giovedì 3 gennaio 2019

The Walk (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/06/2016 Qui - The Walk è uno spettacolare film che racconta di una straordinaria e ineguagliabile impresa, quella del noto e famoso funambolo francese Philippe Petit che il 6 agosto del 1974 realizzò il suo 'pazzo' sogno, quello di attraversare su un cavo d'acciaio e senza alcuna protezione le Torri Gemelle del World Trade Center. Il film è quindi una specie di cronostoria di questa incredibile impresa, da quando da piccolo vide il suo primo spettacolo circense, fino a quando da autodidatta a imparato a fare il funambolo, fino alla realizzazione di qualcosa di impossibile, qualcosa che nessuno farà mai più, attraversare appunto, le ahimè non più in piedi, Torri Gemelle di New York, a più di 400 metri d'altezza. The Walk è però anche un film biografico, la pellicola è infatti l'adattamento cinematografico del libro Toccare le nuvole fra le Twin Towers. I miei ricordi di funambolo (To Reach the Clouds), scritto dallo stesso Petit nel 2002 che in occasione e in contemporanea dell'uscita della pellicola, un anno fa circa, venne ripubblicato. Si tratta comunque della terza opera cinematografica basata sulla traversata di Philippe Petit, dopo il cortometraggio High Wire di Sandi Sissel del 1984 ed il documentario Man on Wire - Un uomo tra le Torri di James Marsh, che vinse il Premio Oscar per il Miglior documentario nel 2009. Questa ultima trasposizione invece (del 2015) è co-scritta e diretta da Robert Zemeckis, già regista di film come Ritorno al futuro, Chi ha incastrato Roger Rabbit e Forrest Gump, non proprio uno qualunque, insomma, mentre nei panni di Petit c'è Joseph Gordon-Levitt. Già nel 2008 quel meraviglioso documentario ricco di immagini inedite e interviste (che ho visto e apprezzato), aveva raccontato al mondo la surreale vicenda di Philippe Petit, che un giorno qualunque senza nessun preavviso riuscì a tendere clandestinamente un cavo d'acciaio tra le due torri gemelle e a esibirsi in quella che diventerà una delle espressioni più audaci della follia umana del diciannovesimo secolo. In questo lungometraggio di finzione però oltre alla storia, il film sviluppa il suo racconto allargando il campo ai sentimenti. Quindi si parla di amore ma anche di amicizia e di spirito d'avventura. In una vicenda che rimarrà impressa nella memoria di tanti, anche dopo aver visto questo film allegro, allegro come il suo protagonista che sbarca il lunario come artista di strada divertendo turisti e passanti in una Parigi un po' da cartolina, colorata e vivace.
L'approccio alla vicenda è leggero e brioso (non ci sono riferimenti politici, dietrologici, terroristici e quant'altro) e il film parte subito da lontano raccontandoci velocemente la storia di Petit, com'è nata la sua passione per questo mestiere, la fasi di maturazione dell'artista, gli incontri che sono stati determinanti per la sua crescita professionale, prima la conoscenza di una ragazza che lo accompagnerà nelle sue gesta future e poi l'incontro con una famiglia circense il cui capofamiglia Papa Rudy, interpretato da un Ben Kingsley preciso ed efficace, gli farà scoprire l'equilibrismo e un oggetto, il cavo (d'acciaio), che gli cambierà completamente la vita portandolo a compiere l'impresa, fino ovviamente ad arrivare alla fase preparatoria (fortunatamente non appesantita da espedienti supereroistici) e finale della grande impresa. Il film è la prosecuzione del sogno di un uomo, Petit, interpretato da un ottimo Joseph Gordon-Levitt (in solo otto giorni grazie all'aiuto dello stesso Petit ha imparato le tecniche), che dal momento in cui vede su una rivista quelle che nel 1974 erano le più alte strutture mai costruite dall'uomo, si accende come un fiammifero all'idea di attraversarle. Per farlo però verrà aiutato da un improbabile gruppo di reclute internazionali, poiché quello che vuole fare e che farà è del tutto illegale. Il film racconta anche di come si possano eludere anche i controlli più stringenti per intrufolarsi nelle torri gemelle per compiere un gesto supremo. Il tutto raccontato con un timing che ricorda l'organizzazione di una rapina tipo quella del secolo, anche lo stesso Petit chiama ciò 'il colpo' quando si riferisce alla traversata. Il motivo di questa scelta (che non è assolutamente una forzatura o perché a suo modo romanzato) è che dopo le sue imprese funamboliche non autorizzate (tra le più incredibili, oltre i campanili di Notre-Dame, anche tra due piloni nord del Sydney Harbour Bridge, a 134 metri d'altezza, entrambi antecedenti alle Torri), il signor Petit era controllato dalle autorità internazionali alla stregua di un potenziale criminale (era già stato arrestato 500 volte!), quindi era ed è stato necessario che la preparazione all'evento avvenisse nella massima segretezza, tra falsi documenti e travestimenti, proprio come una rapina. Dopo la 'passeggiata' infatti venne nuovamente arrestato e rilasciato poco dopo. Questo fantasioso personaggio però supererà ogni probabilità, tradimento, dissenso e protesta, nel concepire prima e nel mettere in atto poi un piano da tutti considerato folle. Perché quando galleggia sulla fune, in cima alle torri, ma anche quando si trova con i piedi per terra, Petit è inafferrabile. Tutti i personaggi che fanno da cornice alla storia infatti, compresa la donna che lo ama, sono costretti a guardarlo dal basso verso l'alto, anche quando ce l'hanno di fronte. Petit ha quella ingenua, incosciente e meravigliosa ostinazione così tipica dei bambini, immune a qualsiasi noiosa sicurezza del mondo dei grandi. Un uomo che non smetterà di divertire e divertirsi neppure nei momenti più complicati. Come era lecito aspettarsi il film raggiunge il culmine della tensione narrativa e visiva con Petit sospeso su di un sottile cavo d'acciaio a oltre 400 metri di altezza ed è proprio qui che Zemeckis estrae il suo coniglio dal cilindro. Perché se da un lato la voglia ansiogena di vedergli appoggiare il piede dall'altra parte del filo coinvolge anche gli spettatori più stitici (e quelli che hanno problemi con le vertigini), non possiamo non rimanere sedotti ed inebriati dal folle desiderio di un funambolo che vorrebbe continuare a danzare su quel filo per sempre, e noi con lui. Tutto ovviamente prodotto anche grazie agli effetti visivi, vincitori del premio come i migliori ai Satellite Awards 2016.
The Walk come quasi tutti i film oltre ai pregi ha molti difetti. Prima di tutto l'introduzione non è delle più eccezionali, anzi, troppo 'fiabesca' con lui che si auto-racconta dal bordo della torcia sostenuta dalla Statua della Libertà e ripercorre le tappe della sua vita che lo portarono a compiere la sua celeberrima impresa. Azzardato anche mettere una voce fuori campo "in campo" e il racconto a posteriori leggermente agiografico, a volte sembra tutto infatti un auto-celebrazione della sua opera, manco fosse la presentazione di uno spettacolo di magia di David Copperfield. L'ingiustificati dialoghi in francese non disturbano ma nel film verosimilmente per problemi legati alla distribuzione (il regista) usa un'espediente per farlo parlare in inglese facendo dire al suo protagonista che vorrebbe parlare in inglese con i suoi colleghi, in modo da allenare la lingua, ma ciò risulta stranamente mal riuscito nel film. Ciò che risulta davvero quasi indigeribile, tuttavia, è quell'american way of life che trasuda da alcune scene, per cui la ragion d'essere del film pare la volontà di narrare quando e come sia nato l'amore degli americani per le Twin Towers. Difatti come racconta Zemeckis, la costruzione delle Torri non era ben vista dai newyorkesi dell'epoca, perché considerate uno sfregio all'architettura urbanistica esistente, un colosso senz'anima simile ad un grosso archivio raccogli-scartoffie, un corpo estraneo maestosamente imponente, un pugno nell'occhio con il quale avrebbero dovuto imparare a convivere. Ma per il giovane Philippe Petit la recente opera d'alta ingegneria rappresentava il sogno da rincorrere e agguantare, la possibilità concreta di tendere il suo filo dove nessuno mai era arrivato, di essere l'artefice di un'impresa senza eguali, il protagonista di un'esperienza da togliere il fiato. Zemeckis narrando e celebrando direttamente un artista unico nel suo genere, a dire il vero non proprio così popolare come ci si aspetterebbe, forse il suo definirsi ed essere definito un sovversivo anarchico ribelle fuorilegge (erano pur sempre gli anni '70) ne ha impedito il normale percorso divulgativo narra e celebra indirettamente New York e una corposa pagina del suo passato, prossimo e remoto. Come a dire che il fulgido episodio di Petit è unito con un invisibile filo alla sorte delle Torri, dapprima detestate, poi, grazie al folle talentuoso garçon, rese finalmente amabili (il suo gesto fu come infondere in esse un soffio vitale) e, infine, consacrate a luogo di culto e della memoria. La vertigine di The Walk alimenta così il mito americano, una leccornia per gli occhi, una triste gioia da vivere insieme, un'occasione per riflettere sulle molteplici sfaccettature della natura umana, capace di creare sublime poesia come di arrecare in un colpo solo tragedia e distruzione. Comunque a parte questo aspetto dopo la prima mezz'ora il film sbanda leggermente, si perché il buon ritmo della pellicola si scontra con una sceneggiatura a tratti un po' debole che sbrigativamente ci presenta alcuni personaggi secondari della vicenda che non vengono caratterizzati come dovrebbero (per esempio l'approfondimento del protagonista, alquanto sommario e lascia molte cose nel vago, forse non sempre è spiegabile tutto, ma la passione, non detta, del giovane Philippe per la morte la si accetta per scontata senza tentarne una disamina), tanto da risultare quasi superflui all'interno della storia, ma inseriti per rispettare evidentemente la verità di come si sono svolti i fatti. E' innegabile quindi una certa superficialità di scrittura (tanto che, certe disavventure e avversità creano il dubbio di un romanzamento eccessivo dell'evento, poiché siccome siamo già ai limiti del possibile, ho avuto la sensazione di una certa dose di esagerazione, che non aggiunge niente alla eccezionalità dell'impresa), come se sceneggiatori e regista avessero fretta di arrivare a raccontarci e mostrarci quello che più ci interessa, la camminata tra le torri gemelli che rappresenta poi la ragione dell'esistenza della pellicola stessa. Se fino a qui quindi la pellicola traballa un po' sul filo della narrazione, la parte finale invece è perfetta e ci lascia senza fiato. Il film si ridesta nel finale, dove i dieci minuti che raccontano l'attraversata (nella realtà durò 45 minuti) sono davvero speciali grazie anche al lavoro di Zemeckis e la sua capacità di dare razionalità a un gesto che apparentemente non la possiede, ma che fa proprio della sua spericolatezza e nonsense la sua forza e soprattutto la sua bellezza. Sempre in tema proprio con la bellezza una menzione particolare la merita la compagna di Petit nel film Charlotte Le Bon, praticamente una sosia della meravigliosa Paz Vega, oltre ad essere una delle tante attrici che per qualche ragione ricordano la stupenda Winona Ryder. In definitiva quindi, sempre e comunque, e nonostante tutto The Walk è un discreto e bel film, con un pregio in più, è un film per tutti, forse per i deboli di cuore non tanto, perché questo film è uno spettacolo entusiasmante ed emozionante da non perdere. Per concludere gli attori sono bravi, il protagonista è molto nella parte (anche se non gli assomiglia tanto a quello vero), il film è girato bene e Zemeckis si è dimostrato ancora una volta un regista che sa raccontare e divertire. Voto: 7-

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