giovedì 10 gennaio 2019

Fury (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/03/2016 Qui - Fury è un potente e crudo film bellico del 2014, che racconta più che la guerra vera e propria, l'aspetto umano, sociale, intimo e personale di un gruppo di soldati, fiancheggiati da una estenuante e logorante battaglia. Visto che mi piacciono i war movie e visto che il cast era interessante non potevo perdermi questo film, scritto e diretto da David Ayer, già autore di Training Day e The Fast and Furious. Con Fury siamo però di fronte ad un film di guerra puro ma diverso, raccontato dal punto di vista di un gruppo di soldati alla guida di un carro armato che ha il compito di ripulire dai nemici il passaggio per l’esercito alleato che sta marciando in Europa verso Berlino, ma che indaga l'orrore della guerra concentrandosi sulle ultime due settimane della seconda guerra mondiale in seno all'esercito alleato in Germania, aggrappandosi e seguendo gli umori disincantati, eccitati, terrorizzati di cinque uomini uniti da un carro armato e da un destino simile. Fury ha una struttura narrativa abbastanza semplice, tutto ciò che accade nel film infatti si svolge nell'arco di 24 ore, dall'alba di un giorno al tramonto del giorno dopo (anche se per girarlo ci sono invece volute dodici settimane). Germania, aprile 1945. Mentre gli Alleati completano l'avanzata nel territorio europeo, per l'agguerrito sergente Don Collier (Brad Pitt) la guerra sembra non finire mai, sopravvissuto al deserto africano e alle spiagge della Normandia, guida (da carismatico Leader) un'unità di cinque soldati (di diversa estrazione e diverso carattere) a bordo di un carro armato Sherman chiamato Fury. Inviato in missione dietro le linee nemiche e perduto in uno scontro a fuoco il loro tiratore, reclutano Norman Ellison (Logan Lerman), un giovane soldato a disagio con la guerra e la violenza. Ribattezzato dalla sua squadra Wardaddy, Don si prende cura come un padre del ragazzo, che inizia ai rudimenti della guerra con metodi poco ortodossi. Don comunque è una sorta di padre anche per gli altri, odia i nemici quanto prova affetto per i suoi uomini: Boyd (Shia LaBeouf), l'artigliere che fa sparar un cannone di 70 mm ad alta velocità, che uccide e cita la Bibbia; il conducente del tank Trini Garcia (Michael Peña), che rende omaggio ai circa 350 mila messicano-statunitensi che hanno combattuto la seconda guerra mondiale; il caricatore Grady Travis (Jon Bernthal), provocatore, cinico e rozzo eppure fraternamente leale. In evidente inferiorità numerica e mal equipaggiati, Wardaddy e i suoi uomini devono affrontare ogni avversità nel tentativo di colpire al cuore della Germania nazista. Avanzare contro il nemico, abbatterlo e sopravvivergli favorisce la confidenza e il cameratismo tra gli uomini di Don, che impavidi hanno deciso di seguirlo in un'ultima impresa contro trecento soldati tedeschi. Un'ultima linea armata prima della libertà e della pace.
L'inizio del film è avvincente, schietto e diretto, fa sperare di essere davanti ad un film verosimile, non alla solita pellicola fatta per esaltare l' americano medio. Fino a tre quarti del film difatti è così, i protagonisti vengono fatti apparire come rissosi ed inutilmente violenti, sia fisicamente che psicologicamente. Il film però punta sulla messa in scena realistica degli scontri e dello strazio provocato dalla guerra, 'gli ideali sono pacifici..la storia è violenta!'. Il regista mette in evidenza la sofferenza e la paura degli uomini in maniera davvero pregnante riuscendo così nell'operazione più delicata e importante per il successo di una pellicola, ovvero l’immedesimazione con i protagonisti da parte degli spettatori, e sulla scia dei suoi precedenti film, anche in Fury gli elementi centrali diventano l'amicizia e l'amore fraterno vissuti nelle circostanze più estreme. Al centro della narrazione infatti c'è il rapporto tra Don e Norman, giovane e ingenuo ma è dalla sua capacità di giudizio che dipende la vita dei suoi commilitoni. Per questo, senza scrupolo alcuno, Don lo strappa alla sua innocenza con quella tremenda scena dell'uccisione del prigioniero tedesco. Ma soprattutto una scena (quasi da strappalacrime), che segna nel profondo il ragazzo, quella dopo nell'appartamento delle due donne (un pranzo alquanto bizzarro in una situazione delicata), quando probabilmente l'amore della sua vita (Emma) le viene strappata dalla crudeltà della realtà, dalla guerra. La regia e' valida, le scene di combattimento sono esaltanti, scene di guerra davvero realistiche e ben girate (anche se qualche particolare a mio parere e' rivedibile, un Tiger tedesco non avrebbe avuto difficoltà a spazzare via tutto, anche 5 Sherman, quindi riuscirlo a circondarlo e metterlo fuori era quasi impossibile e poi i soldati tedeschi appaiono troppi idioti e ridicoli come invece non erano affatto), girate con grande efficacia, tensione e spettacolarità, una spettacolarità che per fortuna non eccede mai tanto da diventare fine a se stessa. Non è infatti la guerra come esaltazione della battaglia a tendere il filo conduttore narrativo del film, quanto piuttosto l’aspetto umano e morale di coloro che la interpretano. Si fondono perfettamente due livelli, quello spettacolare e quello emotivo-empatico ed è sicuramente in quest’ultimo frangente che emerge tutta la bravura di un Pitt che cosi come tutto il cast, offre una notevole interpretazione, regalandoci un’interpretazione davvero intensa, forte e struggente, dura e malinconica al tempo stesso. Crudeltà e sofferenza, azione e adrenalina si fondono poi tutte insieme nella bellissima scena finale che se può risultare un po’ scontata, quasi irrealistico e semplicistica (anche se credo che in fondo ci stia), tra le varie scelte narrative che si potevano effettuare per concludere la storia, ha dalla sua sicuramente il fatto di essere girata con grande stile ed efficacia come del resto lo è tutto il film. Certo, il finale alla trecento, un po troppo spettacolarizzato e un po evidentemente scontato, delude un po', poco giustificato, esagerato e che vuole far esaltare lo spettatore medio senza portare nulla di nuovo sullo schermo. L'idea è molto buona, vincente e con un cast che funziona, ma non convincono le scene di denigrazione della guerra ed ancora meno quelle che vorrebbero esprimere la follia e l'irascibilità generata dal conflitto.
E' comunque un war movie solido, come l'interpretazione dal carisma burbero del suo perno, alterna scene di ordinaria brutalità umana, che cerca il realismo più che lo splatter: pezzi di volto strappati, cadaveri nella melma resi poltiglia dai cingoli dei tank, teste spazzate via. A questa estetica cruda si contrappongono le scie luminose e colorate tracciate dai proiettili, che sembrano provenire dal mondo dei videogiochi più che dalla realtà a cui siamo abituati. I traccianti, che effettivamente contengono una piccola scarica pirotecnica, sono l'unico intervento in computer grafica effettuato da Ayer & co. Dopo un inizio da subito al centro del campo di battaglia e della morte, la parte centrale (più riflessiva e mirata alla conoscenza dei personaggi) concede non pochi momenti di stanchezza, di noia. Il coinvolgimento e la tensione s'impennano in maniera esponenziale sul memorabile ed epico finale. È il primo film che rappresenta le immagini e le vicende svolte da soldati che combattono nello proprio carrarmato, come se fosse una relazione tra corpo macchina. Non si abbandona il proprio carro neanche nel momento più incredibile "il carro fuori uso" e lì che rimangono i soldati ad a affrontare il nemico fino all'ultima munizione, fino alla morte. Per la ricostruzione storica ci si è avvalsi di due consulenti di tecniche militari, che hanno addirittura messo su un campo di addestramento per i cinque attori principali, per una simulazione quanto più realistica e farli diventare un affiatato equipaggio di tank. Mentre un ex-paracadutista dell'esercito inglese molto interessato alla Germania dell'epoca nazista, ha dato la sua supervisione per la controparte tedesca. I realizzatori come pure gli attori hanno conosciuto diversi veterani, tutti novantenni. Per girare sono stati usati cinque carri armati originali statunitensi, tutti modelli diversi dell'M4 Sherman Tank, che nel film sono stati soprannominati Fury, Matador, Lucy Sue, Old Phyllis e Murder Inc. Per guidare i tank sono stati scelti uomini che avevano di recente combattuto in Afghanistan o in altri teatri di guerra. Per il carro armato Fury durante la produzione sono stati utilizzati tre veicoli. Per le riprese all'interno di Fury, lo scenografo ha ricreato l'interno del carro armato, con ogni parete removibile per consentire ad Ayer di filmare da qualsiasi angolatura. Degli imponenti Tiger tedeschi sono rimasti soltanto sei originali dell'epoca; il Tank Museum ha fornito l'unico esemplare ancora funzionante, il Tiger 131. Per esigenze di copione è stato ricreato anche un Tiger finto. La vita all'interno del carro armato Fury è ispirata alle memorie dei veterani. In guerra venivano sparati talmente tanti proiettili che il calore sprigionato poteva fondere la canna. Nonostante i centimetri di metallo che ti proteggono, stare a bordo di un carro armato quando il nemico ti spara addosso è una sensazione ancora più straziante di quanto si possa immaginare, non hai nessun posto in cui nasconderti. A mio parere quindi, tanto lavoro e tanta pazienza per realizzare, uno dei migliori film di guerra degli ultimi 10 anni. Voto: 6+

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