lunedì 28 gennaio 2019

Hungry Hearts (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - Hungry Hearts è uno sconcertante e intenso film drammatico diretto da Saverio Costanzo, ed è tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso. Il film, presentato in concorso al Festival di Venezia del 2014, sfruttando le dinamiche del thriller, porta lo spettatore a riflettere in profondità sulla genitorialità al tempo degli OGM. Ambientato interamente a New York (intuizione fantastica perché se fosse stato girato in Italia sarebbe stato pessimo), il film comincia in modo alquanto singolare e anche originale, dato che una delle cose migliori del film sta sicuramente nell'utilizzo di un artificio narrativo bello e delicato allo stesso tempo come quello della commistione dei generi cinematografici, il film infatti inizia in maniera comica con i due protagonisti che si conoscono in un bagno pubblico e da cui non riescono ad uscire perché la porta si è bloccata e l'aria non è molto...respirabile. Subentra così la commedia che ci descrive il legame sentimentale dei due personaggi Jude e Mina che si uniscono in matrimonio e vanno a vivere in un appartamento a Manhattan. Ma la vita coniugale si sa che non è tutta rosa e fiori e quando arriva un figlio il rapporto della coppia peggiora improvvisamente e arriva quindi il momento del dramma. Perché Mina si rivela una madre possessiva verso il bambino, addirittura esasperando il consiglio di una maga che le suggerisce un progetto di purezza, lo costringe a seguire una dieta vegetariana (privandolo di una normale alimentazione) che gli impedisce di crescere (tanto da causare un clamoroso ritardo di sviluppo), non lo sottopone alle cure mediche di routine perché non si fida della medicina tradizionale e non escono mai di casa perché l'aria esterna potrebbe essere nociva per il piccolo. Jude però anche se all'inizio la segue affettuosamente, quando avverte i rischi incontrati dal neonato, la contrasta sempre più energicamente, sino a chiedere la collaborazione di sua madre. A questo punto, grazie anche una sapiente regia che sa come impostare il cambio di ritmo e di stile, il racconto diventa thriller, forse più esatto definirlo noir. Poiché gli animi si accenderanno, e la pellicola che tiene alta la suspense e la dinamica della storia, nonostante qualche sbavatura ad onore del vero in questa fase ci sia (la scena della madre che cerca di bloccare la nuora che è andata a riprendersi il figlio è profondamente sbagliata, involontariamente comica), arriverà ad un punto di rottura (il male si sconfigge con altro male, per prospettare un futuro di normalità) fino ad arrivare ad un finale di struggente bellezza e malinconia.
Hungry Hearts soprattutto per la capacità (che spiazza) con cui, in maniera ben calibrata e precisa sa far cambiare pelle al film, attraverso una gamma di generi davvero eterogenei tra loro che non disgregano affatto la storia, ma anzi la rinsaldano e la rendono, per quanto angosciante, solida e intensa, risulta davvero interessante come operazione. Costanzo difatti ci regala un film inusuale (almeno per la cinematografia italiana) poiché il senso di straniamento è lucidamente espresso dall'ambiente claustrofobico della residenza. Un ambiente dove Mina e Jude, che evidentemente hanno problemi esistenziali, una infanzia e una adolescenza difficili, la solitudine, il disorientamento in una grande metropoli per lei, in grado minore per lui, cercano di risolvere i problemi affettivi, che si intrecciano, in maniera normale, dopo la nascita del bambino. Problemi che erano stati superati dall'accendersi di un amore ardente all'inizio, ma Mina, certamente la più fragile tra i due, ha reagito in modo anomalo, catatonico. Reazioni lucidamente espresse dagli artifici fotografici del grandangolo e, a tratti, dalla deformazione visiva dei corpi. La musica di Piovani poi interviene opportunamente ed efficacemente a sottolineare i diversi momenti dell'evolversi della vicenda, coadiuvata anche da motivi noti della musica leggera davvero poetici e belli come il film, quasi perfetto. Perché quello che manca decisamente al film di Saverio Costanzo è l'ambiguità, quanto mai necessaria in una vicenda come questa per non dare tutto per scontato e per deciso già a priori. Invece il personaggio della madre, interpretato da Alba Rohrwacher (ancora una volta alle prese con un personaggio allucinato e ancora una volta eccezionale), non ha alcuna sfumatura, non ha tridimensionalità, non sembra dotato di quella normalità plausibile che avrebbe reso ancor più agghiacciante la vicenda. La madre, così come rappresentata nel film, è una pazza, donna fragile e facilmente suggestionabile che, senza alcuna gradualità, mostra subito dopo la prima scena una mente già completamente malata e annebbiata. Così come il padre, interpretato da Adam Driver (decisamente più in parte che in Star Wars VII), l'uomo normale, buon marito e padre affettuoso, alle prese con un problema inaspettato, la follia totale della moglie. Per farne un thriller problematico e convincente perciò si sarebbe dovuto lasciare allo spettatore una buona dose di dubbio sull'interesse reale, ma nonostante tutto e nonostante le inquadrature claustrofobiche (giusto per aumentare il senso di angoscia), e dialoghi lentissimi, complessivamente il risultato mi sembra discreto. Merito soprattutto dei due interpreti, entrambi meritatamente Coppa Volpi a Venezia. Comunque alla fine di questo intenso dramma una domanda viene spontanea, gli OGM sono davvero utili? è giusto far seguire ad un neonato una dieta vegetariana? Forse no. Voto: 6,5