giovedì 31 gennaio 2019

Il luogo delle ombre (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2016 Qui - Il luogo delle ombre (Odd Thomas) è un atipico e alquanto inusuale thriller horror del 2013 diretto da Stephen Sommers (La mummia 1 e 2, Van Helsing), adattamento cinematografico de Il luogo delle ombre di Dean R. Koontz, primo romanzo della serie Odd Thomas. Il protagonista, un ragazzo di venti anni che conduce la propria esistenza nella città desertica di Pico Mundo, in California, è interpretato dal compianto Anton Yelchin (qui davvero bravo) prematuramente scomparso poco tempo fa. Lui però che sembrerebbe un ragazzo come tanti altri, ha un dono speciale, può percepire la presenza dei defunti con qualcosa di sospeso e non solo. I defunti infatti con i quali però non può parlare ma, nel caso siano deceduti per morte violenta, può cercare di risalire ai colpevoli, gli appaiono per aiutarlo a risolvere i crimini di cui sono stati vittime ed aiutarlo per prevenire future carneficine. Un giorno però nella tavola calda dove lavora, appare un misterioso uomo, che Odd soprannomina "Fungus Man" (a causa della sua carnagione che ricorda la muffa e del suo bizzarro taglio di capelli), seguito da un grande sciame di Bodachs, creature oscure che appaiono solamente durante i periodi antecedenti a morti e carneficine (una variante del goblin o del bogeyman). E grazie al suo dono soprannaturale, Odd intuisce che il misterioso uomo è collegato da un'imminente catastrofe che sta per abbattersi sulla città, ma Odd avrà solo 24 ore di tempo per sventarla. In questa sua missione sarà aiutato dalla sua giovanissima e bellissima fidanzata Stormy (la meravigliosa Addison Timlin) di cui è follemente innamorato a cui è legata dal destino. I due credono negli ideali idealissimi, e Odd, accompagnato da una figura paterna sostitutiva quale è il capo della polizia locale (interpretato da un William Dafoe comunque sempre bravo anche se un po' alleggerito dalle sue parti solitamente drammatiche), ha tutte le carte in regola per essere il poliziotto giustiziere paranormale della cittadina, che deve difendere dal male imminente e ovviamente ci riuscirà, non senza danni collaterali.

Predestination (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/10/2016 Qui - I viaggi nel tempo hanno costituito, soprattutto dagli anni '80, un presupposto stimolante e intelligente per sviluppare una serie di pellicole che, da Ritorno al futuro in avanti, sono divenuti un vero e proprio genere nel genere. Predestination, opera dei due fratelli registi Spierig, segue questo filone e ha una trama la cui vicenda ufficiale forse la dirò tra poco. La sua 'vera' storia tuttavia è un ingarbugliato via vai temporale che non può proprio essere raccontato, se non si vuole svelare il nodo cruciale della vicenda, bruciando lo stesso film e devastandone la visione. Diciamo che, mettiamo il caso sognate di poter viaggiare nel tempo, sognate il più grande paradosso temporale possibile e troverete questo film. Posso solo dire perciò che tutta la complessa (e pure molto macchinosa vicenda) si basa sull'enigma principe che affligge l'uomo allorquando egli si interroghi sulle incognite inerenti la nascita della vita sulla Terra: ovvero 'è nato prima l'uovo o la gallina?'. Comunque per chiarezza, questo  thriller fantascientifico del 2014, adattamento cinematografico del racconto Tutti voi zombie (...All You Zombies...) del 1959 di Robert A. Heinlein, parla di un viaggiatore del tempo che si sposta freneticamente da un anno all'altro per dare la caccia a un attentatore dinamitardo che sconvolge gli Stati Uniti. Il suo viaggiare però lo porta a incrociare persone e storie che lentamente dispiegano il loro significato, in un quadro surreale denso di incognite temporali che minerà le sue residue certezze sul significato da attribuire al tempo ed alla sua stessa identità. Come detto in precedenza Predestination è un film con una trama all'apparenza complessa, ma che grazie ad un'ottima regia riesce a farsi capire alla perfezione e ad apparire allo stesso tempo prevedibile ed improbabile, rischiando anzi di cadere nel banale, salvo poi stupirci poi effettivamente con tutta una serie di avvenimenti che è davvero pressoché impossibile indovinare dall'inizio, scoprendo nel finale altarini che per un'osservatore attento erano visibili fin da subito, ma che alla fine rendono rocambolesco ed eccessivamente convulso il via vai temporale.

Il segreto dei suoi occhi (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/10/2016 Qui - Il segreto dei suoi occhi (Premio Oscar come Miglior Film Straniero nel 2010 per l'originale El secreto de sus ojos) si misura con il remake americano (del 2015) diretto dal regista Billy Ray e forte di un cast che schiera Nicole Kidman, Julia Roberts e Chiwetel Ejiofor. Un remake onesto e ben scritto, ma che perde però la poeticità della versione originale, cadendo nella freddezza. Avendo visto l'originale infatti è impossibile evitare l'effetto déjà-vu e sottoporre il film in questione a inevitabili confronti, ma cercherò di limitarmi il più possibile. Questo remake è appunto un riadattamento, o meglio una americanizzazione, ma davvero molto intelligente. I punti caratteristici della versione argentina, come la questione politica, ma anche le ambientazioni, sono stati perfettamente contestualizzati, riuscendo ad aderire perfettamente al contesto in cui viene calato e a distaccarsi in maniera credibile dall'originale e di vivere autonomamente, qui difatti subentra l'11 settembre e la lotta al terrorismo. Ma nonostante ciò è privo della forza emotiva dell'originale, e anche se la sceneggiatura fila, è lineare, forse più accessibile dell'originale, qualcosa si perde e si tratta proprio del lato romantico, poetico e melanconico della pellicola di Juan José Campanella (il regista di quel capolavoro del 2009), qui in veste di produttore esecutivo, perché pensare di migliorare un film quasi perfetto è pura follia. Ma, quindi, da cosa nasce l'esigenza di realizzare proprio un remake de Il segreto dei suoi occhi? Evidentemente Billy Ray ha visto nella splendida opera di Campanella la possibilità concreta di sviluppare una storia che potesse ben rispecchiare il nostro oggi. L'incubo del terrorismo (islamico) senz'altro, ritornato per noi occidentali, negli ultimi anni prepotentemente e tristemente alla ribalta, prendendo al volo l'occasione per riflettere sulle aberrazioni/errori/decisioni critiche compiute dai governi alle prese con momenti di assoluta tensione. E il solido spunto per un discorso etico che pian piano sta venendo fuori, costituendo la sottotraccia di diverse, recenti produzioni cinematografiche made in USA, interessato a sondare il grado di moralità individuale, di responsabilità del singolo, quella sempre più rara ostinazione (che rischia di diventare ossessione) a non dimenticare, secondo i dettami della vigente cultura (occidentale) della rimozione. E, poi ancora, il senso di condivisione. Come, per esempio, alleggerire il pesante fardello di un segreto inconfessabile. Di un tormento perpetuo che forse, solo così, si concederà una tregua. Ma paradossalmente il film funziona e non mi è dispiaciuto vederlo poiché con la sceneggiatura del film fare peggio era possibile, fare meglio era impossibile ma non riesce comunque a raggiungere l'originale. In ogni caso si segue il dipanarsi degli eventi con assoluta partecipazione e con un pizzico di curiosità, concentrato soprattutto ad appurare le similitudini e le differenze tra i 2 copioni.

mercoledì 30 gennaio 2019

Bianconeri Juventus Story: Il Film

Anteprima e retrospettiva pubblicate su Pietro Saba World il 09/10/2016 Qui - Il binomio Cinema-Calcio non è stato quasi mai un binomio efficace o riuscito, perché per chi ha giocato o ne capisce di calcio, sa che riproporre un azione o una dinamica di gioco è praticamente impossibile, bisogna esseri dei fenomeni solo per riuscire 'meccanicamente' a rifare una certa azione, solo per giocare e sapere già il risultato di una determinata giocata. Da quando negli anni '80 uscì Fuga per la vittoria, che comunque rimane un gran bel film, questo fatto è risultato evidente. Negli anni tanti ci hanno provato e molti discretamente ci sono riusciti ad essere minimamente credibili (da Goal a Best, da Jimmy Grimble a Sognando Beckham, da Il mio amico Eric a Il maledetto United, l'unico e forse il migliore di tutti) ma senza riuscire a impressionare e convincere appieno, compreso l'ultimo Pelè: il film che ha molti ha deluso proprio in quell'aspetto. E' davvero così difficile, forse no, ma dipende dalla partita che si vuol giocare-rifare-filmare, forse però il prossimo film che faranno (è in fase di preparazione quello sul Leicester) riusciranno finalmente nell'impresa. Un impresa che ovviamente non può essere raggiunta tramite un docu-film (costruito con un sapiente mix di immagini esclusive, interviste ai nomi più illustri del calcio mondiale, video di repertorio e materiali inediti provenienti dagli archivi privati della società), come quella che hanno provato a fare Marco e Mauro La Villa sulla Juventus e sul legame con la famiglia Agnelli. Ma al di là di ciò, mettendo da parte quell'aspetto puramente sportivo e tecnicismi di cinema, l'idea di fare un film sulla leggendaria storia della squadra più vincente d'Italia e forse l'idea più grandiosa di sempre, soprattutto perché essendo io grande tifoso, questo è forse il momento che aspettavo, anche se della centenaria storia della Juve non è la prima volta che se ne parla, ma mai in un film. Ecco quindi il film Bianconeri Juventus Story, il film indipendente attraverso cui Marco e Mauro La Villa (due juventini nati, due fratelli gemelli registi e produttori di origini italiane che vivono a New York City) raccontano per la prima volta la storia ufficiale del club, che sarà al cinema da domani 10 ottobre al 12 di ottobre, tre giorni in cui il (numerosissimo) popolo Juventino potrà rivedere i suoi (tantissimi) campioni. Io purtroppo non riuscirò a vederlo al cinema, al contrario di mio fratello, che ha già prenotato il suo posto. Ma quando ne avrò l'occasione lo vedrò, perché il film, presentato quasi due anni fa dai registi in America, giunto adesso qui da noi (per aggiungere l'ultimo straordinario anno alla già interminabile storia), almeno personalmente è imperdibile. Come imperdibile sarà per chi ci andrà di riscoprire vecchi e nuovi calciatori, all'interno del film infatti sono presenti nomi illustri, con interviste a Gianluigi Buffon, Alessandro del Piero, Andrea Pirlo, Giorgio Chiellini, Leonardo Bonucci, Andrea Agnelli, John, Lapo e Ginevra Elkann. Il film in questione sarà poi narrato dal Candidato al Premio Oscar Giancarlo Giannini, e vede tra i produttori esecutivi David Franzoni, sceneggiatore del film Premio Oscar Il Gladiatore, oltre che la collaborazione speciale del Premio Oscar Ennio Morricone. Insomma qualcosa di bello e incredibile, non solo per chi è tifoso, ma anche per chi come sportivo vuole conoscere la storia di una delle squadre più famose al mondo, la Juventus, mitica e magica Juventus. Ma Bianconeri Juventus Story è anche un libro pubblicato da Rizzoli, che sarà disponibile in libreria dal 13 ottobre, dopo l'uscita del film nelle sale. Comunque se volete saperne qualcosa in più basta andare al sito della NexoDigital per sapere anche le sale disponibili. In ogni caso è inutile consigliarlo, chi ama la Juve, lo sa già, chi no può decidere in totale libertà di andare o meno, comunque per aiutarvi nella scelta, ecco il trailer (tuttavia su www.juvestory.it ne trovate altri). Buona visione, viva il Calcio e Forza Juve!

martedì 29 gennaio 2019

Unbroken (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/10/2016 Qui - Unbroken è un potente, crudo e drammatico film del 2014 prodotto e diretto da Angelina Jolie, che racconta la vera, incredibile storia di Louis Zamperini (morto purtroppo durante la realizzazione del film), atleta olimpico, che durante la Seconda guerra mondiale divenne un eroe. Una storia epica di resistenza e coraggio, la trasposizione cinematografica del libro Sono ancora un uomo, scritto nel 2010 da Laura Hillenbrand. Il protagonista (interpretato dall'attore britannico già pluripremiato e nominato ai BAFTA Jack O'Connell) di origini italiane infatti, trova nell'atletica leggera il suo riscatto, ma mentre si prepara per le sue seconde Olimpiadi, lo scoppio della Seconda guerra mondiale lo costringe ad arruolarsi nell'aviazione. Nel 1942, durante una missione di recupero sull'Oceano Pacifico, il suo B-24 precipita rovinosamente, dimezzando il suo equipaggio. Sopravvissuto insieme a due commilitoni, Zamperini resiste in mare per quarantasette giorni, cibandosi di pesce crudo e schivando i colpi delle mitragliatrici aeree giapponesi. Ma saranno proprio i nemici a salvarlo, e verrà condotto in un campo di prigionia, dove diventa presto ostaggio del sadismo di Watanabe, un sergente perverso col vizio del bastone e dell'umiliazione. Dovranno passare ancora due lunghi anni prima che Zamperini, riacquisti la libertà, tornando in Patria e dai suoi cari. Unbroken, intenso e potente, non è perciò un film per tutti. Perché vedere questo film non è una passeggiata, non è piacevole e nemmeno facile da seguire, scena dopo scena. E' un film cattivo e sporco, a tratti perverso ed esagerato che vorresti interrompere a metà o meglio, vorresti prendere la pellicola e modificarla, rendendola più buona, forse buonista, più appetibile e mainstream, forse un po' romantica, dopotutto. La regista invece non imbocca la strada facile o quella che le assicurerà più soldi nel cachet, non vuole confezionare una storia fatta di cliché che il grande pubblico è abituato a seguire nelle sale. La sua storia è fatta di dolore, disperazione, umiliazione, solitudine, sangue e tanta violenza. Descritto cosi il film quindi farebbe proprio schifo, ma sotto lo strato superficiale si trova una storia grandiosa che emana speranza, tenacia, coraggio, forza di volontà e perseveranza da tutte le parti. E sotto lo strato di una storia fatta di disumana violenza, si rivela la vera essenza del film della Jolie, avere speranza, dimostrare coraggio e forza di volontà, non cedere e non mollare, costi quel che costi. Solo con questi elementi ci si può assicurare la dignità e sopravvivenza. Ecco perché Unbroken mi è piaciuto. Ecco perché lo reputo un film importante ed imponente. Non è solo una storia di miseria e dolore, ma una storia dalla risonanza epica di resistenza, riscatto, dignità, coraggio e fede. Unbroken è un film lungo, emotivamente claustrofobico e violento. Queste tre caratteristiche lo rendono difficile da guardare, ma è così che deve essere, poiché per una rara volta, siamo di fronte ad una storia vera che non è stata trasformata in una facile, seppur epica, americanata d'intrattenimento.

Fuck you, prof! (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/10/2016 Qui - Al contrario di uno standard statunitense comunque fatto bene (qui), questo film, sempre ambientato in una scuola, è invece una commedia tedesca, ma molto più divertente, poiché  Fuck You, Prof! (Fack ju Göhte), film del 2013 diretto da Bora Dağtekin, si è rivelato sorprendentemente molto meglio della media dei film di questo genere. Questo film infatti, che ha avuto un successo clamoroso in patria, addirittura c'è già un sequel (a metà settembre nei cinema italiani), è una pellicola leggera, a tratti irriverente, con qualche trovata originale davvero esilarante. Protagonista è un delinquente, Zeki, Elyas M'Barek (Kebab for breakfast) che, appena uscito di galera, scopre che la sua complice, una prostituta abbastanza idiota, ha sotterrato il loro ultimo bottino proprio sotto alla scuola Goethe (murati sotto la palestra). Costretto dai debiti e dagli eventi, decide così di infiltrarsi, con tanto di documenti falsi, come supplente in questo istituto non proprio idilliaco ma anzi una scuola di periferia piena di ragazzi 'casinari' e incontrollabili, uno più stronzo dell'altro. Della professione di insegnante, però, non sa nulla e ciò è palese agli occhi di tutti, usa metodi poco convenzionali, non ha nessuna idea degli argomenti che tratta e getta nel caos l'intera classe e il corpo docenti. In particolare una classe, quella a cui verrà affidato poco dopo, vanta la presenza degli alunni ultra-ripetenti peggiori di tutta la zona. Ma a Zeki, (che vuole solo avere libero accesso ai sotterranei), non gli importa che gli venga affidata la classe più intrattabile, infatti non gli importa un bel niente di niente, ma le cose si complicano quando gli studenti cominciano ad apprezzarlo e a farlo sentire utile, per non dire indispensabile. Come la giovane professoressa Elizabeth (per cui Zeki comincia a provare qualcosa che va al di là dei programmi educativi), che convinta di poter insegnare e educare questi ragazzini con il suo sorriso e la sua gentilezza, si innamora di lui. Elizabeth però, interpretata dalla bella Karoline Herfurth (conosciuta soprattutto per aver recitato nel film premio Oscar The Reader: A voce alta e in Profumo: Storia di un assassino, film del 2006 basato sul romanzo Il profumo di Patrick Süskind) non sa a cosa va incontro anche se per lui questa sarà l'occasione per cogliere l'opportunità di vivere una vita dignitosa e fondata sull'amore.

L'A.S.S.O. nella manica (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/10/2016 Qui - Le teen comedy sono uno dei generi cinematografici più attivi di sempre, ormai sono quarant'anni che imperversano il cinema come la televisione, e sembra che quasi tutti abbiano ormai uno stile definito. Infatti non so perché ma in America tutte le scuole sono uguali, stessi personaggi, stesse caratterizzazioni, ed è così diffuso questo stile che in tutto il mondo accade sempre la stessa storia, ma paradossalmente questo film, nonostante gli stessi dettami o particolari situazioni, si contraddistingue per qualcosa di nuovo e frizzante, sebbene questo è Americano in tutto e per tutto. Infatti solo loro usano degli acronimi per dire qualcosa che altrimenti sarebbe di cattivo gusto dire, ovvero come nel caso di Bianca (interpretata dalla brillante Mae Whitman, molto attiva sia in televisione sia al cinema nonostante i suoi 28 anni), una comune adolescente acqua e sapone (una nerd, stavolta al femminile, che vorrebbe ri-vedere la Corazzata Potëmkin, sì proprio quella), amica di due ragazze molto popolari e invidiate in tutta la scuola (tra cui Skyler Samuels, la Grace di Scream Queens), che scopre un giorno qualsiasi (è il suo vicino di casa ed ex amico d'infanzia, Wesley, a rivelarglielo), di essere l'A.S.S.O. nella manica di loro due, ovvero l'amica più brutta che tutti usano per ottenere informazioni e conoscere le sue due amiche, in pratica la persona meno attraente, meno talentuosa e che funge solo come ruota di scorta. Distrutta dalla scoperta Bianca decide di uscire dalla propria condizione, e per rimediare chiederà in seguito aiuto a Wesley (interpretato in maniera credibile da Robbie Amell, cugino dell'attore Stephen Amell che interpreta Arrow, in cui ha pure partecipato oltreché in The Tomorrow People e alcuni film) per non essere più un "ASSO" (Amica Sfigata Strategicamente Oscena), ma una leader e una ragazza indipendente. Grazie ai suoi consigli vuole diventare adatta alla conquista del ragazzo che brama. Ci riuscirà ma non tutto filerà liscio. L'A.S.S.O. nella manica (The DUFF, acronimo di "Designated Ugly Fat Friend", ovvero "La brutta grassa amica designata") è un film del 2015 diretto da Ari Sandel, ed è basato sul romanzo Quanto ti ho odiato di Kody Keplinger. Il film come ovvio è la classica commedia americana che usa ingredienti ormai standardizzati, che segue gli stilemi delle commedie anni 80 da liceo, prendi una high school, mettici il bonazzo mascellone membro della squadra di football, la 'sfigata' secchiona un po' bruttina (ma neanche tanto) e aggiungici la bonazza oca incredibilmente stronza (Bella Thorne), condisci il tutto con un po' di goliardia pre/post puberale, romanticismo quanto basta con riscatto finale...e il gioco e fatto. Copione già visto milioni di volte, ma una volta tanto viene realizzato bene, senza puntare troppo sulla volgarità e su situazioni paradossali. Anzi, la sottile ironia con la quale vengono raccontate le fissazioni iper-tecnologiche dei moderni adolescenti è molto divertente. E anche se non passerà alla storia come baluardo della commedia moderna, questo film ha una sua originalità.

Snoopy & Friends: Il film dei Peanuts (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/10/2016 Qui - Dopo numerosi cortometraggi e i lungometraggi tratti dalla striscia a fumetti, è arrivato, poco più di un annetto fa, nelle sale cinematografiche il primo film in CGI: Snoopy & Friends: Il film dei Peanuts (The Peanuts Movie), voluto dal figlio del compianto Schulz, Craig, e dal nipote Bryan che ha scritto la sceneggiatura. Alla regia c'è Steve Martino, che ha già diretto L'era glaciale 4 e Ortone e il mondo dei Chi (entrambi della casa di produzione Blue Sky Studios, che ritorna qui per i Peantus). Questo film del 2015 è infatti basato, anzi adattato, più precisamente trasportato dai fumetti, da una striscia divenuta leggendaria, quella di Snoopy e Charlie Brown. Alzi la mano chi almeno per una volta nella vita non sia stato o sentito come Charlie Brown, il timido, impacciato ed adorabile Charlie Brown. Perché basta dire i nomi Charlie Brown e Snoopy che subito vediamo l'immagine del bambino timido, introverso, con l'inimitabile ciuffetto, e il suo fedele bracchetto, che abitano un mondo 'a misura di bambino' in cui i piccoli fanno da padrone, e gli adulti non sono mai mostrati e sono solamente voci che provengono dal fuori campo (fastidiosi suoni afoni), come originariamente era stato concepito. Poiché anche in questa versione, la fracassona combriccola dei Peanuts, rimane fedele all'originale nei tratti dei vari personaggi. Ci sono proprio tutti, individualissimi e collegiali allo stesso tempo, ognuno con le proprie peculiarità. Anche se è doveroso fare una premessa, non sono un tuttologo delle strisce di Schulz anche se, per un motivo o per l'altro, centinaia sono capitate sotto i miei occhi sia quando ero ragazzino (negli anni novanta), sia oggi, quando le popolari vignette finiscono più volte anche sui social per rappresentare, in pochissime battute, svariati stati d'animo e quasi sempre all'insegna di un'intelligenza felice. Ritroviamo quindi tutti i personaggi, le situazioni e i luoghi che gli appassionati ricordano bene, lo sfortunato Charlie Brown col suo malessere esistenziale (che si innamora della ragazzina dai capelli rossi), le sedute psicanalitiche di Lucy, i siparietti di Snoopy e l'uccellino Woodstock (nel film il beagle è il protagonista di una sua storia battuta alla macchina da scrivere in cui si immagina di combattere contro il famoso aviatore, il Barone Rosso, per tentare di conquistare il cuore della cagnolina Fifi), l'albero mangia-aquiloni, Lucy insegue Schroeder, Schroeder e il suo pianoforte, Piperita Patti viaggia in simbiosi con Marcie, Pig-Pen nella sua polvere perenne, Linus e la sua inseparabile coperta, senza dimenticare il pattinaggio sul ghiaccio, l'hockey e le partite di baseball, anche se sono solo accennate. Parte così una visione vignettistica che trova un discreto compromesso tra la necessità di un aggiornamento grafico per affrontare la sfida del cinema, tanto più quello di oggi, e la ragione originale. A livello stilistico infatti questo film riesce a mantenere integro il mondo disegnato da Schulz, gli fa omaggio, rendendolo appetibile anche alle nuove generazioni e mantenendo il fascino che ha contraddistinto i personaggi e le loro avventure, senza snaturarli, pur utilizzando la computer grafica, e miscelando bene un 3D (anche se non potrei confutarlo) alla bidimensionalità caratterizzante le strisce a fumetti. Privo di artifici, abbastanza attento in uno sviluppo che predilige la semplicità, con i marchi caratteristici in (bella) evidenza ed uno spirito che non si trova nei cartoon odierni, almeno non in quelli con cui entra direttamente in competizione (ovvero i più popolari).

lunedì 28 gennaio 2019

Roboshark (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - Roboshark è un esilarante film trash del 2015 diretto da Jeffery Lando, il simpaticone dietro la regia di questo film TV bulgaro-canadese creato per la solita emittente SyFy. Questo film infatti è davvero incredibile, la trama (geniale) poi è assolutamente imperdibile, un grande squalo bianco mangia una misteriosa palla proveniente da un astronave aliena e si trasforma in un robo-squalo dall'aspetto molto Tron che porta distruzione nella città di Seattle. Ovviamente lo svolgimento di una trama simile non può certamente stare nei binari della normalità, ed ecco quindi il solito nucleo familiare casuale pronto a salvare il mondo (un capetto della ditta che gestisce le fogne di Seattle, sua moglie che fa la meteorologa e la loro figlia che fa l'adolescente nerd super high tech) e l'altrettanto tipico gruppo militare che non ha capito nulla della situazione ma sono soldati quindi vogliono fare tanti boom, senza dimenticare il momento in cui per cercare di fermare la creatura interviene un eccentrico milionario dell'informatica chiamato Bill Glates (e no non ho scritto male ). Roboshark fa ridere per far ridere, non è che è fatto così male che fa ridere, è fatto proprio di continuo per fare ridere. Prende in giro un po' tutto, i personaggi sono matti, schizzati, insensati, molte scene sono volutamente stupide (i soldati che marciano dicendo: Hop! Hop! Hop! tutto il tempo) e qualche sorriso te lo strappano. C'è anche un minimo di satira in questo film, in questa storia.

La trattativa (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - La trattativa (reso graficamente come #LaTrattativa) è un film del 2014 scritto e diretto da Sabina Guzzanti. Il film è un indagine sui misteri della storia più recente dell'Italia, che svela i segreti della vicenda più spinosa della seconda Repubblica: la trattativa Stato-Mafia. Un gruppo di lavoratori dello spettacolo, capitanatati dalla Guzzanti, mettono in scena le vicende controverse relative alla cosiddetta "trattativa", quella che sarebbe intercorsa tra Stato e mafia all'indomani della tragica stagione delle bombe (Roma, Milano, Firenze). In un teatro di posa, un gruppo di attori ricostruisce, nei modi di una "fiction giornalistica", (tramite attori ed attrici che interpretano alcune figure del periodo: mafiosi, massoni, agenti dei servizi segreti, alti ufficiali, magistrati, politici, vittime e persone oneste) i passaggi fondamentali di una vicenda complessa e piena di omissis (che si è comunque rigorosamente attenuta a fatti riscontrati ed ancora in piena fase di sviluppo) che inizia dall'uccisione di Falcone e Borsellino fino ad arrivare al processo che vede sul banco degli imputati, fianco a fianco, politici e mafiosi. Vent'anni di storia italiana, l'uccisione di Salvo Lima, il maxi processo, la strage di Capaci, l'uccisione di Borsellino, le bombe a Roma, Firenze, Milano, la fallita strage allo Stadio Olimpico...con i suoi discussi protagonisti: Riina, Provenzano, Ciancimino padre e figlio, Caselli, i capi del Ros Mori e Subrani, Napolitano, Mancino, Scalfaro, i pentiti, Gaspare Spatuzza, Mutolo, Dell'Utri, Mangano...e Berlusconi, ovviamente, quello vero e quello fatto dalla Guzzanti. E anche se le risposte agli interrogativi (tanti) posti nel corso del film non trovano certezze, la vera verità molto probabilmente non la sapremo mai, come la maggior parte degli eventi politico-catastrofici avvenuti dal dopoguerra ad oggi.

I toni dell'amore: Love Is Strange (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - I toni dell'amore: Love Is Strange (Love Is Strange) film del 2014 diretto da Ira Sachs, è un'opera di rara delicatezza e sensibilità che fa riflettere su argomenti riguardanti la vita di tutti e di un mondo quello omosessuale, sempre in guerra con la società, alla costante ricerca dei propri diritti. Come quelli di Ben (John Lithgow) e Jorge (Alfred Molina), due 'anziani' omosessuali che stanno insieme da 40 anni, che approfittando delle nuove leggi sul matrimonio gay, finalmente si sposa. Celebrano il loro matrimonio tra parenti e amici in armonia ma, il passo costerà caro a George poiché subito dopo perderà il suo posto di direttore di un coro e senza lavoro tutto cambia nella loro vita. Saranno difatti costretti a vendere l'appartamento a Manhattan, dovranno separarsi e affrontare una nuova vita ospiti di parenti e amici. Come conseguenza il loro rapporto ne risentirà, fino ad un finale piuttosto mesto. I toni dell'amore è perciò un film ricco di sentimenti ed emozioni, anche se il titolo italiano mi sembra un po' maldestro, anche se l'originale "Love is strange" forse non era facilissimo da rendere con un'espressione che non fosse "L'amore è strano". Titolo a parte, il film è una commedia di buon livello, perché anche se la loro evidenza di un amore costante e profondo, arricchito di ricordi, può fare da catalizzatore positivo sui problemi del nipote di Ben e forse anche sui genitori, in crisi della media età, il film non da per questo messaggi ma racconta della vita e dell'amore alle varie età, con brevi momenti di commozione.

Le armi del cuore (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - Le armi del cuore (War Room) è un inusuale e atipico film drammatico statunitense del 2015, poiché almeno personalmente non ho mai visto un film di questo genere, ovvero i Christian Film, molto apprezzati da un vasto pubblico (ma non dalla critica), anche se i produttori continuano a considerarli prodotti di nicchia. Perché è innegabile che le storie che vengono raccontate sono sempre più frequentemente estremizzate. Le armi del cuore infatti è una emozionante e potente guerra della fede, credere fortemente a Dio (soprattutto in America poi, dove a volte si rischia di esagerare con certi precetti) nonostante le difficoltà, affidarsi totalmente a lui perché l'aiuto ti sarà dato, sempre e comunque. A volte il film difatti forza troppo queste dinamiche, poiché anche se è giusto e buono, non tutto sembra credibile, qualunque sia il problema basta affidarsi alla preghiera e tutto si sistema. Non sempre è così purtroppo, e non sempre va in meglio. Anche se l'anziana donna del film Clara, è sicura di ciò, tanto che aiuta una giovane donna Elizabeth Jordan e suo marito Tony che sembrano avere tutto dalla vita, un buon lavoro, una bella figlia e la casa dei loro sogni, ad uscire da un impasse perché le loro non sono altro che apparenze, in realtà, il loro matrimonio è diventato un terreno di guerra e a subirne gli effetti è la figlia. Lui, venditore farmaceutico di successo, è tutto perso dai suoi impegni e dai suoi successi, trascura la figlia, non disdegna le conoscenze femminili che riesce a fare nelle sue numerose trasferte, e ritiene che per sua moglie sia sufficiente vivere la vita agiata che le può permettere. Ma lei che, lavora in un'agenzia immobiliare, è molto demoralizzata da questo, ma proprio quando la situazione si fa disperata conosce una signora anziana, vedova, che le propone di fare con lei un incontro settimanale. Vuole convincerla che per risolvere il suo problema, l'arma migliore è solamente la preghiera, usando le armi del cuore e la forza della fede deve pregare per suo marito, pregare perché il diavolo si allontani dalla loro famiglia e dalla loro casa.

Coppia diabolica (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - Coppia diabolica (The Devil You Know) è un inedito e pessimo film giallo del 2013 diretto da James Oakley e scritto da Alex Michaelides. Il film infatti, che parte da uno spunto interessante, impreziosito dalla presenza di Lena Olin (famosa attrice svedese) e da Rosamund Pike, la pazza furiosa di L'amore bugiardo: Gone girl (qui in una veste quasi identica) si perde e finisce per risultare noioso, inconcludente, e neanche lontanamente interessante, con un finale che non dice niente e non va da nessuna parte. Che poi definirlo film diventa complicato dato che la sua durata effettiva è di ben 62 minuti! solo con i titoli iniziali e quelli finali (di ben 9 minuti) raggiunge i 73 nonostante i 76 in 'cartellone', davvero disprezzabile come cosa. E neanche la storia si salva, dato che questo dramma a tinte dark, che narra la storia di Kathryn Vale, ex stella del cinema, che da anni ha abbandonato la scena in seguito alla misteriosa morte del marito, non offre nessun spunto originale, nonostante l'intrigante presenza della bella Pike, attrice straordinaria, che con i suoi sguardi mette sempre in soggezione, perché non sai cosa può succedere quando c'è lei. La storia poi prende una piega inaspettata quando questa ex stella del cinema, ritirata con un terribile segreto da nascondere, proprio mentre la figlia ha deciso di fare la sua stessa carriera, vorrebbe tornare sotto i riflettori ma diventa il bersaglio di un anonimo e insospettabile ricattatore. Una serie di drammatici eventi infine la costringeranno ad affrontare una scomoda verità, che coinvolgerà lei stessa e coloro che la circondano. Insomma tutto abbastanza lineare e semplice, ma il finale (abbastanza scontato) non convince ma soprattutto risulta piatto, come quasi tutto il film, imperniato da un'aura noir dark vintage, ma senza alcun mordente, senza nessun colpo di scena, nonostante l'incipit. Coppia diabolica è perciò quello che si potrebbe definire il classico prodotto di serie B senza nessun coinvolgimento ed emozione, il classico film spazzatura, perché senza essere cattivo è davvero un film (più che altro cortometraggio) orribile, che non consiglierei neanche al mio peggior nemico. Inutile e dimenticabile. S.V.

Hungry Hearts (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - Hungry Hearts è uno sconcertante e intenso film drammatico diretto da Saverio Costanzo, ed è tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso. Il film, presentato in concorso al Festival di Venezia del 2014, sfruttando le dinamiche del thriller, porta lo spettatore a riflettere in profondità sulla genitorialità al tempo degli OGM. Ambientato interamente a New York (intuizione fantastica perché se fosse stato girato in Italia sarebbe stato pessimo), il film comincia in modo alquanto singolare e anche originale, dato che una delle cose migliori del film sta sicuramente nell'utilizzo di un artificio narrativo bello e delicato allo stesso tempo come quello della commistione dei generi cinematografici, il film infatti inizia in maniera comica con i due protagonisti che si conoscono in un bagno pubblico e da cui non riescono ad uscire perché la porta si è bloccata e l'aria non è molto...respirabile. Subentra così la commedia che ci descrive il legame sentimentale dei due personaggi Jude e Mina che si uniscono in matrimonio e vanno a vivere in un appartamento a Manhattan. Ma la vita coniugale si sa che non è tutta rosa e fiori e quando arriva un figlio il rapporto della coppia peggiora improvvisamente e arriva quindi il momento del dramma. Perché Mina si rivela una madre possessiva verso il bambino, addirittura esasperando il consiglio di una maga che le suggerisce un progetto di purezza, lo costringe a seguire una dieta vegetariana (privandolo di una normale alimentazione) che gli impedisce di crescere (tanto da causare un clamoroso ritardo di sviluppo), non lo sottopone alle cure mediche di routine perché non si fida della medicina tradizionale e non escono mai di casa perché l'aria esterna potrebbe essere nociva per il piccolo. Jude però anche se all'inizio la segue affettuosamente, quando avverte i rischi incontrati dal neonato, la contrasta sempre più energicamente, sino a chiedere la collaborazione di sua madre. A questo punto, grazie anche una sapiente regia che sa come impostare il cambio di ritmo e di stile, il racconto diventa thriller, forse più esatto definirlo noir. Poiché gli animi si accenderanno, e la pellicola che tiene alta la suspense e la dinamica della storia, nonostante qualche sbavatura ad onore del vero in questa fase ci sia (la scena della madre che cerca di bloccare la nuora che è andata a riprendersi il figlio è profondamente sbagliata, involontariamente comica), arriverà ad un punto di rottura (il male si sconfigge con altro male, per prospettare un futuro di normalità) fino ad arrivare ad un finale di struggente bellezza e malinconia.

First Response (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - First Response è un inedito action canadese per la tv del 2015 diretto da Philippe Gagnon. Il film infatti, dalla durata pressoché contenuta (85 minuti), è un mix di adrenalina e suspense, quella che si viene inevitabilmente a creare quando dopo aver compiuto una rapina (andata per il verso sbagliato), un criminale armato costringe due paramedici (Camilla e Gerry) a deviare il tragitto di un'ambulanza e a curare il fratello gravemente ferito. Con il divieto di avvicinarsi a qualunque ospedale, e sotto la minaccia di una pistola, nella parte posteriore della vettura, Camilla (di cui vediamo dei flashback poco inerenti alla storia, anzi inutili) deve eseguire procedure mediche delicate per cercare di tenere vivo il giovane mentre Gerry guida il veicolo per tutta la città per eludere la polizia. Ben presto però, Camilla capirà che forse dovrà sacrificare la vita di colui che sta cercando di salvare (anche se potrebbe non bastare) per evitare che lei e Gerry facciano una brutta fine, poiché con la polizia alle calcagna infatti la tensione salirà alle stelle, e tutto sarà in gioco. First Response è come vedere una puntata di Chicago Fire tirata per lunghe, dove in situazioni di pericolo tutto si aggiusta e dove quando è calma piatta tutto viene messo in discussione, ma purtroppo senza girarci troppo intorno, è un film senza tanto mordente e senza tanto interesse, perché anche se in parte originale, il racconto è davvero troppo prevedibile e addirittura fa rabbia, perché Camilla (interpretata dalla bella Dania RamirezHeroes e Senza freni, unico attore più o meno conosciuto al pari del suo collega Kristopher Turner, Without a paddle) rimette sempre in bilico la situazione con scelte e azioni scriteriate. E ciò insieme ad una lentezza di fondo, fa di questo film un mediocre e neanche minimamente coinvolgente film d'azione, privo di pathos, prevedibile e assolutamente da dimenticare, perché al di là dell'originalità non ha niente per cui qualcuno dovrebbe vederlo. Assolutamente da dimenticare. S.V.

Annie: la felicità è contagiosa (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - Il famoso show vincitore di ben sette Tony Awards a Broadway (Little Orphan Annie), diventato un film classico per i bambini degli anni Ottanta, viene riproposto in chiave contemporanea dal regista Will Gluk con il titolo Annie: la felicità è contagiosa. Non siamo più negli anni '30 ma nella New York contemporanea, Annie non è orfana ma una bambina data in affidamento, tranne questi piccoli cambiamenti ciò che rimane dell'originale è la solarità e l'ottimismo della protagonista il cui sorriso contagioso ci accompagna per tutta la durata del film. Un film (prodotto, tra gli altri, da Jay-Z e Will Smith) che però è il remake di un film del 1982 diretto da John Huston (che non ho visto ma che non fu comunque un successo). In ogni caso Annie: la felicità è contagiosa (2014) è un musical, genere che non tanto apprezzo, ma che si lascia vedere, anche se a tratti, si ha l'impressione che sia una parodia, che raggiunge delle punte di cattivo gusto tali da sfiorare il sublime, con numeri coreografati alla bell'e meglio e attori, pur bravi quasi in blocco, lasciati allo sbaraglio in una storia che mescola piuttosto disinvoltamente diversi temi anche molto attuali e di sicuro interesse, come l'uso dei social network, che creano dal nulla fenomeni virali, il riccone che si sente solo, la piccola povera ma, in un certo senso, felice, ha anche elementi della fiaba (la strega cattiva, impersonata da Cameron Diaz, che nemmeno vestita in maniera pacchiana e con un trucco pesante riesce a non essere bella) nonché di critica sociale, ma ha dalla sua canzoni orecchiabili (la colonna sonora è infatti curata dal produttore Jay-Z, che ripropone cover delle musiche originali del film del 1982) cantate di volta in volta dai vari membri del cast (fortunatamente non tradotte in italiano ma sottotitolate).

Il volo del falco (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/10/2016 Qui - Il volo del falco (Aloft), pellicola drammatica del 2014 scritta e diretta da Claudia Llosa, regista di origini peruviane. Ed è un toccante dramma che racconta la difficile storia di un figlio alla ricerca della madre, Nana (interpretata da una straordinaria Jennifer Connelly, una delle donne più belle al mondo), una donna in difficoltà, che vive in un luogo desolato, con due figli, di cui uno affetto da disabilità mentale, conseguente a una malattia debilitante. Parallelamente a questa storia, la regista ci trasporta nel presente dove assistiamo alla vita grigia e piuttosto infelice di Ivan (interpretato dal bravissimo Cillian Murphy) ormai sposato e padre di famiglia. Un giorno Ivan viene avvicinato da una giovane reporter francese (Ressemore, la stupenda Mélanie Laurent) che con la scusa di eseguire un documentario sui falchi (da lui allevati e ammaestrati, spunto di interessante e di bellezza sia visiva che umana, d'altronde il titolo è esplicativo) lo convincerà a intraprendere un viaggio all'estremo nord del paese per ricongiungersi con la madre che non vede da più di vent'anni e organizzare un incontro faccia a faccia tra i due che li farà riflettere sulle loro vite. Tra loro infatti c'è stata una frattura (che si accentuerà col passare del tempo), e nel dipanarsi della storia, tra un balzo nel passato e l'altro, si scoprirà che alla base di questa frattura ormai incolmabile tra Nana e Ivan c'è un incidente stradale causato dallo stesso figlio. Un incidente che costò la vita al fratello più piccolo e malato. Nana per questo si era rivolta disperata ad un rinomato guaritore, ma durante il percorso per raggiungerlo il falco di Ivan, Inti, provocò un incidente e venne abbattuto. In seguito spinta anche dal sedicente guaritore e convinta di possedere egli stessa doti guaritive, decise di abbandonarlo (senza troppi sensi di colpa o preoccupazioni a carico) poiché la convivenza tra loro divenuta sempre più tesa e conflittuale, segnata anche da bruschi dialoghi e accuse rivolte l'una all'altro, era ormai arrivata ad un punto di non ritorno.

domenica 27 gennaio 2019

I fiori della guerra (2011)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - I fiori della guerra (The Flowers of War) è un drammatico film di guerra del 2011, adattamento del romanzo 13 Flowers of Nanjing della scrittrice sino-americana Geling Yan. Questo film è preceduto però da tre premesse importanti, la regia di Zhang Yimou, uno dei maestri orientali più significativi, l'enorme budget (90 milioni di dollari), fra i massimi messi a disposizione di un film cinese e l'insolita partecipazione di Christian Bale, uno degli attori migliori nel panorama hollywoodiano odierno. Ma a conti fatti, delle tre premesse solo l'ultima ha dato buoni frutti, Bale è ispiratissimo, ma di fatto predica nel deserto e la sua interpretazione viene esaltata eccessivamente dalla pochezza altrui. Anche se la vera delusione va vista nella povertà della trama (vicenda alquanto improbabile, e portata sullo schermo con qualche artificio di troppo), la quale pur partendo da una base interessante finisce presto per incanalarsi su binari convenzionali e prevedibili. Ci si prepara a un kolossal epico, e invece si finisce con un comune melò stranamente simile a uno sceneggiato RAI, senza alcuna epicità. Tuttavia sceneggiatura e regia riescono a sviluppare la storia con accuratezza narrativa e convincente drammaticità. Zhang Yimou ce la racconta infatti con sincero trasporto emotivo, affidando felicemente a Christian Bale il compito di reggere le fila di un complotto umanitario che, in fondo, è già, di per sé, un'originale opera di messa in scena cinematografica. I fiori della guerra parte infatti da un presupposto significativo e sconvolgente, quello del Massacro di Nanchino, avvenuto in Cina nel 1939, durante l'occupazione della città da parte dell'esercito giapponese. Un esercito che commise infinite atrocità (stupro, violenza e uccisione), soprattutto sulle donne. Da qui si sviluppa la narrazione di una pellicola dalle due anime, quella poetica e onirica della tradizione filmica cinese e quella dell'epopea di guerra tipicamente hollywoodiana, con un eroe (il tipico eroe) che nasce come avventuriero e si trasforma in coraggioso paladino man mano che la storia si evolve.

Jesse Stone: Lost in Paradise (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Jesse Stone: Lost in Paradise (2015), è il nono film giallo della serie per la televisione creato dalla penna dello scrittore statunitense Robert B. Parker. Ed è interpretato come nei precedenti capitoli, andati in onda, trasmessi a partire dal 2008 sui canali Sky Prima Fila, Sky Cinema, Rai 2 e Mediaset (TOP Crime) e ultimamente su La 7, da Tom Selleck, l'indimenticabile protagonista di Magnum P.I., ma qui al contrario di quella e delle attuali produzioni boriose e frenetiche, questa serie di film è fatta alla vecchia maniera, lenta e riflessiva come il protagonista costantemente col bicchiere in mano assorto nei suoi mille pensieri, e ciò è ormai diventata una piacevolissima rarità nel panorama televisivo attuale. Perché nonostante la lentezza i gialli proposti in questi tv-movie sono coinvolgenti e apprezzabili per la loro logica e semplicità dei fatti. Comunque anche se questo come detto è il nono film credo di averne visti negli anni solo 4 o 5, anche se non è importante ai fini del racconto averli visti tutti anche se una piccola parte è difatti continuativa, come in quest'ultimo caso, dove ritroviamo Paradise, nel Massachusetts, fittizia cittadina di provincia ancora sconvolta da quello che è successo precedentemente. In Jesse Stone: Lost in Paradise, thriller in ogni caso inedito, il capo della polizia, malinconico e demoralizzato da una vita eccessivamente tranquilla, con problemi di alcolismo e interiori, dato che va da uno strizzacervelli, interpretato da un bravissimo William Devane (visto ultimamente in 24 e Interstellar), accetta suo malgrado di far da consulente per un caso di omicidio irrisolto a Boston. La polizia locale sospetta che dietro all'efferato delitto vi sia la mano di un brutale serial killer, lo Strangolatore di Boston (interpretato da Luke Perry, l'indimenticabile protagonista di Beverly Hills 90210), rinchiuso però dietro le sbarre. Stone fa visita all'uomo in prigione, e non fa che convincersi di quello che già sospettava, il colpevole (perlomeno dell'ultimo delitto) è ancora libero, molto più vicino di quanto si creda. Ma Stone mentre si muove tra Paradise e Boston, per acciuffare il cosiddetto copycat-killer, aiuterà anche una ragazza (la piccola e bravissima Mackenzie Foy, Murphy in Interstellar) vessata da una madre alcolizzata a venirne fuori. Ovviamente il finale è abbastanza scontato in tutti e due in sensi, ma anche questo film nonostante la prevedibilità, è un film discreto, e la discreta durata (90 minuti) aiuta a non appesantire troppo la confezione cupa e triste della pellicola. Non sarà certo a livello dei grandi gialli, ma Jesse Stone se la cava piuttosto bene. Consigliato agli amanti del genere. S.V.

Mister Morgan (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Mister Morgan (Mr. Morgan's Last Love) è un delicato ed elegante film drammatico del 2013 scritto e diretto da Sandra Nettelbeck. Il film, tratto dal romanzo La Douceur Assassine di Françoise Dorner, affida nelle mani di uno straordinario Michael Caine, tutto il suo potenziale riuscendo a regalarci una pellicola bella, forse troppo malinconica ma poetica. Caine interpreta infatti Matthew Morgan, un americano che vive a Parigi, come il protagonista del celebre film. Un ex professore di filosofia che, depresso dalla morte di sua moglie (avvenuta 2 anni, 2 mesi e 11 giorni prima), prova a 'sopravvivere' alla perdita. Da allora infatti si trascina (trovando l'unico piacere in immaginari dialoghi con la moglie, Jane Alexander) per la città (in un atmosfera plumbea e desolante in linea con lo stato d'animo del protagonista) e nella vita, aspettando soltanto il momento giusto per farla finita. Cocciuto e refrattario al prossimo quanto alla lingua francese, nonostante aiuti una signora parigina insegnandole l'americano in cambio di apprendere, inutilmente, da lei qualche parola di francese, non riesce a riprendersi ed a trovare alcun entusiasmo e scopo per vivere. La sua triste quotidianità viene però e fortunatamente interrotta da un fortuito incontro con una giovane e bella insegnante di ballo (Clèmence Poèsy), anch'essa schiacciata da una solitudine che il suo sorriso e la danza cercano di nascondere. Da subito tra loro nasce un'amicizia, una simpatia, un intesa, lunghe promenade, pranzi in panchina e cene solenni, dove di tanto aprono i loro cuori e confrontano le rispettive paure. Non c'è niente di erotico o tentativo di emulare un rapporto padre figlia. Due persone sole cercano di farsi coraggio l'uno con l'altro, ma per Mister Morgan una vita senza sua moglie, non ha più senso. Tenterà il gesto estremo senza riuscirci. I figli accorrono al suo capezzale ovviamente preoccupati. Morgan non è stato un buon padre. Lui stesso riconosce di non aver mai avuto lo spirito paterno. Il rapporto conflittuale in particolare con il figlio Miles (Justin Kirk), viene ben descritto e raccontato durante il film. Ma mentre lui ritroverà ancora una volta l'entusiasmo alla vita riuscendo piano piano ad uscire dall'isolamento in cui si era chiuso, lei, si abitua all'idea di prendersi cura di qualcuno, grazie a lei Morgan difatti si avvicina al figlio, piacevolmente colpito dai suoi cambiamenti.

Buoni a nulla (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Buoni a nulla è l'ultima delle simpatiche e commedia agrodolci sulla voglia di riscossa di Gianni Di Gregorio, che dopo Pranzo di Ferragosto e Gianni e le donne sembra chiudere un cerchio, quello di un uomo costantemente alle prese con il vario genere umano, per lo più femminile, in un tipo di rapporto dove la comunicazione è "stralunata" e dove ognuno parla il proprio linguaggio e soprattutto vive nel proprio mondo. Il film del 2014 infatti, diretto, scritto e interpretato da lui stesso, racconta di un uomo mite, ma circondato dalla negatività e bersagliato dalle prepotenze altrui, l'ex moglie, i colleghi d'ufficio e una bisbetica vicina di casa non fanno altro infatti che turbare la sua esistenza. Stufo di subire le angherie del mondo decide quindi di imparare a farsi rispettare, alleandosi con un collega (un bravissimo Marco Marzocca, che riesce a dare al suo personaggio nello stesso tempo delicatezza, goffaggine e malinconia in maniera convincente e coinvolgente) che, come lui, è decisamente troppo tollerante con il prossimo (buono e docile, innamorato della collega Cinzia, più giovane di lui, che lo illude). Per ottenere la giusta rivincita dovranno però stravolgere la loro indole. Ci riusciranno più o meno, poiché il lieto fine è ovviamente conseguente (e non poteva essere altrimenti), d'altronde al contrario dei precedenti 'capitoli' questo film risulta più ottimista (anche nel finale) delle precedenti e soprattutto vede alla fine una sorta di riscatto sia per il protagonista che anche per gli altri personaggi di contorno. Buoni a nulla, lo dice indirettamente il titolo, e il diario di uno o più individui miti, insomma, persone senza qualità, se non una limpidezza d'animo e una rara bonarietà caratteriale che li rendono docili in ogni circostanza. Anche quando il nostro uomo viene a sapere, da un giorno all'altro, due notizie altrimenti tragiche, ma siccome Gianni è un buono, non fa nessuna sceneggiata una volta apprese le notizie, e decide di avere il buon gusto di sentirsi male a casa, dove viene accudito, più che dalla ex moglie e dai due figli, dal nuovo compagno dentista della ex consorte (il grande Marco Messeri), col quale da sempre ha un feeling ed una intesa perfetti. Nella nuova realtà lavorativa Gianni scoprirà com'è dura vivere nella giungla nemica, impegnato tutto il giorno a tener testa a colleghi ruffiani ed approfittatori (Gianfelice Imparato, fantastico come sempre), a cape autoritarie e schiaviste (la splendida Anna Bonaiuto) e deciderà di dar retta al compagno dell'ex moglie, scoprendo che a comportarsi da iene, tirando fuori la cattiveria, le soddisfazioni finalmente cominciano ad arrivare, anche se non sempre sarà la scelta giusta.

The Intruders (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Sembrerà strano ma il thriller canadese del 2015 The Intruders, diretto da Adam Massey, è il terzo film che vedo, che nel titolo c'è la parola Intruders, e come nel caso del (pessimo) thriller coreano e (dell'inconcludente) thriller sovrannaturale con Clive Owen, il risultato è ugualmente deludente. Sarà che porti sfortuna quella parola? Perché anche in questo caso questo film non è né carne né pesce. Difficile anche classificarlo, no negli horror dal momento che si basa sul timore di ciò che potrebbe accadere e alla ricostruzione di ciò che invece è già accaduto senza una concreta situazione degna di un film appartenente a tale genere. Si potrebbe forse definirlo un "suspense" movie ma senza troppa convinzione. Sappiamo inoltre, agli amanti degli horror che la stragrande maggioranza dei "nostri" amati film, scatenando déjà-vu a profusione, diramano la loro trama partendo dalla scampagnata di ragazzi spregiudicati che verranno regolarmente massacrati uno dopo l'altro oppure dal trasloco di una tranquilla famiglia in una nuova casa dove (ma guarda un po') qualcuno è stato scannato nei mesi seguenti. The Intruders appartiene (purtroppo) alla seconda categoria e questo è male, perché per quanto poi possano presentarsi colpi di scena e situazioni inaspettate, il contesto manca di fantasia.

The Runner (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - The Runner (2015), film d'esordio dietro la macchina da presa del produttore Austin Stark, è un film amaro ed emotivamente potente, un drama-thriller ambientato nel mondo della politica americana, che racconta attraverso atmosfere suadenti ed opprimenti le scelte etiche di un uomo allo sbando ma pronto a combattere per i propri ideali in un mondo come quello della politica basato sull'arte del compromesso. E prendendo spunto da un fatto realmente accaduto, ovvero il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon (che inquinò le acque con conseguenze anche sociali ed economiche di un certo rilievo per lo Stato e i suoi abitanti), avvenuto nell'aprile del 2010 (ancora ben saldo nella memoria degli americani), inscena una sofferta e credibile storia di finzione. Quella di un membro del Congresso (Nicolas Cage), che sulla cresta dell'onda dopo un commosso intervento, richiede con forza aiuti per la sua Lousiana. Ma proprio quando la sua popolarità è alle stelle, tale da garantirgli una quasi sicura elezione nel Senato americano, uno scandalo ne mina la credibilità, viene infatti alla luce una relazione extra-coniugale con una donna di colore, anch'essa sposata. Costretto alle dimissioni, e con la conseguente separazione della moglie, l'uomo dopo un periodo di depressione ritrova nuova forza vitale in un'associazione, da lui stesso creata, che cura gli interessi delle fasce sociali più colpite dalla calamità. Ma il richiamo della politica non tarderà a chiamarlo, mettendolo di fronte a scelte morali di non poco conto.

Se chiudo gli occhi non sono più qui (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Se chiudo gli occhi non sono più qui è un delicato e drammatico film di formazione italiano del 2013 diretto da Vittorio Moroni. Il film infatti, racconta di un ragazzo di origine filippina, Kiko, orfano di un padre italiano di cui sente fortemente la mancanza, il quale vive con la madre ed il di lei nuovo compagno in una cittadina del Friuli, che non riesce a trovare la sua dimensione anche per colpa del padre 'adottivo'. Il rapporto che l'adolescente ha con quest'ultimo è infatti assai controverso, per non dire ostile, il ragazzo difatti, desideroso di studiare è costretto invece, al termine di ogni giornata scolastica, ad andare al cantiere dove lui lavora per lavorare come muratore e fare di questa attività la sua professione futura. L'incontro che egli avrà con un vecchio professore ed amico del padre però gli cambierà l'esistenza e lo farà maturare velocemente, venendo anche a scoprire sconcertanti verità. Se chiudo gli occhi non sono più qui come si evince dalla trama, racconta una vicenda molto minimalista, esile se si vuole dire, in quanto più che avvenimenti ed azioni eclatanti, essa  presenta lo stato d'animo malinconico, per non dire triste, e quasi rassegnato del giovane protagonista che sicuramente non sta vivendo serenamente, come invece dovrebbe, le proprie giornate e la sua età. Diviso tra i doveri e le responsabilità impostigli dal patrigno, per lui troppo onerosi e non del tutto confacenti ai suoi anni, e tra le aspirazioni di un futuro migliore attraverso la passione per lo studio e quella per l'astronomia, lo spettatore recepisce esattamente quello che il regista vuole consegnargli, cioè il ritratto di un ragazzo assai dolente, privato prematuramente degli affetti più cari e molto più maturo della sua età. E non può che comprenderlo e soffrire un po' con lui.

Il venditore di medicine (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Il venditore di medicine, film del 2013 di Antonio Morabito è un pugno allo stomaco, forte quanto necessario. La pellicola infatti indaga senza retorica su tutto l'universo corrotto di uomini, medici, manager che ruota intorno al colosso delle case farmaceutiche. Un film perciò duro, che ci mostra una realtà poco conosciuta, quella del comparaggio farmaceutico, con personaggi che senza vergogna fanno di questa pratica parte integrante del proprio lavoro. In questo microcosmo di persone che hanno perso di vista valori e umanità si muove benissimo il venditore di medicine protagonista del film, Bruno, informatore scientifico, magistralmente interpretato da un Claudio Santamaria in stato di grazia (recentemente vincitore di un David di Donatello), che è risucchiato in breve tempo in una parabola discendente senza ritorno. Bruno corrompe tutto e tutti, medici compiacenti, amici, conoscenti fino portare a corruzione anche il rapporto con sua moglie, a cui presta il volto un'elegante Evita Ciri, moglie devota e vittima dell'uomo. Le medicine, che fanno la sua fortuna scambiate e vendute senza alcuno scrupolo, gli serviranno per mettere a tacere la donna ignara del vero volto del marito. Il film di Morabito ben si colloca sulla scia del cinema di impegno civile, anche se non graffia più di tanto e non denuncia ma delinea solamente (si fa per dire) un mondo immorale, il nostro. Questo ritratto impietoso di uno spaccato d'Italia infatti non lascia spazio alla speranza, tutto e tutti si possono comprare e vendere in nome della logica del mero profitto, e le medicine sono considerate al pari di qualsiasi altro bene di consumo. A capo di questa macchina per fare soldi c'è una credibilissima Isabella Ferrari, il cui volto aggraziato fa da contraltare alla spietatezza della donna manager. Anche il primario integerrimo, interpretato in maniera egregia da Marco Travaglio, che all'apparenza sembra incorruttibile, alla fine disvela il suo vero volto cinico e corrotto. Nessuno si salva, e chi tenta di farlo viene immediatamente risucchiato dal sistema. Un sistema corrotto che fa rabbia, consentito e appoggiato dai politici, il cui unico scopo è il profitto e che non tiene minimamente in considerazione il bene dei cittadini, in questo caso i malati, o meglio i pazienti.

Partisan (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Partisan è un crudo e potente film drammatico del 2015, diretto dal regista australiano Ariel Kleiman, al suo debutto, che ha come protagonista principale il bravissimo Vincent Cassel, ormai abituato a rivestire i più svariati ruoli e, principalmente, quelli di cattivo, ma quello che interpreta in "Partisan" risulta alquanto singolare (come in parte anche ne Il racconto dei racconti) e come, del resto, tutta la vicenda narrata. Un uomo che ha costruito in una squallida periferia una sorta di nascondiglio ben nascosto e ben protetto dal resto della società in cui ha deciso di prendersi cura ed educare dei bambini nati da madri probabilmente in condizioni disagiate poiché o violentate o abbandonate dai propri compagni. In questa sorta di strano e singolare microcosmo egli provvede a tutto, cibo, giochi, una sorta di istruzione più che altro basata sulla pratica ed altre necessità varie, inoltre egli vi ospita anche le suddette madri in modo tale che i bambini non siano da loro separati affettivamente e fisicamente e rivestendo invece lui stesso il ruolo di padre per tutti. Il suo scopo è quello di addestrare i piccoli al fine di fare loro commettere degli omicidi nella società contemporanea (non si sa se per motivi di vendetta od altro) e di trasformarli in pratica in un suo personale piccolo esercito di soldati ai suoi ordini. Gregori ha un fare suadente, è generoso, è un padre attento e affettuoso ma contemporaneamente un despota assoluto che non ammette alcuna trasgressione alle sue regole, nessun dubbio rispetto alle sue verità. Ma pian piano dopo un paio di episodi curiosi Alexander (quello più intelligente e sensibile degli altri e per il quale l'uomo nutre una simpatia particolare) si ribella (poiché quasi sempre con la forza e con le minacce non si va da nessuna parte) ed inizia ad avere dubbi sulla sincerità e correttezza del patrigno (trovando sbagliati e troppo autoritari i suoi insegnamenti) specialmente nel momento in cui si sente responsabile del futuro del fratellino Tobias per il quale cerca alternative di vita. Ciò porterà ovviamente i due a svariati scontri sino all'inevitabile tragico epilogo.

sabato 26 gennaio 2019

300: L'alba di un impero (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/09/2016 Qui - 300: L'alba di un impero (300: Rise of an Empire), film del 2014 diretto da Noam Murro, è il deludente (nonostante mi sia piaciuto) anche se spettacolare sequel/prequel, dato che questa è una storia parallela, a quella del bellissimo 300 di Zack Snyder del 2007. Il film infatti, ispirato in parte al romanzo grafico Xerxes di Frank Miller, non ha la stessa caratura del precedente capitolo, nonostante qui offra addirittura qualcosa in più rispetto al precedente, ovvero un aura più matura, dotata d'un femminino ammaliante e seducente, impersonato dalla mefistofelica Eva Green. Anche se comunque, a più riprese, l'aura rimane quella virile e sagace in immagini forti e sconsigliate ai sensibili, dove teste e arti smembrati sono la macabra "cornice" d'un quadro (o fumetto) di una nuova era cinematografica, quella dei film al digitale. Una pellicola "computeristica" dove le figure interagiscono tra loro, in dialoghi dal magnetismo forse retorico ed evanescente, ma efficaci nella complementarità ed in sintonia con l'ambiente che compie così un balzo avanti rispetto all'episodio del 2007 donando alla storia un realismo palpabile, abbandonando in parte i virgulti mastodontici di Butler e C. e disegnando soprattutto una tensione "erotica-emozionale" tra Artemisia e Temistocle, i nuovi protagonisti interpretati da Sullivan Stapleton (interpretazione comunque niente male la sua) e Eva Green. Il film in ogni caso rispecchia (come nel primo) per filo e per segno il fumetto, le scene di combattimento mantengono lo stile di Snyder (con i rallenty), meno l'epicità che comunque grazie anche a un ottima colonna sonora divertono ed emozionano. In 300: L'alba di un impero infatti, si confondono genialmente e si mischiano con una creatività ed innovatività, già sperimentate con successo nel 2007, ma qui amplificate e a tratti troppo compulsivamente replicate, rendendo tutto meno avvincente e rilevante. Come il basso "spessore" dei personaggi, nessun cambiamento importante, (di)partito Gerard Butler (evocato tramite brandelli del film precedente ai fini della "continuity"), a sostituirlo c'è un altro.

Strangerland (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/09/2016 Qui - Strangerland è un drammatico thriller del 2015 diretto da Kim Farrant, che sfruttando il desertico territorio australiano prova a raccontare una vicenda di dissapori e controversie familiari, portati ancor più alla luce dopo la misteriosa sparizione dei due figli della coppia protagonista. Quelli della famiglia Parker che si è da poco rifatta una nuova vita nella piccola Nathgari quando appunto i loro due figli svaniscono misteriosamente nel nulla. Le ricerche sono condotte dal poliziotto Rae (Hugo Weaving), ma i conti non tornano fin da subito, c'è infatti un trascorso poco limpido, ed un presente che non vuole/deve emergere, con Catherine (Nicole Kidman) devastata e suo marito Matthew (Joseph Fiennes) assai ambiguo. Strangerland è un opera assai aspra e amara, un melodramma intenso che a tratti vola alto ma non è privo di sporadiche cadute in un inesorabile svelarsi di segreti e bugie che a tratti risulta sin troppo forzato, pur possedendo una sorta di fascino disperato e beffardamente avvolgente. Questo perché nonostante la stupenda fotografia dell'Australia, polverosa ed afosa, assai poco accogliente, quasi pericolosa ed in fondo l'aspetto migliore di tutto il film, e nonostante una discreta prova degli attori, cade nel baratro.

L'incredibile storia di Winter il delfino 2 (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/09/2016 Qui - Diretto e sceneggiato da Charles Martin SmithL'incredibile storia di Winter il delfino 2 continua la storia (vera, bellissima ed emozionante) del coraggioso delfino Winter, il cui recupero e riabilitazione, avvenuti grazie a una miracolosa e innovativa protesi alla coda, sono diventati simbolo di resistenza e perseveranza per le persone di tutto il mondo grazie al successo nel 2011 di L'incredibile storia di Winter il delfino (film davvero coinvolgente). In L'incredibile storia di Winter il delfino 2 (2014) sono passati diversi anni da quando il giovane Sawyer Nelson, il team dell'acquario di Clearwater e il dottor Clay Haskett hanno salvato Winter grazie all'applicazione di una coda protesica sviluppata con l'aiuto del dottor Cameron McCarthy, intervento che ha contribuito a salvare anche le sorti dell'intero acquario. La storia prende avvio dalla morte di Panama, la madre adottiva di Winter, e tale evento naturale rappresenta un nuovo problema per l'acquario, dal momento che in base ai regolamenti ogni delfino, in quanto animale sociale, deve avere compagnia all'interno della struttura ospitante. Ma quando ogni cosa sembra andare per il peggio e il tempo stringere, nuova speranza per Winter e il Clearwater arriva da Hope, una piccola delfina rimasta incagliata e incapace di sopravvivere in natura ma che deve però prima accettare la sua diversità.

The Danish Girl (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/09/2016 Qui - The Danish Girl, controverso e delicato film del 2015 diretto da Tom Hooper (Les Misérables e Il discorso del re) che si avvale di un cast di livello, da Eddie Redmayne ad Alicia Vikander, da Ben Whishaw a Matthias Schoenaerts, per raccontare il dramma umano e sociale nella Danimarca di inizio '900, quello Einar Wegener, una delle prime persone a essere identificata come transessuale e la prima a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. Il film infatti, liberamente ispirato alle vite dei pittori danesi Lili Elbe e Gerda Wegener, adattamento del romanzo La danese (The Danish Girl), scritto nel 2000 da David Ebershoff,  racconta di un pittore danese, (che sente prorompere in sé una natura femminile), pioniere del transgender che da Copenaghen (quando le problematiche sull'identità di genere venivano viste esclusivamente come patologie o, peggio, veri e propri casi di schizofrenia) arriva fino a Dresda per coronare il sogno di diventare donna. Aiutato e supportato attraverso molte difficoltà da una moglie da cui è sempre meno attratto, Einar conscio che quella che intende provare è un'operazione mai tentata prima e dai rischi immani, decide ugualmente di tentare poiché l'idea che muove il personaggio è chiara, piuttosto che rimanere se stessi nel corpo di qualcun altro, meglio la morte. Il messaggio del film invece non lo è altrettanto, così preso a rimanere equilibrato tra il dipinto agiografico di un pioniere dell'omosessualità e la condanna ad una medicina rozza ed incapace, in cui solo un coraggioso dottore ripudiato dalla scienza ufficiale capisce la tragedia interiore del protagonista. La parte migliore del film è la prima, quando la vera natura di Einar si palesa prima per scherzo, e per la complicità involontaria della moglie Gerda (una splendida Alicia Vikander), poi sempre più consapevolmente per entrambi i coniugi, con una metabolizzazione della nuova realtà infarcita di paura mista ad amore incondizionato.

venerdì 25 gennaio 2019

La teoria del tutto (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 26/09/2016 Qui - La teoria del tutto (The Theory of Everything) è un intenso ed emozionante film biografico del 2014 diretto da James Marsh, documentarista Premio Oscar per Man on Wire: Un uomo tra le torri (2008) da cui Robert Zemeckis ha preso ispirazione per il film The Walk, quello sull'incredibile traversata delle Torri Gemelle. In questo film invece (visto grazie a Premium Play dopo Interstellar e Tutte le strade portano a Roma) di incredibile, c'è che la storia (vera) che viene raccontata è quella di un genio, uno che nonostante mille difficoltà, è probabilmente dopo Einstein il più grande scienziato di sempre, ovvero Stephen Hawking, celebre fisico, astrofisico e cosmologo. Lui che, affetto da una grave malattia degenerativa, è riuscito a diventare figura importante nello studio dei buchi neri, della cosmologia e della teoria generale della relatività. Ma oltre alla carriera scientifica di Hawking e la sua teoria del tempo, parallelamente in questo film, viene raccontata, in primo piano, la sua storia d'amore con la prima moglie Jane Hawking dalle origini fino alla fine e al secondo matrimonio. La teoria del tutto è infatti un film romantico, ma soprattutto un film drammatico anche se il messaggio finale è più che positivo, un film perciò imperdibile nonostante le difficoltà e la sensibilità che mette in campo, non facile da vedere per la cruda realtà poiché soprattutto per me non è stato facilissimo vederlo, chi mi conosce saprà, e quindi c'è voluta forza e coraggio, come quella di Hawking, moltiplicata per mille, che senza mai mollare e senza mai farsi abbattere è riuscito a vivere una vita più che dignitosa. Un film davvero intenso ma bello e coinvolgente sulla vita del geniale fisico, astrofisico e cosmologo britannico, tanto che ha ricevuto quattro nomination ai Premi Oscar 2015, riuscendo a vincerne uno con Eddie Redmayne (nomination come migliore attore protagonista e già vincitore del Golden Globe 2015), che interpreta magistralmente Hawking che insieme a quel gigante di donna che era sua moglie, Jane Wilde-Hawking (le cui vesti cinematografiche sono ricoperte da una sublime Felicity Jones, candidata all'Oscar come migliore attrice protagonista), autrice della biografia da cui è tratta la pellicola: 'Travelling to Infinity: my life with Stephen' ('Verso l'infinito'), compongono il fulcro della narrazione.