venerdì 11 gennaio 2019

The Lobster (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/07/2016 Qui - The Lobster è un sorprendente, intrigante e drammatico film fantascientifico del 2015, scritto e diretto da Yorgos Lanthimos, regista greco al debutto in un film in lingua inglese. Di questo film ultimamente ne ho sentito parlare parecchio, specialmente in modo positivo, e quindi ho deciso di vederlo, non solo perché in programmazione su Sky, ma perché il soggetto del film è veramente così curioso e assurdo ma eccezionale che spinto dalla curiosità non potevo difatti perderlo. Questa grottesca fiaba moderna, presentata a Cannes dove ha vinto il Premio della giuria, che rappresenta (in maniera divertente ma anche crudele) il rapporto di coppia e il suo problematico e indissolubile legame con la società, parte infatti da un soggetto, un'idea davvero innovativa e sorprendente. In una distopica società futura (non tanto poi in effetti), dopo una certa età alle persone non è più ammesso essere single, chi rimane solo è difatti obbligato a passare quarantacinque giorni in un lussuoso ma al contempo grigio hotel, qui dovrà trovare una persona con la quale terminare insieme il resto della vita, altrimenti sarà trasformato in un animale a scelta e potrà diventare così fruttuoso almeno per la nuova specie. C'è ovviamente chi non accetta questa imposizione e si ribella scappando nel bosco adiacente l'hotel per rivendicare la propria volontà solitaria. E vista l'impossibilità di creare una coppia in quel contesto grigio e quasi opprimente, David, il protagonista, fugge così nel bosco e si unisce al gruppo di solitari ribelli che si nascondono per sfuggire all'obbligo di accoppiamento. Però anche fra i solitari ci sono delle regole, una soprattutto non permette la formazione coppie, ma l'uomo infrangendo ogni regola, paradossalmente si innamora di una donna, sfortunatamente però la leader del gruppo se ne accorge e la punisce, facendola accecare. Dopo questo fatto il protagonista cercherà e proverà ugualmente di stare con lei, e nonostante le evidenti difficoltà ci riuscirà, più o meno. Basta questo per capire perché questo film ha riscosso certi favori, perché fa sorgere dubbi e domande così interessanti che spiazzerebbero chiunque, io per esempio sarei già spacciato, dovrei solo scegliere in quale animale trasformarmi, già per trovare l'anima gemella non basta una vita intera figuriamoci 45 giorni. E poi non una relazione di interessi, ma l'amore, quello vero, perché se fingi vieni punito. Insomma nessuna speranza.
The Lobster, per l'alchimia perfetta dei generi che mai si sovrastano e sempre si completano, per il suo ritmo che riesce ad essere ora contemplativo ora frenetico, per il suo contenuto che è davvero serio e profondo ma mai si prende sul serio, per la regia tecnicamente ottima e intelligente, per la fotografia stupenda, sfiora il capolavoro. Perché sembra così attuale tanto da far apparire il film più un prodotto di modernariato che di fantascienza. La possibilità che per sopravvivere si debba formare una coppia, senza distinzioni di sesso, prefigura una società terribile ed opprimente. Una società di individui apatici, sottotono, modesti, obbligati dal sistema costituito ad avere una relazione, quasi sempre tenuta in piedi da minimi e insensati punti di contatto (memorabile la coppia che per collante usa le costanti perdite di sangue dal naso, involontarie da una parte, auto-inflitte di nascosto dall'altra). E grazie alla fotografia sempre sbiadita e ovattata, il greco analizza questa società, criticandola ferocemente. Ed è per questo ed altro che questo film curioso, sorprendente, spiazzante, è imperdibile. Questa idea stralunata, disorientante e destabilizzante infatti, fa maledettamente centro, tutto con un ambientazione retrò davvero intrigante. Tutto questo nella prima parte, poi il film si trasferisce nei boschi intorno alla città e qui dei resistenti, invece di inneggiare alla libertà, combattono contro la coppia ed a favore dei single. Insomma due sistemi totalitari l'un contro l'altro armati, con relativi morti, feriti e dispersi ed anche qualcuno trasformato in animale però con la possibilità di scelta (gran bella scelta in effetti, come quella del protagonista, un'aragosta). Raccontato così sembra perciò un film per matti ed un po' lo è, ma non bisogna soffermarsi su questi particolari, altrimenti non se ne esce più. Gli attori sono eccellenti e riescono benissimo a mimetizzarsi nell'atmosfera della trama, i personaggi infatti non sembrano provare reali sentimenti (la regia e il sonoro non vogliono mai enfatizzare nulla). La scenografia comprende un albergo dove la società impone la ricerca del partner, un bosco (geniali le comparse casuali degli animali, come il fenicottero e il cammello) come territorio di caccia ai solitari (i single), la città dove solo le coppie sono ammesse. L'accompagnamento musicale è inquietante, divertente ma soprattutto originale. La voce-off invece è utilizzata benissimo per raccontare il superfluo e per divertire. Bellissima la sequenza della caccia (tutta in rallenty), diverse battute nerissime e soprattutto l'agghiacciante finale nel quale il regista sembra prenderci in giro ma forse ci sta suggerendo la mancanza totale di una risposta certa alla situazione, al compromesso di coppia. Ma oltre alla coppia, l'autore indaga sulla mancanza (che esiste e che probabilmente si accentuerà) di vie di mezzo o sfumature nella nostra società, o omosessuale o eterosessuale, o single o accoppiato, o uomo o animale. Ed anche sotto questa prospettiva il finale stupisce perché è una via di mezzo, incompleta e geniale.
Il film è però discontinuo, procede a scatti e non sempre il passaggio fra una scena e l'altra è indolore anche se rimane un tentativo interessante di fare un cinema che ricerca continuamente la sorpresa. Comunque il bello del film personalmente sta nella prima parte, dove la lunga descrizione dell'hotel-lager, in cui tutto scorre tra sorrisi, cortesie e ritualità organizzativa (meravigliosi gli sketch), fa rabbrividire ed orienta la simpatia dello spettatore verso l'antitesi comunitaria dei disaccoppiati dove si respira aria di autodeterminazione, nonostante le lotte per la sopravvivenza. Ma in realtà emerge presto che non c'è poi tanta differenza trai due mondi, capi spietati, regole soffocanti, violenza esplosiva o sottile, pulsione di fuga. E ci si accorge che dietro la crosta apparente domina il gelo, la mancanza dell'irrazionale, del movimento delle emozioni che dà il senso del vivere, forse c'è sesso ma non amore, alleanza ma non solidarietà. E ci si sente sprofondati in una grande metafora che sembra non salvare nulla del mondo odierno, dove il potere, anche se ti accarezza e ti sorride, è perverso, i vincoli stritolano i diritti, l'amicizia, l'amore, la lealtà sono solo memorie sbiadite, la falsità come l'ipocrisia dilagano. Come dire che la felicità è refrattaria all'uomo, che sia singolo o accoppiato, non esiste perché i sistemi in cui ci siamo incardinati sono troppo ingessati ed inumani per consentire auto-realizzazioni individuali o relazionali. Stando così le cose, non siamo poi così lontani dall'animalità di cui pensavamo di esserci scrollati e tanto vale chiudere gli occhi per non assistere allo scempio. Ma l'amara quanto sarcastica visione del regista non colpisce tanto per i contenuti di fondo quanto per le modalità del racconto, lo humor, il grottesco, il dramma, la violenza anche sanguinolenta, che si alternano senza un filo logico apparente in una girandola di situazioni paradossali che attraversando i generi, spiazza ed inquieta. Ci sono però momenti in cui il film pare veramente atroce, perfino nella sua estrema semplicità, nella sua linearità, un mondo così lontano e che invece sembra possa essere così terribilmente attuale. È come essere in un incubo ma la notevole bravura del sorprendente Yorgos Lanthimos, ce lo mostra come un mondo possibile, virando pian piano verso il finale in un umanissimo film d'amore, un amore invece impossibile, ma forte, forte, fino ad arrivare alla sequenza finale molto inattesa. L'amore cieco, appunto. Perfino le periferie della città irlandese dove è stato girato il film mostrano un mondo spoglio, lugubre, asettico e deserto, un luogo quindi dove l'amore vero, con un sentimento forte, è impossibile che venga a materializzarsi. È indubbiamente una storia d'amore unica come è unico questo straordinario film, sia nel panorama generale del cinema sia nell'ambito stesso dei soggetti che parlano di società distopiche. Ma se il regista riesce benissimo a realizzare quest'opera molto interessante e fuori da ogni schema finora visto, lo si deve soprattutto agli attori, tutti adeguatamente all'altezza. A cominciare dal più inaspettato Colin Farrell, ingrassato, impacciato, timido, taciturno, ben consapevole della strada difficile e piena di pericoli che sta percorrendo. Rachel Weisz è come sempre incantevole (sincera e dolente), un raggio di bellezza triste nella spietatezza del mondo che la circonda e la sua voce sensualmente nasale fa anche da voce narrante sin dal primo momento. Gli altri attori dell'ottimo cast, compresi il solito indispensabile e jolly John C. Reilly e la ferrea e insospettabilmente feroce Léa Seydoux (una capa dei ribelli fredda e determinata ma fino ad un certo punto), sono tutti bravi, tutti votati a creare un'atmosfera che regna assoluta sull'ignaro spettatore, soprattutto quando il finale piomba inesorabile come una ghigliottina, troncando il racconto quando meno te lo aspetti. Un film perciò da guardare con occhio attento perché qui certamente si sorride ma non si ride se non amaramente. Voto: 7,5

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