la fredda critica teatrale del New York Times interpretata da Lindsay Duncan sembra essere, e in più biasima la cerimonia degli Oscar, additata come un momento in cui ci si scambia premi tra amici. Perché al di fuori dell'aspetto tecnico la cosa più sensazionale del film rimane in particolare un messaggio. Un messaggio importante, un urlo di protesta, contro la strumentalizzazione del talento e dell'immagine di artisti di livello, utilizzati nei riadattamenti cinematografici di Graphic Novel, privando così (tristemente) l'opera iniziale e gli interpreti di ogni valore artistico a discapito delle statistiche del botteghino. L'allontanamento delle masse dall'arte, dal teatro e dalle interpretazioni emozionati per dirottarle verso effetti speciali fantastici ma privi di significato, verso pseudo-uomini da sogno ma privi di messaggio, verso insomma una globalizzazione del pensiero verso la perdita dei veri valori artistici a discapito dell'intrattenimento vuoto. Questo film denuncia tutto ciò in maniera fine ed elegante risvegliando in noi un barlume di dissenso, rinsavendoci così da poter distinguere gli sforzi dell'arte vera da un semplice prodotto del mercato. Birdman è un film che si fa beffe di Hollywood (e forse anche per questo ha vinto), che disprezza i film di oggi e le saghe sui supereroi, che riflette sarcasticamente sul mestiere dell'attore. Riggan, imprigionato com'è nel ruolo di Birdman (come tanti grandi star), deve potersi liberare da questo cliché, continuare a volare da solo, dimostrando a se stesso, al pubblico, alla critica ma più di tutti alla figlia, di saper recitare, di essere un vero attore, di poter ancora sorprenderli come si legge sul volto di quest’ultima nella sconcertante e spiazzante sequenza finale del film. Ecco quindi che lo spavaldo e imprevedibile attore interpretato da Norton lo provoca e, riferendosi alla pistola finta usata nella scena finale, lo pungola a usare più autenticità: "Non mi sento per niente minacciato". Si tratta di una vera e propria implorazione affinché Riggan innalzi se stesso e la sua pièce verso qualcosa di più grande. La sua tesi è: se l'arte non ti fa sentire qualcosa di reale, qualcosa di scomodo, non è stimolante. Riggan lo prenderà letteralmente in parola. Ma mentre ci muoviamo tra i dubbi e l'angoscia di Riggan, intanto riflettiamo sull'arte e sulla sua natura. Perché Birdman è una commedia, benché agrodolce e in alcuni tratti quasi nera. Temi principali sono l'ego, in particolare quello maschile, e l'incapacità di distinguere l'amore degli altri dalla loro approvazione. Chi meglio di un attore molto amato ma poco apprezzato per rappresentarlo?
Proprio come la meteora o stella (visto che si parlerà di Riggan Thompson un famoso personaggio dello star systems), che solca il cielo all'inizio e alla fine del film, vediamo come dall'alto della celebrità si può cadere giù dal palcoscenico o nel profondo dell'animo umano, quando meno te l'aspetti, da un giorno all'altro. In questo film infatti un grande attore nella continua verifica delle proprie capacità artistiche, setaccia la propria anima interfacciandosi continuamente con uno “spirito esaltato” che non lo abbandona mai e che lo sospende in una levitazione di grandezza e superiorità (con scene molto spettacolari). Incamminandosi nei tortuosi corridoi di un celebre teatro di Broadway, se ne scopre la complessità, tecnici, cavi, musicanti fino a giungere sul palcoscenico dove si da vita alla magia dello spettacolo. Si percepisce il grande fascino della superba interpretazione, ma subito incalzano gli eventi, gli inconvenienti dell’anteprima, un incredibile susseguirsi d’intrecci che, su e giù per i corridoi, nei camerini danno origine a vicende reali, contrasti sentimentali, di generazione. Un film dove c'è di tutto, la vita privata, i rapporti con gli altri attori, con il manager, i critici, la pubblicità, il pubblico che assiste agli spettacoli, un andirivieni nel teatro tra il palcoscenico, gli angusti corridoi, i camerini, un passaggio continuo tra la rappresentazione e la vita reale. Il teatro coglie le sue ispirazioni dalla vita, ma appunto per questo sintetizza la vita in modo mirabile e risulta alla fine vita ancora più vera. I personaggi interpretati sul palcoscenico del teatro risultano a volte più veri di quelli che agiscono sul palcoscenico della vera vita. Mike, l’interlocutore-rivale di Riggan riesce ad amare fisicamente sul palcoscenico, meno nella vita. Riggan riesce ad esprimersi sul palcoscenico più di quanto non si sia espresso nella vita. Il supereroe Birdman, rappresentato nelle fiction, era situato al di sopra del mondo, volava sopra il mondo, dominava il mondo degli uomini. Non ha dimostrato uguale capacità Riggan nel contatto diretto con gli uomini sulla terra. Inarritu racconta l'uomo (e in particolare il maschio) nella sua fragilità e contraddizione, nei suoi sogni di gloria e le sue delusioni di vita. Racconta la presunzione, ma anche la vulnerabilità, di ogni artista, o anche di chi crede di esserlo ed è costretto a confrontarsi con l'evidenza contraria. Attraverso lo sguardo di Riggan (palesemente in difficoltà), il regista commenta su tutta la società contemporanea, sul "genocidio culturale" in corso e sulla prevalenza fagocitante dei social media, creatori di una nuova forma di ambizione, quella di diventare virale, e una nuova forma di delusione, quella di credere che milioni di contatti equivalgano ad un singolo attestato di stima. Il risultato è un film gioiosamente ridondante e tracimante di vita ed ambizione. Nella sua bulimia creativa Inarritu inanella troppi finali, ma è difficile biasimarlo per la volontà di dire troppo invece che tutto, ricordando che chi rischia cammina sempre sull'orlo dell'abisso.
Passando all'aspetto tecnico, il racconto filmico di Inarritu si avvale di dialoghi incalzanti, senza tregua. Si avvale in particolare di un linguaggio filmico innovativo (non è stato certo lui a inventarlo), ovvero cimentandosi in una serie praticamente infinita di piani sequenza all'interno dei quali gli attori recitano senza interruzioni come su un palcoscenico teatrale, entrando e uscendo continuamente dal teatro in cui si svolge prevalentemente l'azione alla strada, e dentro e fuori i camerini, i corridoi, il backstage del teatro stesso, in un gioco continuo di immagini rifratte attraverso specchi e spiragli. Birdman è apparentemente privo di montaggio (o meglio: il montaggio è molto attento a "non interrompere un'emozione") il cui ritmo è dato da una pianificazione meticolosa, una inarrestabile agilità nei movimenti di macchina, una recitazione rocambolesca, un incalzante rullo di batteria che accompagna tutte le azioni che coinvolgono Riggan. Ed è un esperimento in linguaggio cinematografico coraggioso e spaccone, reboante e ridondante, eccessivo ma funzionale alla storia che narra. A proposito di batteria, eccezionale questo nuovo tipo di colonna sonora, sincopata, ma movimentata, bella e ingegnosa. Senza dimenticare la fotografia veramente di grande livello, dopotutto ha vinto l'Oscar. Incredibile poi che proprio il protagonista e la pellicola usa il cinema come spunto, perché Birdman è anche un film di metacinema: il protagonista è
quel Michael Keaton (che interpreta anche il suo alter ego narcisista, il supereroe alato Birdman), che deve la sua celebrità all'interpretazione di
Batman (ma che è anche un grande attore, come dimostra appieno nel film); è più volte citato The Avengers, il film cui Edward Norton, ha rifiutato di partecipare nei panni di
Hulk, dopo aver litigato con la produzione del film sul gigante verde. E
c'è poi una scena in cui Inarritu fa ciò che Hollywood vorrebbe da ogni
regista, dopo aver fatto per tutto il resto del film ciò che Hollywood
detesta (tranne la notte degli Oscar): infiniti virtuosismi registici,
dialoghi interminabili, mancanza di un eroe immediatamente
identificabile. Perché quando il cinema fa autocritica, lo fa sempre ferocemente. La prova degli attori è ottima, così come le riprese non hanno sbavature, ci si perde però un po' troppo spesso in dialoghi cupi, in svolazzi pomposamente messi li per mostrare la forte autorialità che si voleva dare al film. Michael Keaton assolutamente da Oscar, Zach Galifianakis dimostra di essere un attore di tutto rispetto, con un personaggio che gli si addice, e che probabilmente è fin troppo facile per lui, lo riempie e colma il film di un certa spensieratezza e stupidità che non stona affatto. Edward Norton (irruente e carismatico) da applausi, un ruolo cucitogli addosso. La vera rivelazione però rimane Emma Stone (bellissima con quella meravigliosa faccia d'angelo, qui tormentata e avvenente), le viene dato poco tempo sullo schermo, ma lo utilizza in maniera straordinaria donandoci minuti intensi. Ma anche Naomi Watts nella sua sensibilità fragile e isterica è un importante tassello del mosaico, come pure l'insoddisfatta Andrea Riseborough. Ma alla fine nonostante qualche mia piccola perplessità, il film vale, forse l'Oscar è stato troppo forzato, ma soprattutto mi chiedo se davvero ci fosse tutto questo bisogno di dare questa bordata ai così detti blockbuster, e se il mondo di Hollywood sia davvero così disastrato e i suoi interpreti siano così mentalmente deviati. Forse sì, magari no, però in fondo le pellicole di intrattenimento, tutte azione e poco cervello, piacciono a molti, magari non agli amanti del cinema puro, ma a quelli dello spettacolo-intrattenimento sì, e in fondo il cinema è anche questo, per alcuni soprattutto, intrattenimento e spettacolo. Certo, qualcuno dirà il cinema è arte, ma lo sappiamo tutti che la concezione di arte è soggettiva. Personalmente, per questo film, non avrei pagato per vederlo, ma nonostante ciò, a molti (moltissimi) è piaciuto (anche a me ovviamente) e quindi: se amate il cinema impegnato (impegnato soprattutto a specchiarsi e a trovarsi così orribile da farci un film sopra), allora questo è il film per voi. Se volete solo essere intrattenuti, beh, lasciate perdere. Voto: 8
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