mercoledì 9 gennaio 2019

Forza Maggiore (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 26/07/2016 Qui - Forza maggiore (Turist) è un psicologico dramma scandinavo (più precisamente svedese) del 2014 diretto da Ruben Östlund. Il film ha vinto il Premio della Giuria nella sezione Un certain regard al 67º Festival di Cannes, ed è stato selezionato per rappresentare la Svezia nella categoria miglior film straniero ai Premi Oscar. Come detto all'inizio questo film è un dramma, infatti in un villaggio sciistico delle Alpi francesi si consuma un dramma esistenziale e famigliare che indaga le debolezze umane e le relazioni tra individui, l'egoismo e l'incapacità di relazionarsi. E racconta di una famiglia svedese in vacanza sulla neve, che, nel corso di un pranzo su una terrazza di un ristorante, viene letteralmente divorata da una valanga che ad un primo momento risulta controllata (e difatti lo è) ma si avvicina così velocemente da sembrar destinata a travolgerli. Ma è durante il fuggi-fuggi generale che avviene qualcosa di insolito ma naturale ad un primo momento, preso dal panico e dal suo egoismo istintivo, il padre scappa (prendendo con se solo gli occhiali e l'Iphone), lasciando così in asso la moglie e entrambi i figli, che istintivamente invece li protegge. La valanga si arresta poco prima di provocare un disastro (i quattro rientrano sani e salvi) ma ormai le dinamiche familiari risultano profondamente cambiate, e la vicenda fa così affiorare conflitti mai prima rivelati. Perché qualcosa nella coppia si incrina ed è una crepa che è destinata ad aprirsi sempre di più. Basta questo breve resoconto dell'incipit del film per capire che siamo in presenza di un'ottima idea, che il regista svedese, almeno in larga parte, sa sfruttare al meglio. Ma poiché parliamo di un film passato da Cannes, ci sono due strade, o è un capolavoro oppure è di una noia mortale, ebbene qui niente di niente, ma una via di mezzo spiazzante e interessante. Perché Ruben Östlund mette in scena un tema psicologicamente forte, quale frattura può generare in una coppia lo scoprire che il tuo partner amato, il tuo eroe, bello, biondo, forte e protettivo, è una creatura che di fronte ad un pericolo che sembra mortale, scappa, lasciandosi dietro te e i vostri bambini? E poi, intimamente umiliato, ferito dagli sguardi pieni di interrogativi tuoi e dei vostri figli, cerca di rimuovere, rifiuta di riconoscere una vigliaccheria per cui si odia, poi è costretto a prenderne atto come tu esigi, e allora ti sembra sempre più estraneo, alieno, finché (sull'orlo di una spaccatura insanabile) qualcosa inevitabilmente succede.
E questo succede a questa coppia, che mai si sarebbero aspettate di vedere e capitare ciò, poiché mentre la valanga materiale si dissolve, un'altra valanga tutta interiore travolge i due protagonisti e li accompagna nei giorni di vacanza che restano in un gorgo pericoloso di emozioni e conflitti. Il film ha molti elementi di qualità, primo fra tutti l'atmosfera, il regista riesce a materializzare nel paesaggio la radicalità di un conflitto che mette a nudo i personaggi senza pietà e li costringe in tunnel apparentemente senza uscita. E allora da una parte una 'montagna incantata' sospesa nel tempo e nello spazio, freddamente ostile nella sua luce accecante e nei suoi nitidi profili notturni percorsi dagli spari ritmati dei cannoni da neve e dall'avanzare inquietante di gatti delle nevi che sembrano carri armati, dall'altra parte i lunghi corridoi claustrofobici che percorri al ritorno dai campi di sci, la struttura del residence che ricorda un carcere, con le camere (celle) che si affacciano su lunghi corridoi aperti a più piani. Il secondo elemento interessante è il tono, sicuramente drammatico, ma percorso da una vena un po' surreale, un po' sarcastica, un po' comica, sottolineata da un commento sonoro incalzante, che non spezza la tensione, ma la umanizza, togliendole l'astrattezza di un'analisi psicoanalitica a freddo. L'ironia sotterranea del contrasto tra dialogo 'civile, corretto e comprensivo', l'occhio impassibile dell'inserviente dell'aspirapolvere, il delizioso intermezzo della cena con gli amici chiamati loro malgrado ad essere spettatori dello scontro tra Ebba (Lisa Loven Kongsli) e Thomas, dove un perfetto Kristofer Hivju (Mats, Tormund ne Il Trono di Spade) quando cerca di appianare le divergenze dei due coniugi e di trovare giustificazioni a Tomas, si arrabatta per inventare un'improbabile soluzione pacificante, "Forse volevi scappare per diseppellirli". Un elemento meno positivo non irrilevante invece i due attori principali, in particolare Johannes Kuhnke (Tomas), con la sua espressione un po' fissa, un po' intontita, dagli sguardi molto meno sottili, molto meno complessi ed espressivi dell'atmosfera in cui sono immersi e di quanto il tema meriterebbe. Ma sommando questi elementi si ottiene comunque questo discreto film svedese che nella scena finale (autobus sui tornanti di montagna) dispiega tutta la sua morale sorprendentemente molto più latina che scandinava, nella famiglia tutto si ricompone e chi si prende certe libertà corre rischi imprevedibili.
Infatti la Famiglia (padre madre e due figli piccoli sono realmente un tutt'uno nel corso del film tranne che nell'episodio della valanga) incappa in un imprevedibile inconveniente (la valanga appunto) che sembra minare alla radice i suoi principi fondanti generando sospetti sull'intimo disinteresse del padre per gli altri membri. Tuttavia dopo un percorso interiore non facile si propone al padre la possibilità di riscattarsi e di salvare la madre dispersa nelle nebbie e nella neve dimostrando così il suo attaccamento al nucleo famigliare. Una scena dove, per come è costruita, lo spettatore è portato ad essere più indulgente nei confronti del marito, rispetto all'ignavia mostrata invece nella scena iniziale della "valanga", insomma non è poi cosi codardo, almeno fin quando non sente sul collo il "respiro della morte". L'ultimo episodio di questa vacanza veramente sfortunata per la Famiglia corrobora ancora di più il significato del film, la Famiglia esce da una situazione potenzialmente pericolosa (sceglie di fare la faticosa strada a piedi invece che affidarsi ad un autobus guidato da un maldestro autista, una scena che suscita nello spettatore la stessa ansia di pericolo e di paura di quella iniziale), questa volta, però, è la madre, angosciata dal senso di imminente pericolo, che si precipita al volante e costringe l'autista a fermare l'autobus dal quale lei scende precipitosamente in strada, incurante dei figli che nel frattempo erano rimasti seduti al loro posto in fondo al pullman, mentre l'unica a rimanere sul veicolo (e correrne i conseguenti rischi) non a caso è l'amica "libertina" che vuole conciliare famiglia e relazioni extraconiugali a piacimento. Anche in lei perciò il proprio istinto di sopravvivenza prevale rispetto a quello altruistico della protezione dei figli. Evidenziando così, in maniera forse un po' troppo frettolosa e poco evidente, al di sopra di ogni personalismo, il principio della prepotente istintualità, contro ogni altro principio culturale e morale, che tu sia uomo o donna. Ma il regista non ha avuto il coraggio di affondare la lama nella ferita e nella crepa che si è creata non solo nell'ambito della coppia, ma perfino nella famiglia, vista anche la reazione quasi inconsapevole ma istintiva dei loro due bimbi. Il regista pare osservare le reazioni psicologiche e comportamentali della donna (scioccata dall'atteggiamento del marito, soprattutto dal suo negare l'evidenzae della controreazione dell'uomo con lontano distacco. E le inquadrature mai in primo piano stanno a dimostrare questo lontano sguardo dell'autore. L'uso della camera fissa in misura volutamente eccessivo e le ambientazioni visive e sonore interne (albergo) ed esterne (montagne) quasi sempre angoscianti e ansiogene concorrono però al coinvolgimento pressoché totale dello spettatore che rimane forse un po' più che deluso dalla mancanza della tragedia finale, ma sicuramente molto rinfrancato dalla ritrovata normalità famigliare.
Nel complesso quindi un buon film, ma a mio modesto parere si poteva e doveva enfatizzare maggiormente la drammaticità della situazione creatasi. Comunque disturbante quanto basta, che dice cose vere e sgradevoli soprattutto per chi appartiene al sesso maschile, che fa sorgere tante domande, sia per gli uomini dato che secondo i canoni odierni e ancestrali, proprio gli uomini dovrebbero proteggere le loro donne e loro famiglie, invece in situazioni di pericolo sembra che siano proprio loro a reagire più spesso con la fuga, e degli esseri umani, come reagiscono in situazioni improvvise come una catastrofe? Chi si scopre eroe e chi vigliacco? Ecco così che i lati più oscuri e meno nobili di noi vengono a galla. Le donne comunque sono svantaggiate in termini di sopravvivenza rispetto agli uomini e lo stesso vale per i passeggeri rispetto all'equipaggio, invece della regola "prima le donne e i bambini", prevale il "si salvi chi può". Dopotutto in situazioni estreme la gente reagisce in modi del tutto inaspettati e di grande egoismo. Tornando al finale, nonostante sia bello ed evocativo, con un forte momento rappacificatore e di solidarietà, dove le debolezze umane sono smascherate, comprese e condivise, è troppo simbolico e rassicurante, (l'umanità va avanti, pur con tutta la sua fragilità, e sa ritrovare un senso comune anche nell'insicurezza e nella precarietà, cosciente delle proprie debolezze, in una necessaria, obbligata solidarietà), ma per tutto il film lo spettatore è chiamato a constatare e soffrire di cose che lo riguardano, che ci riguardano. In definitiva un film con un tema davvero interessante, grazie ad un racconto intrigante, che coinvolge. Da vedere. Voto: 6,5

Nessun commento:

Posta un commento