Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2024 Qui - Paola Cortellesi, nonostante un successo commerciale forse troppo ampio, ha debuttato con successo nella regia, ritraendo efficacemente una donna umile del dopoguerra in cerca di redenzione personale e sociale. Il film si distingue per un inganno narrativo che mantiene lo spettatore in sospeso, culminando in un finale sorprendente. Questa tecnica rende la trama meno prevedibile e aggiunge un livello di universalità alla storia personale. La nitida fotografia in bianco e nero, l'uso innovativo della musica e gli sketch comici efficaci, supportati da un cast eccellente, sono i punti di forza del film. Nonostante alcune tendenze didascaliche e una rappresentazione esagerata della malvagità maschile, il film rimane godibile e rappresenta un esempio di cinema di qualità che comunica temi importanti. Tuttavia, considerata l'attenzione ricevuta, mi aspettavo qualcosa in più. In definitiva, è un film valido, ma non straordinario. Voto: 6,5 [Netflix]
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venerdì 31 maggio 2024
mercoledì 31 agosto 2022
Belli ciao (2022)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2022 Qui - La coppia formata da Pio e Amedeo ci regala (a distanza di anni dall'ultima volta, era il 2014 quando uscì Amici come noi) l'ennesima commedia Made in Italy che sfrutta i classici stereotipi regionali tra Nord e Sud. Di film di questo genere ne esistono a migliaia e anche in questo possiamo riscontrare gli stessi tipi di pregi e gli stessi difetti. La comicità dei protagonisti è fresca e più di una volta si riesce a sorridere di gusto, nonostante la trama sia decisamente scontata. Gennaro Nunziante conosce bene il pubblico e i meccanismi della commedia e sfrutta egregiamente il cast confezionando un film piacevole (brava Gegia nei panni di Eleonora). Molto meno peggio di quanto si potesse pensare infatti, egli già regista dei film più riusciti di Checco Zalone (Quo Vado? su tutti), mette in piedi una commedia light stracotta e stravista che, per quanto strizzi fastidiosamente l'occhio alle più grevi commedie Vanziniane, tutto sommato ne esce medio-bene. Certo, Pio e Amedeo non sono Checco ma riescono a tenere botta per buona parte del film, che però si perde nel finale. Tutto sommato, grazie alla durata extra breve, si guarda senza troppe difficoltà e qualche cliché sulla "milanodabere" fa comunque sorridere. Voto: 5,5
martedì 31 agosto 2021
Lontano lontano (2019)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2021 Qui - Altro colpo a bersaglio del bravo Gianni Di Gregorio (attore, regista e sceneggiatore) che, memore del successo di Pranzo di Ferragosto (e dei suoi altri), punta ancora su semplicità e romanità per emozionare lo spettatore con una storia non trascendentale ma ricca di brio e umanità (veleggiando come al solito tra il sorriso e il sospiro, con uno stile che è ormai ampiamente riconoscibile). Pochi attori (anche ed ovviamente lui stesso) ma ben collaudati, tra cui il compianto Ennio Fantastichini, che terminate le riprese del film ci lascerà (un film prodotto a distanza di cinque anni dal precedente film del regista romano, ovvero Buoni a nulla). La pianificazione del progetto di partire per l'estero e le prime difficoltà pratiche, la parte migliore del film. Di una commedia gradevolissima che tratta argomenti sociali di attualità che spaziano dalla famiglia al lavoro, dalla situazione pensioni alla burocrazia, dall'amicizia all'emigrazione, dalla ricerca di un posto più vivibile alle incertezze e alle paure che comporta una scelta di vita. Tutto trattato con garbo, ironia e un velo di malinconia, diretto senza sbavature, realizzato e interpretato al meglio per garantire una visione interessante e gradevole da seguire. Voto: 6
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lunedì 27 maggio 2019
Una piccola impresa meridionale (2013)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/06/2018 Qui - Una piccola impresa meridionale (Commedia, Italia 2013): La seconda fatica cinematografica di Rocco Papaleo (dopo Basilicata coast to coast e prima di Onda su onda) può definirsi in tutto e per tutto "un'occasione sprecata". Il film infatti, al di la delle nobili intenzioni del regista (che agisce in modo genuino e indipendente), che s'ispira a un racconto scritto da lui medesimo, s'impantana nei luoghi comuni, all'insegna del facile buonismo, con una sceneggiatura raffazzonata. Perché la suddetta commedia, anche se riesce a farsi apprezzare per più fattori, innanzitutto lo scorcio di territorio utilizzato è semplicemente meraviglioso, peraltro ripreso spesso e volentieri, un vero protagonista partecipativo (il film difatti è ambientato in Puglia ma interamente girato in provincia di Oristano), è discontinua, risultando anche incompiuta in diversi settori, visto che si aprono tante strade, dovute alla coralità dell'insieme, che non sempre trovano degna valenza e/o una destinazione calibrata. E questo nonostante una trama all'apparenza accattivante, quella di Costantino, che costretto a trasferirsi in un faro una volta "spretato", si ritrova presto a condividere questo spazio con l'ex prostituta Magnolia ed il cornuto Arturo, lasciato dalla moglie nonché sorella di Costantino. In breve tempo poi com'è ovvio altre persone convergono in questo luogo che riprende vita tra nuove consapevolezze e qualche sogno. Ma saranno proprio quest'ultime, insieme all'inutile e men che meno divertente compagnia girovagante dei due uomini e la bambina che aiutano nella ristrutturazione Papaleo e gli altri, ad "affossare" una commedia che non riesce ad essere particolarmente incisiva, come dovrebbe e vorrebbe (soprattutto nel suo debole tratteggio omosessuale). Certo, il registro è ad ogni modo piacevole, sufficientemente delicato e scandito senza (troppe) uscite fuori luogo e qualche scorcio surreale, ma la struttura, come detto, è assai più opinabile, appare infatti esile, prevedibile seppur coraggioso nel finale, ma soprattutto insoluta, colpa anche di una regia poco attenta al ritmo (qui lento), una narrazione non scorrevole e dialoghi alquanto slegati. Peccato perché il cast in parte è buono, a partire da Rocco Papaleo, che è bravo e simpatico, tutti gli altri invece non tanto (Riccardo Scamarcio lasciamo perdere, Sarah Felberbaum con cadenza russa stona, Giuliana Lojodice prigioniera del personaggio e Barbora Bobulova che sembra da qui averci preso gusto a denudarsi come visto anche recentemente in Lasciami per sempre), ma è la storia, poiché discontinua e che non decolla, a non convincere in questo film derivativo, non spregevole ma certamente dimenticabile, innocuo, mediocre. Voto: 5+
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domenica 28 aprile 2019
Un posto sicuro (2015)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/01/2018 Qui - Un film di denuncia sociale confezionato molto bene, a cui si perdona qualche cliché nella sceneggiatura (il figlio che non parla al padre da anni, e che si riavvicina pateticamente solo al momento della morte, scene già viste mille volte al cinema), questo è Un posto sicuro, film del 2015, diretto dall'esordiente Francesco Ghiaccio, perché si 'sente' e si vede che è un film sincero, raccontato in modo talmente efficace che in molti momenti non capisci dove finisce la finzione e dove inizia la vita reale. Anche perché il film racconta una storia tragica, inventata, ma incardinata in un fatto di cronaca vero, purtroppo, ovvero il disastro che provocò la fabbrica Eternit, i cui operai morivano come mosche a seguito dell'esposizione all'amianto. Senza dimenticare che questa strage, come le didascalie a fine film ci rammentano, finì dopo un tortuoso percorso giuridico, senza colpevoli. Il film per questo è tosto, un po' pesante, ma ben recitato, da Marco D'Amore, che qui da prova di grande versatilità e da un sempre intenso Giorgio Colangeli, e sicuramente interessante, tuttavia non esente da difetti oltre ad una sceneggiatura come detto non perfetta. Perché certamente in Un posto sicuro, che tocca le piaghe del dolore di padre e figlio e del dolore collettivo di una comunità devastata nel corso degli anni da quella risorsa che all'epoca dava prestigio e lustro e che invece provocava un cancro mortale, colpiscono i racconti del padre/Colangeli del mondo Eternit, colpiscono quelle immagini di repertorio che con il senno di poi fanno rabbrividire più di un horror, per l'inconsapevolezza e l'incuria di un male che ha colpito generazioni di persone, ma il regista, seppur ci metta vera passione in questo film tra finzione, documentario e teatro, non sempre è all'altezza. Il film infatti, nonostante guizzi visionari di grande impatto (su tutti, la scena metaforica in cui il protagonista svuota sul palco interi sacchi di palline da ping pong), perde parte del suo potenziale in un fragile schematismo, con rivoli narrativi prescindibili, a cominciare dall'inutile, seppur bene interpretata dalla splendida Matilde Gioli, sotto-trama rosa. Tuttavia per quanto questa possa ritenersi un'occasione parzialmente sprecata per raccontare un disastro sanitario e ambientale al quale la giustizia italiana ha aggiunto un'intollerabile quota di oscenità e iniquità, e per quanto esso non rimarrà nella storia del cinema italiano, questo è un film, non pretenzioso ma sincero e sufficientemente bello ed emozionante. Voto: 6+
sabato 23 marzo 2019
L'attesa (2015)
Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2017 Qui - L'attesa (Drammatico, Italia, Francia, 2015): Un film bello ma senza cuore, questo "The Wait", plasmato da una capacità stilistica che diventa maniera e raffredda ogni cosa, anche l'ottima prova della sempre bellissima Juliette Binoche (anche con le rughe certo). Uno spunto che, partendo da un testo Pirandelliano, sembra un remake di "Sotto la sabbia" di Ozon, privo tuttavia del pathos che il collega francese riesce a creare. L'attesa (che tutto finisca) dello spettatore è, diciamo e infatti malamente ripagata dal fatto che chiunque capirebbe l'epilogo della storia, che quando ha bisogno di coinvolgere sfuma nel thriller, ma la scena migliore (la processione religiosa) finisce per diventare fine a se stessa (come tanti movimenti e immagini). Certo, questo è comunque un film ben diretto, ben recitato, ma puro esercizio stilistico del collaboratore di Sorrentino, Piero Messina che purtroppo, prende da lui solo gli aspetti negativi (qualche fighettismo di regia, uno slow motion insistito, una musica ruffiana e una inquadratura virtuosistica solo per ricordarci che stiamo vedendo un "film d'autore"), con in più un'evoluzione dei personaggi alquanto finta e irritantemente fredda, nonostante una storia che comunque poteva e doveva emozionare. Ma essa non fa, giacché si può abbellire quanto si vuole (come mettere due attrici francesi che parlano nella loro lingua), ci si può girare intorno all'infinito, ma l'indubbia (spero migliorabile) bravura tecnica del regista mostra una bella forma ma dal contenuto esile ed una freddezza di fondo che il film paga soprattutto a livello di attenzione. Siamo nei territori della mattonata, girata bene quanto si vuole, ma sempre mattonata rimane. Una mattonata in cui nonostante la brava Juliette Binoche e la bella Lou de Laâge ce la mettano tutta per portare sangue e carne alla narrazione, poco o nulla funziona. Voto: 5
domenica 27 gennaio 2019
Se chiudo gli occhi non sono più qui (2013)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Se chiudo gli occhi non sono più qui è un delicato e drammatico film di formazione italiano del 2013 diretto da Vittorio Moroni. Il film infatti, racconta di un ragazzo di origine filippina, Kiko, orfano di un padre italiano di cui sente fortemente la mancanza, il quale vive con la madre ed il di lei nuovo compagno in una cittadina del Friuli, che non riesce a trovare la sua dimensione anche per colpa del padre 'adottivo'. Il rapporto che l'adolescente ha con quest'ultimo è infatti assai controverso, per non dire ostile, il ragazzo difatti, desideroso di studiare è costretto invece, al termine di ogni giornata scolastica, ad andare al cantiere dove lui lavora per lavorare come muratore e fare di questa attività la sua professione futura. L'incontro che egli avrà con un vecchio professore ed amico del padre però gli cambierà l'esistenza e lo farà maturare velocemente, venendo anche a scoprire sconcertanti verità. Se chiudo gli occhi non sono più qui come si evince dalla trama, racconta una vicenda molto minimalista, esile se si vuole dire, in quanto più che avvenimenti ed azioni eclatanti, essa presenta lo stato d'animo malinconico, per non dire triste, e quasi rassegnato del giovane protagonista che sicuramente non sta vivendo serenamente, come invece dovrebbe, le proprie giornate e la sua età. Diviso tra i doveri e le responsabilità impostigli dal patrigno, per lui troppo onerosi e non del tutto confacenti ai suoi anni, e tra le aspirazioni di un futuro migliore attraverso la passione per lo studio e quella per l'astronomia, lo spettatore recepisce esattamente quello che il regista vuole consegnargli, cioè il ritratto di un ragazzo assai dolente, privato prematuramente degli affetti più cari e molto più maturo della sua età. E non può che comprenderlo e soffrire un po' con lui.
domenica 30 dicembre 2018
Banana (2015)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2016 Qui - Giovanni è un ragazzino patito del calcio brasiliano di cui condivide l'ardore della passione, del coraggio dell'attacco, convinto che nella vita si debba a tutti i costi cercare la felicità. Portiere della squadra della scuola, soprannominato Banana per la sua incapacità di tirare in porta, per la sua passione per i colori brasiliani, giallo verdi emblema di un coraggio di cui si sente portatore, si innamora di Jessica, ragazzina più grande di lui e ripetente che il goffo ragazzino cerca di salvare da una bocciatura certa secondo i dettami del calcio brasiliano da lui adorato: lotta, sacrificio e impegno. Ma Banana vive nel complicato mondo italiano che il regista, esordiente, Jublin, non ci nasconde di tratteggiare a tratti con intenti grotteschi, dove l'ardore del sogno, della conquista, della determinazione, cozza con il "De profundis" della realtà umiliante che uccide i cervelli fini costringendoli a emigrare e nel caso migliore, a "ritagliargli" delle posizioni assai inferiori alle proprie capacità. La sorella Emma bilaureata disposta a rinunciare ad un futuro di archeologa ricercatrice all'estero per stare vicino a un fidanzato "fallito bipolare", gli insegnanti di Banana come quella di lettere, annoiata, stanca, refrattaria all'emotività e alle scusanti degli alunni che ripete il suo rito di fiera "colonna" (di nome e di fatto) austeramente assuefatta a riflessi di una bellezza morente e persino i genitori oramai quasi avvolti da un velo di mancata comunicazione ne sono i più vivi rappresentanti.
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