Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/07/2016 Qui - Sopravvissuto: The Martian (The Martian) è uno spettacolare e straordinario film di fantascienza del 2015 diretto e prodotto da Ridley Scott, che dopo il deludente Exodus: Dei e Re, torna nel suo habitat naturale, in un genere a lui caro, la fantascienza, e dirigendo questo film (notevole e visivamente molto bello), fa centro ancora una volta. Perché Ridley Scott, uno dei geni indiscussi del mondo del cinema contemporaneo, riesce anche con questo The Martian a colpire il bersaglio grosso. Lui è infatti uno dei pochissimi registi che non sbagliano quasi mai un colpo. Se 35 anni fa aveva rivoluzionato il genere fantascientifico con il mitico Blade Runner, con quest'ultima creazione è secondo me riuscito a riportare il genere alle origini. E non mi riferisco al modo di mettere in scena la storia, cosa fatta peraltro in maniera magistrale, ma piuttosto a un ritorno al concetto di fantascienza per quel che era, esplorazione e avventure nello spazio. Il film, che ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Golden Globe per il miglior film commedia o musicale, e sette candidature ai premi Oscar 2016 come miglior film, miglior attore protagonista, migliore sceneggiatura non originale, miglior scenografia, migliori effetti speciali, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro (vincendone nessuno), è basato sul romanzo L'uomo di Marte del 2011 di Andy Weir, ingegnere informatico fattosi scrittore. La sceneggiatura, scritta da Drew Goddard (World War Z, Cloverfield), non è perciò significativamente originale, ma il regista si "limita" a farne un film che a moltissimi critici non è piaciuto affatto perché ritenuto troppo scontato e soprattutto mancante di pathos e di dinamicità, ma a mio avviso invece il film è da vedere proprio perché l'originalità di Scott sta in quello che riesce a "piazzare" con maestria in una storia che avrebbe potuto facilmente annoiare lo spettatore e invece non succede affatto, anzi, ti tiene incollato allo 'schermo' per tutta la sua durata, comunque moderatamente eccessiva. Il film ha come protagonista l'astronauta Mark Watney, botanico della missione della NASA su Marte denominata Ares 3, interpretato da Matt Damon, che dopo una terribile tempesta che investe tutto l'equipaggio con a capo la bellissima Jessica Chastain (vista recentemente in 1981: Indagine a New York) viene travolto da un ripetitore radio e, dato per morto, viene lasciato solo sulla superficie di Marte. L'astronauta però si sveglia ferito, e si accorge che è stato lasciato erroneamente da solo, rimanendo così intrappolato. Dovrà quindi trovare un modo per sopravvivere, adattarsi alla vita sul pianeta e trovare un modo per contattare la Terra, e quando ci riuscirà la Nasa proverà ad escogitare un modo per farlo tornare a casa, ma sarà lotta contro il tempo sia da una parte che dell'altra, perché gli imprevisti capitano sempre e non tutto va secondo i piani.
The Martian è un film davvero fantastico, perché quello che il regista fa emergere con straordinaria efficacia è l'istinto di sopravvivenza umana, nessun uomo o donna, nessun astronauta super-addestrato, sarebbe mai potuto sopravvivere in quelle condizioni, dopo quel terribile disastro, alla solitudine in un pianeta arido, brullo e ancora tutto da scoprire come Marte. Ma Matt Demon è un astronauta che ama la vita e ama vederla crescere e 'crearla' botanicamente. La sua mente perciò diventa un vulcano di idee che lo portano a rendere quel luogo coltivabile tanto da fargli produrre frutti commestibili che gli possano prolungare la vita. Dalla Terra intanto, la NASA, vive un'altra dimensione e si pone altri obiettivi, non può permettersi la morte di un astronauta lasciato su Marte e un fallimento così mediaticamente eclatante che avrebbe comportato l'inevitabile taglio di fondi da parte del Governo per ulteriori ricerche spaziali su pianeti dove trovare la vita. E' la vita umana, e la sua salvaguardia, il tema dominante del film di Scott, non la fantascienza o la "sci-fi", la scienza di fantascienza. La narrazione si muove quindi su questo interessante doppio binario di scopi ed obiettivi inter-planetari, da un lato un uomo che cerca di sopravvivere il più a lungo possibile per essere riportato a casa, dall'altro lato un foltissimo gruppo di scienziati inter-continentali che solidarizza spontaneamente per raggiungere un obiettivo che li avrebbe resi celebri e famosi in tutto il pianeta terra, salvare lo sfortunato astronauta Watney. Ma Scott comunque riesce anche in una meravigliosa mini-impresa, quella di mettere il tutto in termini chiari per tutti e non solo per una platea di astrofisici. Soprattutto però The Martian è più ragionevolmente realistico in termini scientifici che in Gravity (Interstellar devo ancora vederlo) imponendosi di seguire un rigoroso criterio di credibilità scientifica che non va ad ostacolare l'epicità della resa finale, ma anzi la esalta con una pseudo-scientifica attinenza alla realtà. Scott infatti, quando tocca la fantascienza, non sbaglia quasi mai e questa volta è stato aiutato anche dal solidissimo script di Drew Goddard, dove prova a tenere sempre insieme tutti i pezzi senza mai voler calcare la mano, anzi qualche volta osa anche a bucherellare con qualche dose d'ironia. Scott riesce soprattutto a sovrastare appunto Gravity, non solo nel comparto tecnico dove il regista britannico non ha praticamente eguali, dato che riesce sempre ad essere impeccabile, ma quasi in tutto. Questa volta sembra in effetti aver estratto il coniglio giusto dal cilindro, tra l'altro, critica anche il sistema politico (se così possiamo chiamarlo) americano con numerose frecciatine alla Nasa stessa, rea di mettere molte volte in primo piano prima gli interessi economici e poi altro. Insomma, stavolta Scott è inattaccabile, e dopo qualche incertezza degli ultimi anni, riesce a ritornare agli albori della sua carriera, dove non sbagliava praticamene mai.
Il film funziona quindi alla grande, la narrazione è fluida e compatta e il montaggio serrato e lineare mostra efficacemente la semplicità cronologica degli eventi. Il commento sonoro è immersivo e sottolinea il pathos, mai troppo pretenzioso. L'inserimento di canzoni vintage (espediente già utilizzato con successo in Guardiani della galassia) aliena piacevolmente dal contesto fantascientifico, (soprattutto per il geniale escamotage con cui l'ha giustificata), fatta eccezione per "Starman" di David Bowie, che accompagna una bellissima sequenza nello spazio. Registicamente il film è perfetto, nota di merito alla fotografia. Gli aspetti negativi sono da trovare nella sceneggiatura, non sempre con trovate funzionali, e nella scrittura dei personaggi, superficialmente approfonditi e non privi di cliché. La pellicola pecca anche di un eccessivo numero di trovate comiche forzatamente demenziali, che estraniano dalla tragicità degli eventi. Nota di merito va anche a Matt Damon (nonostante sia il migliore di tutti) che recitativamente fa un buon lavoro, ma non aggiunge niente di più al personaggio, anche se la mancanza di approfondimento è stata una scelta azzeccata e davvero funzionale al tipo di narrazione, poiché non sempre è bello conoscere ogni aspetto di un personaggio. Infine, altro punto dolente per quell'ormai fastidioso politically correct che a Hollywood è diventato vangelo e viene applicato da (quasi) tutti, e così anche qui la distribuzione dei ruoli è assolutamente e irrealmente perfetta in tutto, uomo-donna, bianco-nero, occidentale-orientale, inoltre quelle immagini delle piazze in festa se li poteva tranquillamente risparmiare. Ma il film è soprattutto un racconto di una bellissima odissea, quella del protagonista, botanico, colonizzatore di Marte, naufrago, pirata dello spazio, primo fra i primi a fare qualsiasi passo, l'abbandonato per errore (in quanto ritenuto morto) Matt Damon è perciò un sopravvissuto. Ad una mastodontica tempesta di sabbia, polvere metallica e residui d'ogni specie che ha causato l'aborto della missione, ma anche alla peggiore delle sorti (il nutrimento, innanzitutto), condizione risolta brillantemente grazie alla (bio)materia naturale. E via ad una florida piantagione di patate nel bel mezzo dell'infinito nulla marziano, tra scorci d'indicibile bellezza e squarci di atavica cosmica solitudine (tutto visivamente spettacolare). L'imperativo è risolvere un problema alla volta, onde evitare quella simpatica sensazione di ineluttabile morte imminente che pervade ogni momento nella relativ(issim)a sicurezza dell'HAB (rifugio, casa, madre fornitrice di ossigenatore, esistenza, dominio sulle cose tutte) mentre un video-diario di bordo funge da confessionale/psicoterapeuta ed oggetti e feticci degli altri membri dell'equipaggio (la discutibile playlist disco dance del comandante Jessica Chastain, ad esempio), ormai in rotta verso il pianeta azzurro, restituiscono parvenze di "normalità". Happy Days, dopotutto, inutile perdersi d'animo arrendendosi all'inevitabile.
Meglio darsi da fare, scavare, cercare, defecare, studiare, (rac)contare, analizzare, coltivare, pensare. Così persino un rottame degli anni novanta come il glorioso Pathfinder serve a ristabilire un (rudimentale) contatto con l'aldilà terrestre e inquadrarne la natura cazzona, la posa alla Fonzie è un messaggio ai cervelloni della Nasa, ai compagni, al mondo intero, a sé stesso. I problemi sono reali, non filosofici, e reali(stiche) le paure, le (re)azioni (fisiche, emotive, cerebrali), le difficoltà quotidiane, le sventure, le discese nei crateri dell'ignoto (deserto rosso). Ma anche le dosi massicce, salvifiche, d'(auto)ironia, che si fottano le distese aliene, i politicanti di Houston, le possibilità di (soprav)vivere, i quattro anni dalla prossima missione nel cratere Schiaparelli distante un paio di migliaia di miglia. E quando il buio sembra spegnere ogni (residuo di) speranza (avendo un'esplosione soffocato il giardino di patate e congelato le sole forme di vita batteriche), un abbozzo di idea di recupero del marziano balena nelle menti giù a Terra fino a raggiungere l'equipaggio ancora sulla strada del ritorno. Andarselo a riprendere, ecco il piano, la missione impossibile, l'impresa rocambolesca a cui l'intero globo guarda tramite i soliti media. Invero, la parte meno interessante e più convenzionale dell'opera di Ridley Scott, dove abbondano e dominano la (banale) retorica e l'epica del salvataggio dell'eroe (per caso) condita di ogni contrattempo possibile risolto sempre in modo brillante anche a dispetto di ovvie probabili conseguenze, il sentiment(alism)o collettivo che non ammette altri esiti, l'esaltazione dello spettacolo, le orbite classiche che i cervelloni e funzionari da un lato e i temerari sul campo dall'altro compiono. Per quanto il tutto risulti ottimamente messo in scena (illuminato, montato, gestito), dinamiche, tempi, sguardi, processi di elaborazione/calcolo del disegno narrativo-empatico, non solo sono all'insegna del già visto (molte, molte volte) e da manuale dei canoni, ma altresì invertono la rotta insolita in precedenza intrapresa. Quasi un lavoro (pregevole ed eccezionale) di destrutturazione degli space movie, certamente un'esplorazione dell'animo umano in una condizione estrema, che parte da un assunto noto per ibridarlo (sporcarlo) con le tinte, le sfumature, i ritmi della commedia. Rivisitazione pop del genere, condita di gustosi cortocircuiti citazionistici (il progetto "Elrond", così battezzato dal Donald Glover di Community, alla presenza del direttore delle missioni Sean Bean), di riflessioni sul potere e sull'immagine (la figura centrale del direttore della Nasa Jeff Daniels, sue le scelte più difficili, tra cui quella di nascondere inizialmente ai compagni di Damon il fatto che non fosse morto), di brani disco-pop dei Seventies a dettare toni, pensieri, stati d'animo (Hot Stuff di Donna Summer, il ballo spontaneo spazza via sfiga e cattivi propositi). Una scrittura intelligente che, come detto, scivola nel più tradizionale dei territori battuti (compresa la "lezione" finale, col Nostro ad insegnare ad aspiranti astronauti), che inficia però solo in parte, l'opera nel suo complesso. Ma certo affidata alle mani sapienti di Ridley Scott, che lavora di fino e sa farsi concreto quando occorre, che sa come girare la sequenza della tempesta di sabbia e quelle del piano di recupero (tensione e ritmi alle stelle), e come gestire i cambi di location e campi d'azione, il film risulta veramente bello e avvincente nonché entusiasmante. Comunque in parte aiutato dagli attori, dal solidissimo (come sempre) Matt Damon all'efficace cast di supporto su cui spiccano l'ansioso Chiwetel Ejiofor, l'ambiguo Jeff Daniels, la magnifica Jessica Chastain, credibile e tostissima comandante del team. Non sarà quindi un capolavoro, ma è senz'altro bellissimo e intrigante, che merita senza dubbi una visione godibile e sincera da parte degli spettatori assetati di novità e sorprese, come questa graditissima che il regista ci regala a noi e alla fantascienza. Voto: 8