mercoledì 9 gennaio 2019

The Water Diviner (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/07/2016 Qui - The Water Diviner è un emozionante, crudo e teso film drammatico del 2014 diretto e interpretato da Russell Crowe, al suo esordio come regista. Ispirato a fatti realmente accaduti e basato su un romanzo di Andrew Anastasios, la storia è stata scritta per il cinema dallo stesso autore insieme ad Andrew Knight e parla delle traversie di un agricoltore australiano, Joshua Connor (Russel Crowe) che nel 1919, a quattro anni dalla fine della guerra di cui anche Gallipoli (dove ci fu una delle più sanguinose battaglie della prima guerra mondiale) era stato teatro, non avendo visto tornare i suoi tre figli, parte per la Turchia a cercarli morti o vivi che fossero, dopo la promessa fatta alla moglie suicida per la disperazione. In questo coinvolgente (a tratti) film il Russell Crowe regista si attiene con notevole accuratezza storica ai fatti del primo post-guerra in Turchia, anche se, a dirla tutta, manca quella scintilla magica che permetterebbe alla sua opera prima di essere catalogata come capolavoro, e anzi, se non vi fosse l'immensa interpretazione del Russell Crowe attore staremmo parlando di una pellicola del mucchio, un'opera qualunque arrestatasi a metà del guado. Il film infatti che parla di una storia non tanto conosciuta a più, anche da me, non sapevo infatti che l'Australia avesse combattuto nella grande guerra, addirittura con un proprio esercito, l'ANZAC (Australian and New Zealand Army Corps), si mantiene solo grazie alla presenza del roccioso attore, che rende 'omaggio' ai suoi natali. Ma scendiamo nei dettagli della trama di un racconto che porta il nostro protagonista dalla nativa Australia, mosso da una promessa, fatta alla moglie poco prima che morisse, ovvero quella di trovare i suoi figli, e riportarli a casa per dare loro una degna sepoltura. Joshua è un agricoltore, sa ascoltare la terra, sa trovare l'acqua nelle sue profondità (il titolo è esplicativo), eppure, trovare i suoi figli in quel luogo devastato dalla guerra sembra un'impresa troppo grande. I suoi unici amici in terra straniera sono il piccolo Orhan e sua madre Ayshe (la bella Olga Kurylenko, abbastanza sottotono), che gli offrono alloggio nel piccolo albergo di famiglia, finché l'incontro con un ufficiale dell'Esercito turco gli restituisce la speranza: il più grande dei suoi figli potrebbe essere ancora vivo. Comincia così per Joshua un viaggio nel cuore dell'Anatolia, alla ricerca del figlio perduto e della risposta alla domanda: perché non è tornato a casa?
Una risposta l'avrà, anche forte, ma il film nonostante le premesse, la struttura e l'argomento non convince appieno, anche se è veramente difficile e quasi impossibile essere crudeli con Russell Crowe, sia per quegli occhi buoni sopra l'incombente montagna di muscoli, sia perché guardando The Water Diviner, suo esordio dietro la macchina da presa, si respira la forte partecipazione emotiva dell'attore neo-regista, che affonda le mani nella storia della propria terra (la Nuova Zelanda e l'Australia) per mettere in scena una vicenda fervidamente antimilitarista. Non si possono difatti chiedere al roccioso Russell più di tre o quattro espressioni facciali, espone i bicipiti, ammicca con lo sguardo ceruleo e assassino ma più di questo, onestamente, non potremmo pretendere, dall'attore. Il regista, invece ci offre un prodotto inconsueto su un tema anch'esso fuori dagli schemi. Nel centenario della grande guerra, torna a Gallipoli, luogo sacro per i militari australiani, già santificato dal primo Peter Weir negli "anni spezzati" che videro l'esordio di Mel Gibson e ci introdussero al sacrificio della cavalleria leggera australiana, mandata a morire in trincea sui Dardanelli, come in seguito i nostri alpini verranno immolati nei campi di ghiaccio del Don. Crowe rievoca quei fatti d'arme (come della vita semplice e felice di questa famiglia e del dono della rabdomanzia del padre) partendo, per flash back, dal pietoso ufficio della ricerca dei caduti che distinguerà tutti i teatri di guerra e porterà tutti i belligeranti alla ricerca, ciascuno, del proprio soldato sconosciuto. Parte quindi alla volta della penisola maledetta dove le onoranze imperiali britanniche stanno recuperando i resti dei caduti. Sullo sfondo di una Turchia in fermento, in attesa dell'avvento di Mustafa Kemal, padre della Turchia moderna, si dipana la ricerca dei poveri corpi. Ne troverà, grazie alle sue doti, due su tre, perché il maggiore, con troppi sensi di colpa è fortunosamente sopravvissuto. Nella rocambolesche fasi del salvataggio di quest'ultimo rampollo incontrerà anche l'amore, nella persona di una fascinosa vedova di guerra turca, molto avanti per la sua epoca ma in linea, tutto sommato, con lo spirito dei tempi. Indubbiamente quindi, un bel film con scenari e paesaggi suggestivi. I colori e le luci sono mozzafiato. Interessante il punto di vista del regista riguardo ai fatti storici accennati. Non vuole essere un rifacimento del capolavoro di Weir, il film di Russel Crowe vola consapevolmente più basso e si occupa più delle conseguenze locali e a distanza nelle famiglie, come la sua. distrutte per il massacro di 9000 giovani australiani andati a combattere volontari, per puro senso patriottico. E' perciò anche una storia d'amore, di speranza e, soprattutto, di riconciliazione.
Il senso di colpa per non aver impedito la loro partenza e la promessa fatta alla moglie danno al maturo omone l'energia, la grinta e l'insistenza per riuscire nei suoi intenti, nonostante il caos, la burocrazia e i motivi politici di spartizione di quel territorio anatolico, dove gli unici non coinvolti erano proprio gli Australiani. Anche per questa palese buona fede Joshua riesce ad ottenere rispetto e collaborazione di alcuni ufficiali turchi, specie di uno, Cyril Hughes, che ricordava quei ragazzi. Il rispetto e l'amicizia che nasce tra il protagonista e l'ufficiale dell'esercito turco, magistralmente interpretato da Ylmaz Erdogan, è un momento fondamentale della trama. La storia d'amore appena accennata, più intuita da parte dello spettatore che esibita in modo sfacciato, non disturba e secondo me è funzionale alla storia proprio a rappresentare il tema dell'amore che non è amore fisico, passionale ma tenero e protettivo. Joshua Connor è un uomo triste, disperato all'inizio del film al quale è rimasto solo il suo 'dono', trovare l'acqua, la vita per la terra brulla del suo paese. Poi c'è il viaggio ed è qui che comincia la speranza ed infine l'amore e ancora una volta è il suo 'dono' che gli viene in aiuto, saper rintracciare i suoi figli così come fa con l'acqua e dunque poter riprendere a vivere. Il suo coraggio e la sua determinazione lo rendono grandioso, capace di gesti nobili, forte del suo dolore e aperto alla vita. Russel Crowe dirige magistralmente un film che vuol essere anche e soprattutto un omaggio ai 37 milioni di uomini e donne deceduti durante la Prima Guerra Mondiale (come leggiamo nei titoli di coda), vittime di uno dei conflitti più sanguinosi che la storia ricordi. E altrettanto magistralmente interpreta un padre che ha perduto tutto, tranne appunto la speranza. Location favolose e una Turchia misteriosa e fastosa, prossima ad accogliere lo sconvolgimento epocale del grande riformatore Ataturk. Ben curati i costumi, ravvivati da una fotografia onesta. Le poche scene di guerra sono ben riprese, così come buona la colonna sonora. Un impianto lineare, un focus preciso, una forte struttura narrativa, caratteri delineati senza ambiguità, un forte risalto dell'affettività, un approccio 'umanistico', un attaccamento alla tradizione forse un po' letterario, ma autentico, privo di manierismo. Ma soprattutto il gusto profondo del 'racconto', una grande capacità di narrare per affascinare, di cui mi sembra simbolo il testo delle 'Mille e una notte' che il protagonista si porta dietro nella sua peregrinazione. Russel Crowe (dite quel che volete) sa raccontare. Con il plot, il dialogo, la fotografia, suoni e colori forti, passaggi repentini (molto ben costruiti) di scena e di tono, dal drammatico, all'avventuroso, alla suspense, al sentimentale, persino all'ingenuo, ma tutto 'ben temperato', con un gran senso dei tempi e dei ritmi. Sicché tutto è improbabile e tutto è probabile, come solo un gran narratore può farti credere. Come prima regia ci si può accontentare, con la speranza che, se prosegue sulla questa via, Russel Crowe abbia la carature di raggiungere altri illustri colleghi, ora ben più lontani. Comunque ha pagato il suo tributo all'Australia e ha mostrato coraggio, oltre che far bene la sua parte. In questa curiosa avventura all'australiana, tutti gli eventi più significativi sono in flashback, dal salvataggio dei ragazzi, ancora piccoli, da parte del padre in una violenta e indimenticabile tempesta di sabbia, alla scena, rievocata due volte, in cui i tre ragazzi, ormai soldati, sono stati feriti insieme e compongono un intreccio di corpi e di dolore che non può non emozionare. Insomma tutto bello anche se talvolta rimane solo in superficie, in ogni caso esperimento comunque riuscito. Voto: 6,5

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