Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/04/2016 Qui - Mia madre è un intenso e delicato film (del 2015) di grande sensibilità, diretto da Nanni Moretti e scritto dal regista insieme a Francesco Piccolo e Valia Santella, e racconta il difficile periodo di una regista di successo, divisa tra il set del suo nuovo film e la sua vita privata. Il film, presentato in concorso al 68º Festival di Cannes, ha ricevuto 10 minuti di applausi (un po' eccessivi secondo me), ed è interpretato da Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini e dallo stesso Moretti, che continua a recitare nonostante secondo me non sia adatto, con la sua voce e i suoi modi mi irrita non poco, meglio come regista, anche se sono veramente pochi i suoi film meritevoli di attenzione, almeno personalmente, i suoi film spesso politicizzanti e noiosi, non sono facili da digerire. Comunque ho apprezzato molto Habemus Papam, a tratti anche divertente, e fluido. Ma passiamo a questo film, questa storia, in fondo intima e dolorosa risolta con una leggerezza (prima di tutto estetica) straordinaria, questo nonostante una struttura non lineare, dove realtà e sogno, in maniera ancora più evidente rispetto a Habemus Papam, si compenetrano, a volte senza soluzione di continuità. Margherita è una regista, che sta girando un film sul mondo del lavoro, un film impegnato sulla crisi economica italiana dove si racconta lo scontro tra gli operai di una fabbrica e la nuova proprietà americana che promette tagli e licenziamenti, di cui ha chiamato come protagonista un eccentrico e bizzoso attore americano. Oltre quindi a dover gestire la complessità del set corale di un film politico, deve fare i conti con le bizze di questa star italo-americana che ha scelto per interpretare il ruolo del nuovo proprietario, l' importante attore americano Barry Huggins (John Turturro), un attore in crisi, ostaggio della sua maschera di divo, qui esasperata dal provincialismo del cinema italiano. Ma Margherita è alle prese con una catastrofica vita privata, completamente in balia della madre morente (ricoverata in ospedale, che assiste assieme al fratello Giovanni, fratello e figlio perfetto che è sempre un passo avanti a lei) e della figlia adolescente Livia, che frequenta malvolentieri il liceo classico in ossequio alla tradizione famigliare impressa dalla nonna (insegnante di latino e greco). Margherita è anche separata, ha però un amante, attore nel film impegnato, mollato all'inizio delle riprese, ma soprattutto una vita confusa, solitaria e complicata. Tra le riprese di un film che si rivelano più complicate del previsto, e il dolore per un lutto che si sa imminente e non si sa come gestire, Margherita confonde realtà, sogno, ricordo e deve trovare la sua strada in tutta quella sofferenza.
Mia madre è un film profondo e sincero, tanto da essere quasi crudele per il lavoro che compie di scavo ineluttabile e autentico, ma è anche un film sul cinema, sul rapporto tra realtà e finzione. Il film è ben fatto, ben diretto. La Buy (che non questo ruolo ha il vinto il David e il Nastro d'argento 2015 come miglior attrice protagonista) è un bel personaggio, la mamma adorabile ma su tutti spicca la bravura e la simpatia di Turturro (che sembra anche sprecato, ma menomale che c'è). Margherita è regista impegnata, non travolta dal successo, non impegnata in una vita distratta da vuoti impegni mondani. Fa film impegnati ed è mamma preoccupata degli studi della figlia. Assiste la mamma con tutto l'amore e la dedizione che le è possibile. Insomma uno spaccato di vita vera senza mistificazioni, di gente perbene con cui molti di noi si possono identificare. E tuttavia tutti sono stressati, ripiegati, stanchi. Margherita, separata, ha una nuova vita privata sulla quale non ha tempo di soffermarsi e al momento opportuno il compagno, recentemente lasciato, le rimprovera un vita affettiva disattenta. Tutte queste vite hanno in comune un forte senso di dignità di correttezza cresciute ed educate coltivando il piacere della conoscenza grazie anche a una mamma che lascia e che ha lasciato un ricordo di se ai suoi ex amati studenti che l'hanno sempre vista come una seconda madre. Ma nonostante una buona regia, buoni attori, e nonostante la bravissima Giulia Lazzarini (anch'essa vincitrice insieme alla Buy di un Nastro d'argento, ma come migliore attrice non protagonista, anche ai David di Donatello di cui pochi giorni fa c'è stata l'edizione 2016), la sceneggiatura, non solo non è sublime perché la quotidianità non lo è, ma è quasi inesistente, con dialoghi banali, un montaggio musica-immagini maldestro molti difetti narrativi, e certi piccoli errori medici. I personaggi complessi e difficili, sembrano a tratti ridicoli, la regista Buy è 'impegnata' sui soliti temi, le fabbriche e i padroni, forse esageratamente fuori di testa nei comportamenti ma è evidente che il suo dolore lo vive così, Moretti, consapevole della impossibilità di miglioramento della madre tanto che si assenta a lungo dal lavoro per starle vicino, persino le prepara il cibo per evitarle quello dell'ospedale, è però un personaggio scialbo e insignificante, e la figlia sedicenne non va un millimetro in profondità. L'unica accettabile è proprio la madre, molto amata, non troppo sfigurata dalla scrittura mediocre e ottima attrice. Ovviamente è un film "tosto", anche superficiale e stereotipato, non il migliore di Moretti: un omaggio ad una madre molto amata e non dimenticata, anche se tutto sembra essere solo più una patetica autocelebrazione del suo cinema, lui che crede ancora di dire qualcosa al mondo, senza mai riuscirci. Certamente rimane una lettura del nostro tempo molto problematica, che non prefigura orizzonti densi di grandi speranze. Induce a una riflessione molto discreta ma estremamente significativa. Il film ha una sua eleganza che non balza immediatamente agli occhi ma alla quale si arriva con pacata riflessione. Ognuno è invitato a interrogarsi sul senso delle proprie vite e le risposte possono essere non sempre piacevoli. Un film comunque interessante di significati ma anche e soprattutto vuoto nei movimenti, nei modi noiosi e lenti di una pellicola che non smuove, non commuove se non a chi sa cosa vuol dire tutto ciò che il film si prefissa di comunicare e dire. Sicuramente non eccezionale ma non così disprezzabile come temevo all'inizio. Voto: 6
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