venerdì 8 febbraio 2019

Se chiudo gli occhi non sono più qui (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Se chiudo gli occhi non sono più qui è un delicato e drammatico film di formazione italiano del 2013 diretto da Vittorio Moroni. Il film infatti, racconta di un ragazzo di origine filippina, Kiko, orfano di un padre italiano di cui sente fortemente la mancanza, il quale vive con la madre ed il di lei nuovo compagno in una cittadina del Friuli, che non riesce a trovare la sua dimensione anche per colpa del padre 'adottivo'. Il rapporto che l'adolescente ha con quest'ultimo è infatti assai controverso, per non dire ostile, il ragazzo difatti, desideroso di studiare è costretto invece, al termine di ogni giornata scolastica, ad andare al cantiere dove lui lavora per lavorare come muratore e fare di questa attività la sua professione futura. L'incontro che egli avrà con un vecchio professore ed amico del padre però gli cambierà l'esistenza e lo farà maturare velocemente, venendo anche a scoprire sconcertanti verità. Se chiudo gli occhi non sono più qui come si evince dalla trama, racconta una vicenda molto minimalista, esile se si vuole dire, in quanto più che avvenimenti ed azioni eclatanti, essa  presenta lo stato d'animo malinconico, per non dire triste, e quasi rassegnato del giovane protagonista che sicuramente non sta vivendo serenamente, come invece dovrebbe, le proprie giornate e la sua età. Diviso tra i doveri e le responsabilità impostigli dal patrigno, per lui troppo onerosi e non del tutto confacenti ai suoi anni, e tra le aspirazioni di un futuro migliore attraverso la passione per lo studio e quella per l'astronomia, lo spettatore recepisce esattamente quello che il regista vuole consegnargli, cioè il ritratto di un ragazzo assai dolente, privato prematuramente degli affetti più cari e molto più maturo della sua età. E non può che comprenderlo e soffrire un po' con lui.
E il regista, grazie anche alla confezione estetica aggraziata, pur raccontando una situazione difficile, riesce, al di là delle secondarie tematiche concernenti le popolazioni immigrate, a rappresentare in maniera quanto mai efficace tale stato d'animo e tale condizione esistenziale, grazie anche alla sapiente ed oculata scelta degli attori che si dimostrano molto efficaci nei propri ruoli, da Beppe Fiorello in quello del patrigno arrogante, ignorante e severo (ma forse anche lui un tempo, viene fatto capire, avere sofferto), a quello più preponderante ed incisivo di Giorgio Colangeli nella parte del vecchio amico del padre, per finire con Mark Manaloto che interpreta il ragazzo protagonista, sorprendentemente bravo alla sua, forse, prima prova di attore. Insomma, il pregio del film sta proprio in questa rappresentazione di vari stati d'animo e situazioni più o meno impalpabili ma quanto mai reali. Unici difetti del film sono invece il ritmo un po' disomogeneo e la presenza di alcuni personaggi che vengono presentati ma che poi non si sviluppano come (forse) dovrebbero, ad esempio la professoressa e la compagna di classe del protagonista. Ma è probabile che il regista abbia fatto questa scelta per sottolineare la solitudine di Kiko, che non riesce a trovare la giusta compagnia e il giusto conforto neppure fra i coetanei. Perché purtroppo come spesso capita, non è facile armonizzarsi con 'l'altro', di questi tempi poi, ma sopratutto non sempre si trovano persone predisposte ad aiutare, anche se la conclusione del racconto ci porta su un versante che lascia spazio all'ottimismo, alla speranza che Kiko possa, come quel sasso che lascia nel fiume, arricchirsi e plasmarsi in un mondo migliore, speriamo il nostro. Un film perciò malinconico ma poetico, lento ma coinvolgente (almeno un pochino), bello e interessante anche se inesorabile. Un film che quindi merita assolutamente di essere visto, ma senza aspettarsi tanto. Voto: 6

Nessun commento:

Posta un commento