giovedì 27 dicembre 2018

Il padre (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/04/2016 Qui - Il padre (The Cut) è un drammatico, duro, scioccante, doloroso, commovente ed emozionante film del 2014 diretto da Fatih Akın. Il film rielegge una delle pagine più nere della Storia recente, che non sapevo e non conoscevo prima di vederlo, quella del genocidio armeno da parte dei turchi (che ancora adesso negano qualsiasi coinvolgimento) con l’appoggio dei tedeschi (e dell'impero ottomano) durante la prima guerra mondiale, che provocò la morte di migliaia e migliaia di armeni, colpevoli di non voler rinunciare alla religione cattolica per sposare l’islamismo. Io sicuramente come molti altri, non ricordo questo evento, rimasto oscuro per molto tempo, con questo film conosciamo qualcosa in più, anche se, nonostante appunto questo racconto, non sapremo mai come siano andati veramente gli eventi, cosa ne sia stato dei sopravvissuti e cosa invece dei cadaveri, perché tutt'oggi non esiste nessuna lapide che ricordi quei campi di concentramento, poiché i colpevoli di tale massacro di massa non sono mai stati indagati e puniti, conservando in taluni casi posizioni di potere. Nel 1915 infatti, a Mardin, in Turchia, la polizia turca approfitta della notte per fare un blitz nelle case armene, sequestrando tutti gli uomini della città. Tra questi c'è il giovane fabbro Nazaret Manoogian, che viene separato dalla sua famiglia, vittima come tantissime altre di uno dei primi genocidi programmati a tavolino. Anni dopo, sopravvissuto e catturato, messo ai lavori forzati, poi condannato a morte, vessato ogni qual volta incontri l'autorità e scampato miracolosamente all'orrore del genocidio (lasciato in vita da un sussulto di pietas provato da colui che avrebbe dovuto ucciderlo tagliandoli la gola), decide di mettersi sulle tracce delle due figlie, dopo aver saputo che sono sopravvissute anche loro alle violenze di quegli anni. L'aver scampato la morte costa però a Nazaret le corde vocali ma senza curarsi del problema d'essere muto affronterà con grandi difficoltà, aggrappandosi alla speranza e guardando il mondo con occhi nuovi, viaggi nel deserto, nelle città e infine attraverso l'oceano con la speranza di ritrovare i cari, di ritrovare le figlie da cui è stato diviso. In questo percorso, odissea (che nel caos del suo mondo in rovina, sarà più complicata del previsto), infatti attraverserà la Mesopotomia, arriverà a l'Avana, passerà per il Dakota del Nord, incontrerà persone diverse, da figure angeliche e generose a figure diaboliche, che l'aiuteranno, l'abbatteranno ma con la sua forza di volontà riuscirà in questo epico viaggio, che si concluderà con tanto di finale lieto, almeno per metà.
La pellicola, la storia, a tratti sconvolgente, è un crudo, violento e oscuro viaggio alla ricerca di un'umanità perduta, schiacciata ed evirata dall'insulsa e inutile guerra che fa dell'uomo il male assoluto. Il demonio infatti di questo film non è difficile da individuare, è sia da una parte ben precisa che in tutti gli uomini che compaiono, dovunque il protagonista si rechi c'è un suo simile pronto ad atti immondi che Akin si assicura di filmare per sottolinearne la malvagità, testimone di morte e morte, atrocità, barbarie, stupri, punizioni e vessazioni di ogni tipo. Nuove peregrinazioni, qualche aiuto improvviso del fato e la visione di Chaplin (la prima della sua vita e si intuisce anche dei luoghi che abita) in Il monello, il "muto" e determinato protagonista di mille avventure Nazaret (il bravissimo Tahar Rahim, Un amico molto speciale, Il profeta e Last panthers) testardo motore perpetuo di questo film, decide di far del ritrovamento delle due figlie, gemelle, la sua unica ragione di vita. Scontrandosi con le difficoltà legate al suo modo di comunicare, alla sua situazione economica e a nuove discriminazioni, arriverà negli Stati Uniti dopo esser passato per Cuba, sulle tracce dei viaggi della salvezza che molti armeni affrontarono per ripartire da zero. Scorrevole nonostante l’eccessiva durata (2 ore abbondanti), questo polpettone storico dalla trama intoccabile e canonica, dove tutto è nel posto in cui dovrebbe essere (i buoni, i cattivi), e dove non ci sono i guizzi dei migliori registi di kolossal, i grandi cineasti di sistema, e nemmeno le peculiarità dei pesci che nuotano controcorrente come lui, è di grande intensità. Il regista  dosa sapientemente sentimentalismo, storia, epica e citazionismo cinematografico, per costruire la storia di un novello Charlot, chiamato a interpretare il ruolo di Ulisse e a girovagare per il mondo prima di trovare un nuovo posto da chiamare casa. Senza voce, senza speranza e senza affetti, il protagonista Nazaret è il simbolo di tutte le guerre insensate e delle loro conseguenze. A rendere il discorso ancora più universale è la scelta di non far parlare il personaggio per quasi tutta la durata del film. Il taglio delle corde vocali, seppur avvenuto per sbaglio, diventa dunque via di salvezza, regalata da un turco. Turchi e armeni, sopraffattori e sopraffatti, inoltre, non sono mai simbolo del male e del bene estremizzati. Strizzando l'occhio alla politica, entrambi i popoli sono connotati da tratti benevoli e da tratti malevoli e Nazaret stesso, interpretato da un convincente ma a tratti acerbo Tahar Rahim, ne è testimone. Un film epico, intenso e bello, una pellicola ben girata, onesta, abbastanza coinvolgente e con una musica ottima a commento delle vicende e delle ambientazioni. Con sfondi e paesaggi che cambiano in continuazione e una fotografia che sposa in toto la storia senza mai sovraccaricarla, The Cut è di gran lunga il progetto più ambizioso della carriera di Akin e i risultati fortunatamente lo ripagano, nonostante qualche retorica di troppo. Anche se la linearità del racconto è troppo prevedibile, e che l'orrore dello scarsamente conosciuto genocidio degli armeni tralascia di investigare cause e responsabilità, limitandosi ad incolpare astrattamente la guerra e la malvagità degli uomini, il film vale, e tanto. Da sottolineare poi molto scene di grande impatto, alcune anche forti, crudeli, alcune intense, disperate, ma a me nonostante qualche dose di noia (che non poteva ovviamente mancare in questo lungo e lento viaggio) è piaciuto molto, veramente bello. Da vedere. Voto: 6,5

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