Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2024 Qui - Ridicolarizzare la politica estera americana narrando la megalomania di generali scollegati dalla realtà è un tema centrale che spesso sfugge alle riflessioni stesse di militari e politici: la limitata o inesistente conoscenza del territorio, la mancata comprensione degli abitanti e, di conseguenza, le inevitabili conseguenze a lungo termine delle guerre condotte dagli Stati Uniti (e dall'Occidente in generale). Il film rappresenta una situazione grottesca, oscillando (forse non sempre in modo fluido) tra la commedia nera e la denuncia, dal grottesco umano al dramma finale. Sebbene il film presenti debolezze (come una voce narrante troppo presente), espone anche le ipocrisie della politica estera americana con uno script che, finalmente, fornisce un'analisi precisa della realtà storica internazionale, evitando gli errori grossolani che spesso caratterizzano tali film. Questo film, seppur non particolarmente coinvolgente e tendente alla ripetitività, degno di nota per la sua integrità. Voto: 6 [Netflix]
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venerdì 31 maggio 2024
War Machine (2017)
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giovedì 31 marzo 2022
Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli (2021)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2022 Qui - Film a mio parere piuttosto scialbo e privo di elementi particolarmente
interessanti. Un vero peccato, perché da un film Marvel ambientato in
Cina mi sarei aspettato un po' di coraggio in più soprattutto a livello
di regia (da un regista, Destin Daniel Cretton, che tra l'altro viene da
Il diritto di opporsi, genere completamente diverso). Così non è stato,
e in generale Shang-Chi ricalca il prodotto Marvel medio senza essere
troppo esaltante o troppo orribile. Personalmente mi ha divertito, nel
complesso, anche se è lontano dall'essere memorabile. Alcuni espedienti
funzionano bene, soprattutto quelli comici, ma nella parte centrale ci
sono tante di quelle forzature che, rispetto al tono iniziale,
sviliscono il film. Un po' posticci i riferimenti ad altri film Marvel,
ma anche i personaggi sono troppo monodimensionali, se non fosse per un
Tony Leung davvero in forma ma che spesso viene fatto passare per fesso.
Forse un prologo eccessivamente lungo e verboso, i combattimenti sono
invece ben coreografati e gli effetti speciali (candidati agli Oscar)
seppur esasperati sono di gran qualità. Nel complesso il film una
visione se lo merita ma se avessero gestito meglio il tutto sarebbe
stato preferibile, così rimane un prodotto uguale a
tanti altri. Shang-Chi ci lascia dei personaggi
poco carismatici (a parte Awkwafina prezzemolina) e un protagonista fin troppo semplice. Voto: 6
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martedì 30 novembre 2021
Locked Down (2021)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2021 Qui - Interamente ambientato e girato durante la pandemia e completamente integrato nella stessa, il nuovo film di
Doug Liman (quello di Barry Seal per intenderci) è brillante nella sua
lettura, non perfetto ma certamente più originale dell'italiano,
prevedibilmente orrido, Lockdown. La protagonista del film è la sempre
affascinante Anne Hathaway supportata dal bravo Chiwetel Ejiofor in una
storia a metà fra la commedia romantica ed il sottogenere heist quasi
interamente retta sul lavoro dei due attori. Il film funziona fin quando
la pandemia detta i confini e le riflessioni sull'evento esterno che,
mettendo in pausa la routine (altro confinamento), fa deperire le
convinzioni sulla propria esistenza privata/lavorativa. Steven Knight
(talentuoso sceneggiatore che tuttavia con Serenity fece un buco nell'acqua) è abile nel vivacizzare le dinamiche con
videochiamate, tormentoni, il mix di generi e aperture all'esterno (le
poesie diegetiche declamate per strada). Funziona fin quando il regista è
al servizio degli interpreti, degli estri della sceneggiatura in
interni e non promuove troppo una commedia sin lì piacevolmente parca
(grande Ben Kingsley). Con un titolo così evocativo e contingente,
invece, gli autori ad un certo punto pretendono la sospensione
d'incredulità con l'heist movie compiacente ed inverosimile. Nonostante
ciò, ed anche se a tratti approssimata, opera gradevole. Voto: 6
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lunedì 2 dicembre 2019
Stonehearst Asylum (2014)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2019 Qui
Tema e genere: Thriller psicologico dalle ambientazioni gotiche che sviscera il tema della pazzia.
Trama: Recentemente laureatosi alla scuola di medicina di Harvard, il giovane medico Edward Newgate (Jim Sturgess) fa il suo apprendistato presso un istituto di igiene mentale. Qui, ha modo di conoscere Eliza Graves (Kate Beckinsale), una delle pazienti. Innamorandosi di lei, si ritroverà coinvolto in una serie di circostanze molto più complicate e pericolose di ciò che sembrano.
Recensione: La storia, come detto, è ambientata in un fittizio manicomio inglese di fine ottocento dove, casualmente, il nostro protagonista si troverà immischiato in strani avvicendamenti, causati a quanto pare dal direttore nel tentativo di mascherare la verità. La trama non è una delle più fresche ed innovative (Shutter Island ad esempio) ma riesce comunque nell'intento di intrattenere e convincere durante l'intera durata. L'opera di Brad Anderson (regista non di primo pelo, ha diretto per esempio il discreto L'uomo senza sonno), basata su di un racconto di Edgar Allan Poe (Il sistema del dott. Catrame e del prof. Piuma), passa dalla parvenza horror al thriller psicologico con la (riuscita) pretesa della denuncia socio-politica, dove i veri pazzi sono coloro che ci governano. Addobbato con tanto di twist finale, questo thriller (perché di questo alla fine parliamo), difficilmente può fare impazzire i non amanti del genere, ma può convincere coloro che amano manicomi, omicidi e le trame assurde (come me). La durata non eccessiva e il cast stellare (quest'ultimo vanta tra gli altri, i nomi di Jim Sturgess e Kate Beckinsale, il primo all'epoca reduce dalla più che discreta interpretazione ne La Migliore Offerta, la seconda eroina romantica di film come Pearl Harbor e The Aviator, ma soprattutto eroina feroce nel mondo di Underworld, ad accompagnarli mostri sacri come Ben Kingsley, che, guarda caso, aveva già interpretato il ruolo del gestore di un manicomio in Shutter Island di Martin Scorsese, nel ruolo di un medico folle e distrutto dai dolori della guerra e Michael Caine, come sempre all'altezza dell'interpretazione breve ma essenziale) fanno di Stonehearst Asylum un buon titolo, nulla di più. Un film interessante e riuscito, non privo di colpi di scena, atmosfera "riuscita" per raccontare una storia sulla follia e sulla mente umana.
Trama: Recentemente laureatosi alla scuola di medicina di Harvard, il giovane medico Edward Newgate (Jim Sturgess) fa il suo apprendistato presso un istituto di igiene mentale. Qui, ha modo di conoscere Eliza Graves (Kate Beckinsale), una delle pazienti. Innamorandosi di lei, si ritroverà coinvolto in una serie di circostanze molto più complicate e pericolose di ciò che sembrano.
Recensione: La storia, come detto, è ambientata in un fittizio manicomio inglese di fine ottocento dove, casualmente, il nostro protagonista si troverà immischiato in strani avvicendamenti, causati a quanto pare dal direttore nel tentativo di mascherare la verità. La trama non è una delle più fresche ed innovative (Shutter Island ad esempio) ma riesce comunque nell'intento di intrattenere e convincere durante l'intera durata. L'opera di Brad Anderson (regista non di primo pelo, ha diretto per esempio il discreto L'uomo senza sonno), basata su di un racconto di Edgar Allan Poe (Il sistema del dott. Catrame e del prof. Piuma), passa dalla parvenza horror al thriller psicologico con la (riuscita) pretesa della denuncia socio-politica, dove i veri pazzi sono coloro che ci governano. Addobbato con tanto di twist finale, questo thriller (perché di questo alla fine parliamo), difficilmente può fare impazzire i non amanti del genere, ma può convincere coloro che amano manicomi, omicidi e le trame assurde (come me). La durata non eccessiva e il cast stellare (quest'ultimo vanta tra gli altri, i nomi di Jim Sturgess e Kate Beckinsale, il primo all'epoca reduce dalla più che discreta interpretazione ne La Migliore Offerta, la seconda eroina romantica di film come Pearl Harbor e The Aviator, ma soprattutto eroina feroce nel mondo di Underworld, ad accompagnarli mostri sacri come Ben Kingsley, che, guarda caso, aveva già interpretato il ruolo del gestore di un manicomio in Shutter Island di Martin Scorsese, nel ruolo di un medico folle e distrutto dai dolori della guerra e Michael Caine, come sempre all'altezza dell'interpretazione breve ma essenziale) fanno di Stonehearst Asylum un buon titolo, nulla di più. Un film interessante e riuscito, non privo di colpi di scena, atmosfera "riuscita" per raccontare una storia sulla follia e sulla mente umana.
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domenica 9 giugno 2019
Boxtrolls: Le scatole magiche (2014)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/10/2018 Qui - Dopo la felicissima esperienza fatta con il bellissimo Kubo e la spada magica non vedevo l'ora di recuperare (oltretutto era già in lista) il precedente film della Laika, quel Boxtrolls: Le scatole magiche (The Boxtrolls), film d'animazione del 2014 realizzato in stop motion, diretto da Graham Annable e Anthony Stacchi, che si basa sul romanzo illustrato Arrivano i mostri! (Here Be Monsters!) di Alan Snow, che fu candidato agli Oscar 2015 come miglior film d'animazione, premio che però poi vinse l'altrettanto bellissimo Big Hero 6, cosa che purtroppo non è questo film. Perché se anche il film allo stesso tempo riesce ad essere perspicace nella prospettiva dei personaggi, non solo caratterialmente parlando, ma specie nel menefreghismo di alcuni di essi, il film non a caso è ambientato in epoca vittoriana, considerata tra una delle più buie e nitide di sempre (guarda caso film in stop motion in epoca vittoriana è La Sposa Cadavere, che testimonia l'intolleranza di certa gente, specie degli aristocratici, dopotutto in questo film, il sindaco della cittadina in questione è la rappresentazione del menefreghismo generale, specie nella figlia che, nonostante tende ad avere un rapporto col padre, non ci riesce), perché se anche il film non delude e risulta comunque riuscito (perché visivamente affascinante), esso è certamente un film lievemente inferiore ai due precedenti a questo, ovvero Coraline e La Porta Magica e Paranorman, ed ovviamente a quel piccolo gioiello di Kubo (seppur è venuto dopo), poiché il film è poco poco più lento rispetto ai primi due (e al successivo) della Laika, che avevano un ritmo più fluido, ed è inoltre molto prevedibile. E tuttavia, nonostante ciò, ho apprezzato lo stesso ciò che è scaturito. Giacché Boxtrolls: Le scatole magiche, conferma la straordinaria firma autoriale che la Laika (che si propone da sempre di unire sperimentazione e tradizione) riesce a imprimere sui suoi lavori. Infatti, sia Coraline che ParaNorman avevano una cifra stilistica comune che oggi si ripete pienamente anche in Boxtrolls. Innanzitutto, caratteristica comune dei prodotti Laika è l'essere realizzati in stop motion 3D, poi deve esserci essenzialmente un gusto per il macabro e il goticheggiante, ed è quello che accade, qui difatti, ancora una volta, è il sottofondo inquietante a farla da padrone, complice la grafica in stile grottesco sul modello Tim Burton e le sceneggiature scure ed inquietanti (anche se pur ricordando quello stile ne da però una versione più comica, soft e meno noir).
venerdì 31 maggio 2019
Guida tascabile per la felicità (2013)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2018 Qui - Non esiste una guida tascabile per la felicità in generale, men che meno se si è adolescenti con un presente drammatico e tragico per la scomparsa di un genitore. Il film Guida tascabile per la felicità (A Birder's Guide to Everything), film indipendente del 2013 diretto da Rob Meyer, cerca di far coincidere il racconto del passaggio di un periodo cruciale nella vita di ogni persona e l'elaborazione del lutto che porta alla formazione e alla maturazione dei sentimenti, tentando la via della commedia per certi versi leggera ma delicata, senza calcare la mano né eccedere in un senso o nell'altro. Ne esce fuori un film per ragazzi che sa comunque parlare con una certa maturità, nonostante temi e dinamica già viste e usate nel cinema, gradevole e simpatico in alcuni momenti e più riflessivo in altri, ben interpretato e diretto senza sbavature, dotato di una sobrietà di fondo che coinvolge pur nel suo essere ordinario e privo di grandi acuti. Il film infatti, una commedia (praticamente un romanzo di formazione) dai toni allegri e divertenti rivolta ai ragazzi, tratta con toni delicati diversi temi universali dai rapporti familiari, all'amicizia, alla morte fino ai primi amori, in sostanza parla dei sentimenti, ma senza banalità grazie anche alle capacità dei suoi attori in particolare del protagonista, Kodi Smit-McPhee. Quest'ultimo interpreta David, un adolescente appassionato di birdwatching (hobby che riguarda l'osservazione e studio degli uccelli in natura e prevede la capacità di osservazione e di ascolto per il riconoscimento dei diversi canti degli uccelli), rimasto da poco orfano della madre che, in difficoltà nei rapporti con il padre che sta per risposarsi e che dopo aver intravisto un'anatra del Labrador, data per estinta a fine '800, compie un viaggio (proprio nel weekend del fatidico matrimonio) insieme agli amici Peter e Timmy e ad una ragazza, abile nella fotografia, su cui David ha timidamente messo gli occhi, per ritrovarla. Ma se ci riuscirà non è lecito sapere qui e adesso, di sicuro però la "caccia" fotografica si trasformerà in una lezione di vita per questi giovani e a trionfare saranno come sempre i buoni sentimenti.
mercoledì 15 maggio 2019
Autobahn: Fuori controllo (2016)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/03/2018 Qui - Partendo dalle cose essenziali, bisogna ammettere che Collide (come da titolo originale) non vuole essere un prodotto originale o innovativo, non cerca di essere un prodotto destinato ai cinefili di nicchia e nemmeno una pellicola per cui stracciarsi le vesti. Anche perché Autobahn: Fuori controllo (2016), prodotto da Joel Silver (e da quelli di Matrix e Sherlock Holmes) e diretto dal regista di Welcome to the Punch Ervan Creevy, è un'opera che sembra cercare costantemente il basso profilo, un action-romantico che vorrebbe essere un qualche cosa di diverso dalla massa ma finisce per somigliare a troppi altri film. Eppure questo film d'azione onesto che fa il suo dovere, senza annoiare, e che annovera tra i suoi punti di forza una regia vertiginosamente veloce e un ritmo serrato che cattura lo spettatore e lo catapulta al centro dello spettacolo, è un buon prodotto di puro intrattenimento abbastanza divertente da vedere nonostante alcuni evidenti difetti. Dopotutto gli ingredienti che costituiscono lo script sono quanto di più classici e prevedibili, droga, auto da corsa, soldi e due boss mafiosi pericolosi che si odiano a vicenda e tra i quali scoppia una faida. In mezzo aggiungete una love story che tenga incollato tutto insieme e che funga da motore per il protagonista, Nicholas Hoult, e se poi i boss mafiosi prendono rispettivamente i volti di Ben Kingsley e Anthony Hopkins il gioco è fatto. Ma poiché il film, basato su una buona sceneggiatura composta da pochi dialoghi alquanto diretti e inequivocabili, si erge sulla rapidità con cui le scene si susseguono, di tutti quei problemi non ci si fa caso, d'altronde Autobahn sembra solo voler rispondere alla banale domanda "cosa si è disposti a fare per la persona che si ama?".
venerdì 5 aprile 2019
Life (2015)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/11/2017 Qui - Life (Drammatico-Biografico, Canada, Germania, Australia 2015): Il film è tratto dalla storia vera del rapporto che si instaura tra James Dean e il suo fotografo Dennis Stock, conosciutisi tra le riprese di "La Valle dell'Eden" e di "Gioventù Bruciata", ma nonostante ciò, e il potenziale quindi a disposizione, ne esce un film deludente, perlomeno rispetto alle aspettative. Dato che seppur il regista Anton Corbijn consegna senza alcun dubbio un ritratto del tutto inedito o, per lo meno, poco conosciuto di questo attore, mostrandolo in tutte le sue sfaccettature e nei suoi umori altalenanti che tanto ai tempi fecero discutere, purtroppo, la sua regia si dimostra assai lenta ed addirittura prolissa in alcune parti, compromettendo notevolmente l'opera stessa. Un'opera formalmente buona, ma non altrettanto nella sua sostanza. Perché ci sono purtroppo tante incongruenze, e soprattutto la superficie così levigata del film non scava assolutamente in profondità di questa strana frequentazione (difficile definirla amicizia) di mutua assistenza. Si rimane in superficie senza intuire veramente cosa abbia visto Stock (interpretato non benissimo da un inespressivo Robert Pattinson) in quel giovane attore dal viso imbronciato appena un attimo prima di diventare il mito di una generazione. Anche perché Dan DeHaan (sufficiente ma niente di sbalorditivo, fisicamente poi non gli somiglia affatto, contrariamente mediocri sono invece i comprimari, tra cui da citare c'è Alessandra Mastronardi e Ben Kingsley) non riesce a farci empatizzare né con il personaggio né con la persona. Giacché anche un momento emozionante come il ricordo della madre si perde in una totale mancanza di pathos. In più nonostante le belle musiche e la fotografia che ricreano l'atmosfera degli anni Cinquanta, il film è girato con molta lentezza e finisce per annoiare (fastidioso in tal senso il doppiaggio "adolescenziale"). Dopotutto questo film "recitato" ha ben poco di spontaneo. Insomma, nel complesso il film è comunque interessante, proprio per l' argomento trattato, ma nulla di più. Dato che Life non celebra il mito di Dean, né opera una rivisitazione del mito, ma rimane la sensazione di un film incompiuto, dove il meglio sono i titoli di coda. Voto: 5
venerdì 22 febbraio 2019
Il libro della giungla (2016)
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giovedì 7 febbraio 2019
Self/less (2015)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/11/2016 Qui - Self/less, thriller del 2015 diretto da Tarsem Singh, che ci mostra, ancora una volta, come il cinema nel corso degli anni ha fatto, con vari metodi sul come diventare immortali e ha seguito a sua volta il progresso scientifico, dal patto con il diavolo ed elisir di lunga vita siamo arrivati alla clonazione e, ultima novità, al trasformare la nostra mente in dati digitali da trasmettere in un involucro vivente all'altro come oggi si fa con i computer e relativi hard-disk. Tutto ciò ovviamente apre a meditazioni filosofiche su cosa sia la vita, su come la mente possa sopravvivere anche in altre situazioni, e, come accennato nel film, il cervello siano l'unico organo importante da preservare o se anche le nostre memorie e esperienze vivano in altre parti di noi. Il concetto base della vicenda infatti, è che esiste un sistema ultra avanzato che permette ad una persona defunta di rivivere una seconda vita dentro l'involucro corporeo di un'altra persona anch'essa ovviamente morta. Ed è quello che accade ad un ricco uomo d'affari condannato da un tumore irreversibile, che (sottoposto ad una sperimentale ed innovativa procedura medica) rinasce nel corpo di un ragazzo sano ed aitante ma tormentatissimo perché inseguito dai fantasmi di quello che fu il passato (soprattutto famigliare) di un'altra persona a cui (a sua volta) fu rubato il corpo dopo la sua morte. Non tutto però fila così liscio come dovrebbe e l'uomo inizia a svelare il mistero legato all'origine del suo corpo e all'organizzazione segreta pronta ad uccidere per proteggere i propri intenti. Una storia insomma complessa (mi rendo conto che a raccontare una storia del genere si rischia di creare solo confusione, ma vederne l'evolversi sullo schermo è molto più agevole) ma appassionante, una sceneggiatura intelligente che mescola tante chiavi narrative, ponendosi tanto come intrattenimento pop quanto come amara riflessione sul delicato rapporto tra etica, scienza, affari e aspirazione dell'uomo all'immortalità. Una sceneggiatura che nonostante le 'complicazioni' e grazie alla buona recitazione dei protagonisti rendono credibile un copione che di per se sarebbe assolutamente inverosimile. Dato che è fantascienza, nel senso che si parla di progressi scientifici avanzatissimi ma chiaramente non verosimili, ma lo si fa con una grande attenzione ai sentimenti e tutto il film è dominato da un umanesimo che non ti aspetteresti in una pellicola che ci viene presentata con tutti i crismi dell'action-thriller.
giovedì 3 gennaio 2019
The Walk (2015)
domenica 9 dicembre 2018
Exodus: Dei e Re (2014)
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sabato 17 novembre 2018
Una notte al museo 3 (2014)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/01/2016 Qui - Notte al museo 3: Il segreto del faraone (Night at the Museum: Secret of the Tomb) è un film del 2014 diretto da Shawn Levy. La pellicola è il seguito del film Una notte al museo 2: La fuga del 2009. Dopo otto anni e circa un miliardo di dollari incassati in tutto il mondo coi primi due episodi, la saga si chiude con questo terzo capitolo nel quale il guardiano notturno Larry Daley del Museo di Storia Naturale di Manhattan, è alle prese con la strana muffa verde che sta ricoprendo gradualmente la tavola del faraone, quella che, di notte, dà vita a tutti i personaggi all'interno dell'istituzione museale, si reca quindi a Londra, al British Museum, per impedire che l'incantesimo svanisca. Nella capitale inglese verrà accolto da un'esilarante ed esplosiva guardia, e si troverà di nuovo fianco a fianco con vecchi e nuovi personaggi che magicamente prendono vita quali Theodore Roosvelt (con Robin Williams alla sua ultima interpretazione), Jedidah Smith, Ottaviano e il faraone Merenkahre. Non solo, in questo terzo episodio a prendere vita sono un triceratopo e numerosi elefanti, tartarughe e guerrieri ninja, Garuda tibetani e Sir Lancillotto in persona (il miglior acquisto del film nella spassosa interpretazione di Dan Stevens, divo nascente del cinema anglosassone) tutti appartenenti al museo inglese. Quello che ha sempre contraddistinto l'intera trilogia è lo humour così come il tono scanzonato, il ritmo sempre alto e crescente. La sceneggiatura però sembra fatta apposta per infilarci quante più gag possibili, a volte pure già viste. Ben Stiller addirittura raddoppia grazie al primitivo quasi sosia che gli permette di dar sfogo al suo lato più demenziale ma sono i suoi soci ad essere ormai intrappolati in se stessi e in situazioni assolutamente artificiose. Si salvano, come detto Stevens, e Hugh Jackman in un simpaticissimo quanto breve cameo in cui interpreta se stesso a teatro. Il clima che si avverte è inevitabilmente quello dell'ultimo giorno di scuola in cui la classe appare stanca e arranca in attesa del suono della campanella.
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