giovedì 27 dicembre 2018

Third Person (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/04/2016 Qui - Third Person è un drammatico film del 2013 scritto e diretto dal premio Oscar Paul Haggis (Crash). Il film racconta (in 3 episodi distinti) tre storie d'amore, passione, fiducia e tradimento che prendono vita in tre città diverse, Parigi, New York e Roma, nelle quali si dipanano le vicende di tre coppie che sembrano non avere nulla in comune, se non un flebile, impalpabile legame. A Parigi incontriamo il classico scrittore fallito (che nemmeno l'abilità consumata di Liam Neeson riesce a rendere), in crisi di ispirazione. Michael è però un premio Pulitzer, ma alle prese con un nuovo libro che non trova la strada. Da tempo non è più lo scrittore duro, vero e folgorante dell'esordio. C'è stato un grande dolore nella sua vita, che sta provando a superare a suo modo. L'uomo, che ha recentemente lasciato la moglie Elaine (Kim Basinger, sprecata in patetiche conversazioni al telefono), sta infatti vivendo una (classica e focosa) relazione burrascosa con la giovane, ambiziosa e tormentata scrittrice Anna (Oliva Wilde che nel ruolo di dark lady instabile è decisamente la meglio riuscita). Una donna che desidera esordire nella narrativa e che quindi sa perfettamente quello che vuole (o almeno crede di volere), ma che nasconde un oscuro segreto. Ma mentre i due bisticciano in un grande hotel di Parigi, nello stesso momento, a Roma, un ambiguo affarista americano (che si trova in città per rubare gli schizzi dei nuovi modelli di famose case di moda, e che odia qualsiasi cosa sia italiano), in cerca di qualcosa di decente da mangiare (in un bar 'americano') si imbatte in una zingara, Monika (Moran Atias), una gitana dalla bellezza mozzafiato. Scott (Adrien Brody) se ne innamora perdutamente, e quando i soldi che la donna aveva risparmiato per salvare la bambina dalle mani di un trafficante (efferato sequestratore così per dire) le vengono rubati, si sente in dovere di aiutarla ed è disposto a darle tutti i soldi che possiede per toglierla dai guai. Pian piano però inizia a sospettare di essere la vittima di una truffa ben congegnata, la figlia esiste veramente o no? (non lo sapremo mai). A New York invece, un'ex attrice di soap opera Julia (Mila Kunis non più Black Swan), una volta grande frequentatrice di hotel di lusso è ora costretta a lavorare come cameriera in uno di questi per riuscire a pagare l’avvocato e le ingenti spese penali per ottenere la custodia del figlio, dopo un grave (e oscuro) incidente domestico, ora sotto la tutela del suo ex marito Rick (James Franco), un famoso e ricco artista newyorkese. Nonostante l'ex marito faccia di tutto per ostacolarla, il suo avvocato Theresa (Maria Bello), le sta però procurando un'ultima possibilità per far cambiare idea al tribunale. Riusciranno a uscirne indenni? Forse si, ma il finale enigmatico non spiegherà praticamente niente.
Imperniato sulle relazioni amorose di coppie distrutte dall'amore, proprio quel sentimento che dovrebbe unire e che invece qui è totalmente asservito alle sue declinazioni più distruttive: il tradimento, l'imbroglio e la terribile indifferenza nei confronti di un figlio, Third Person vanta un cast sicuramente eccezionale ma senza una trama fluida, abbastanza latitante di originalità e creatività, a farne le spese sono prima di tutto loro, quasi tutti sottotono e sprecati. Ma è tutta la struttura a non stare in piedi, soffocata da una sorta di sentimentalismo intellettuale e da una pesante programmaticità. Comunque romantico e intenso quello con Neeson a Parigi, movimentato (ma anche imbarazzante) quello con Brody in Italia, drammatico ma poco emotivo quello con la Kunis a New York. Un insieme di melodrammi assai noti al grande pubblico, questo il grande limite di Third Person. Se da un lato, l’idea di intessere gli arabeschi del destino (come diceva qualcuno elegantemente), le coincidenze che permettono di entrare in contatto con personaggi inaspettati, è sicuramente interessante pur se vanamente nota, dall'altro discuterne con un piglio scarsamente empatico e con una chiave di lettura nota a priori sin dalle prime scene appesantisce non poco una sceneggiatura che cerca un colpo di sorpresa che mai arriva, se non nell'episodio con la sensuale Olivia Wilde (che qui vediamo quasi totalmente nuda, l'elemento più interessante), una scioccante, controversa e direi contronatura verità. Il coinvolgimento alla trama è minimale: nelle fisime mentali di Liam Neeson passiamo all'interessamento fin troppo immediato di Adrien Brody, sino ai pallidi tentativi di rivalsa di una Mila Kunis che nelle scene madri del film ("la stanza d'albergo con le rose bianche", l'essere trascinata come una pezza vecchia dal marito fuori dall'appartamento senza riuscire a toccare l'adorato figlio cui drammaticamente tende una mano aggrappandosi a tappeti e ogni altro suppellettile), rivela un andamento sentilmental-programmatico, Third person anela a una "complicità" che si tramuta solo in noia. Un film appunto noioso, fiacco e stracco. Inutile ed intuibile (non tanto) il colpo di scena finale.
Il film ha, aveva, comunque e certamente tutti gli ingredienti per essere un bel film. Ben girato, ben ambientato, gli interpreti sono corretti, la colonna musicale buona, la storia o meglio le storie interessanti ma tutti questi ingredienti mescolati insieme sembrano non dare il risultato sperato. Insomma, Haggis sa il fatto suo in quanto la capacità attoriale degli interpreti, la scelta delle inquadratura, gli attimi meta-narrativi (sulla chiusura di una porta a Parigi e l’apertura a Roma, ad esempio) sono valide e frutto di accurata scelta fotografica ma l’omaggio alle città amate dal regista, l’intento di voler realizzare un film sulle “sfumature dell’amore”, la terza persona inaspettata, manca proprio di affascinante piglio e presa diretta sullo spettatore che alla visione di uno stranito Adrien Brody (nella storia più debole) a Roma turlupinato dalla bella di turno in un "bar americano" (dove chiaramente nessuno parla inglese e dove è evidente il sorriso ironico  sull'opinione di uno straniero riguardo il nostro bel paese), fa rimpiangere i vecchi film melò anni '60. Vecchi sì, è vero, ma emozionanti almeno. Il film però mantiene un suo fascino e crea un'atmosfera accattivante, giocata prevalentemente sulla lentezza dei gesti delle parole. Malgrado la sua lunghezza, nonostante anche una struttura sicuramente artificiosa e malgrado i frequenti alti e bassi non perde mai di tensione ed invita a riflettere ed a discutere. Quello che si voleva fare non è proprio riuscito ma il risultato è un prodotto buono ed anche interessante, che attira. Certo non è proprio un granché, certamente una volta si può vedere, ma io consiglio di lasciar perdere. Voto: 5,5

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