Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2021 Qui - Se è vero che ne potevamo fare a meno, è anche vero che non è affatto uscito male il primo film scritto da Enrico Vanzina senza il fratello Carlo in cabina di regia. Un ritorno alle origini per segnare una nuova ripartenza, in solitaria, lungo le storie della commedia leggera italiana. Forse un film superficiale, non coraggioso, troppo leggero da non essere consistente se non grazie alle caratterizzazioni di alcuni attori, ma certo non è uno scempio. Semplicemente una commedia dinamica e senza pretese, una commedia giovanile che strizza l'occhio a Sapore di mare, pur mantenendosi su un livello decisamente inferiore. Le vicende sono semplici e scontate ma il film ha il pregio di scorrere senza problemi, grazie a un cast di giovani attori che si impegnano (alcuni/e molto interessanti). Ci sono anche Andrea Roncato (in un ruolo malinconicamente credibile), Isabella Ferrari e Luca Ward (quest'ultima la coppia la più debole, quella nell'economia del film meno interessante e più forzata, con il grande doppiatore che attore non è, e si vede). Il finale con concerto sa di esagerato e poco credibile, ma ci sta e si può perdonare. Mezzo punto in più per le belle musiche dei Thegiornalisti. Tutto sommato, il film (prodotto da Netflix), malgrado gli stereotipi e alcuni risvolti inverosimili, è godibile, sebbene non meriti affatto di essere visto una seconda volta. Voto: 6
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mercoledì 27 ottobre 2021
venerdì 31 luglio 2020
Euforia (2018)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2020 Qui - Una delle cose che resta a fine visione è sicuramente la serena malinconia che il finale contagioso trasmette inevitabilmente. Il film è sostenuto da una discreta regia, di Valeria Golino (alla prova seconda), ma da un plot con tante imperfezioni. I personaggi principali pur in scena per due ore rimangono piatti. Le interpretazioni sono buone, frutto di due attori di mestiere che si divertono in scena donando anche siparietti di spontaneo realismo. Purtroppo non basta, almeno a far andare oltre la sufficienza questa pellicola, pellicola che inoltre spesso indugia troppo nella classica commedia all'italiana con qualche tinta tragica. Anche perché tranne che per pochi momenti non ho mai sentito che fossero fratelli, non c'era quel legame, ancora di più se si pensa che le due facce sono totalmente diverse (Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea). Forse così dev'essere (poteva la regista non scegliere il suo ex?), ma un po' più di accortezza nella scelta del cast era dovuta. Neanche troppo chiari gli intenti della regista, non saprei quanto il vero tema della regista appunto sia la malattia o piuttosto il rapporto fra fratelli, praticamente inesistente, dove la malattia rappresenta solo il modo per fare i conti con esso (e poi, il sacro e profano costante, risulta non sempre consono). Qualche figura collaterale mi è sembrata infine superflua, come tutta la pletora di amici di Matteo, ma il film rimane comunque solido, soprattutto per il fatto che questo film sulla bellezza della vita riesca a trasmettere ottimismo. Alla fine non resta infatti altro che la sensazione di folle attaccamento alla vita, che ognuno affronta in modo diverso, con l'augurio di non perdere mai la scintilla dello stupore. Voto: 6
martedì 20 agosto 2019
Napoli velata (2017)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/08/2019 Qui
Tema e genere: Thriller drammatico con venature noir dai toni melodrammatici, un'opera che vive tutta in quel limbo in cui realtà, sogno e ricordo si incrociano fino quasi a confondersi.
Tema e genere: Thriller drammatico con venature noir dai toni melodrammatici, un'opera che vive tutta in quel limbo in cui realtà, sogno e ricordo si incrociano fino quasi a confondersi.
Trama: Una notte di passione, una scomparsa misteriosa: chi è l'uomo di cui Adriana si è innamorata in modo così repentino e travolgente?
Recensione: Napoli velata, l'ultimo film di Ferzan Ozpetek, uscito pochi mesi dopo Rosso Istanbul (che non ho visto), è un giallo molto sui generis, ambientato in una Napoli epicentro di magie e superstizioni paganeggianti, amori e odi. C'è molta carne al fuoco, tanti personaggi (e attori noti: ma tra tutti si distingue solo Peppe Barra, parecchio sprecati vari interpreti tra cui una grande attrice come Lina Sastri), colpi di scena e ambienti attraenti o inquietanti. Ne si può rimanere affascinati o intontiti, oppure vagamente irritati per le tante false piste e le numerose "citazioni" che sfociano nel modello da cui non ci si riesce a distanziare: alcune soluzioni, che vorrebbero stupire, lasciano perplessi in quanto utilizzate fin troppo spesso (ma evito di dare dettagli per non rovinare la sorpresa), flashback rivelatori compresi. Ne risulta un giallo-melò come sempre molto ambizioso (e pieno di simboli da decifrare) ma, come altrettanto spesso avviene al regista turco ormai italianizzato, anche al di sotto delle promesse. La passione iniziale, al netto di una chimica tra la pur brava Giovanna Mezzogiorno e l'emergente Alessandro Borghi che rimane solo sulla carta, lascia il passo a una città appunto magica e superstiziosa (con tanto di santona che sembra uscire da un film di parodia) che dovrebbe almeno ribollire di umori, e che invece ha il suo riflesso in una curiosa freddezza di stili e ambienti, spesso bui, come gli interni (case, musei, negozi) pieni di mobili, oggetti da antiquario, arredi d'arte e così via. L'occhio degli esteti ne è a tratti appagato, anche l'orecchio per una colonna sonora inconsueta, ma l'aggancio a una narrazione più che farraginosa richiede una notevole forza di volontà. Il giallo non si addice agli autori, questo si sa, ma forse Ferzan Ozpetek, ottimo regista per stile e anche dalla buona direzione degli attori, dovrebbe curare maggiormente le proprie sceneggiature (e magari scegliersi co-sceneggiatori più rigorosi e "aggiornati"), perché è vero che le storie indefinite e sospese possono intrigare, ma fino a un certo punto. A tirar troppo la corda, e continuando a sfornare film eleganti ma inerti come Napoli velata (e a tratti noiosi), il rischio è disperdere il capitale di stima guadagnatosi con i primi film. E suggerire il sospetto che, comunque, il proprio percorso abbia già dato le sue prove più interessanti. E' un bel film, intendiamoci: non si esce troppo delusi dalla visione (se non per un finale che si sarà costretti a non capire mai, se non sventolandosi con le piume di struzzo di una "magicalità" non ben definita), però Ferzan Ozpetek esagera nella sua autoreferenzialità, ed alla fine quello che rimane è un film dal potenziale inespresso alquanto insoddisfacente nel suo complesso, che nonostante i pregi tecnici non convince appieno.
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giovedì 11 luglio 2019
In viaggio con Adele (2018)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/04/2019 Qui - In viaggio con Adele (Dramma, Italia 2018): Aldo Leoni (Alessandro Haber), attore teatrale dal pessimo carattere, ipocondriaco e pieno di fisime, burbero e scostante, scopre di avere una figlia, Adele (Sara Serraiocco), affetta da un deficit psicologico decisamente ingestibile. Un viaggio in macchina attraverso la Puglia sarà l'occasione per conoscersi meglio e scoprire di essere più vicini del previsto. Il primo vero e proprio film (dopo alcuni corti, lavori televisivi e collaborazioni: tutte occasioni per allungare e approfondire la "gavetta") di Alessandro Capitani è questo film, un piccolo road movie scritto dal lanciato sceneggiatore Nicola Guaglianone e ricavato da un vecchio progetto accantonato del protagonista Haber, che firma anche il soggetto insieme allo stesso Guaglianone e a Tonino Zangardi (recentemente scomparso). Il risultato è una storia piccola e fragile (che si concede troppe ingenuità), ma animata da un candore spiazzante ed emotivamente molto forte, gravata tuttavia da tanti passaggi grossolani e da una tendenza a lavorare per macchiette, specie sui personaggi di contorno, che fatica a dare al film l'originalità che meriterebbe. Il viaggio, oltretutto (un viaggio altamente classico che si perde in routine più o meno conosciute), è mal percepito e di fatto inesistente tanto in scrittura quanto in regia, ma tale visione angusta del paesaggio e dei luoghi attraversati permette allo stesso tempo ai due protagonisti di creare un legame tutt'altro che dimenticabile, in cui l'energia bizzarra e difficilmente censurabile di Adele fa i conti con la vita sbalestrata e in frantumi del personaggio di Haber, schiavo di nevrosi e insicurezze personali tanto malcelate quanto paralizzanti e invalidanti.
domenica 27 gennaio 2019
Il venditore di medicine (2013)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2016 Qui - Il venditore di medicine, film del 2013 di Antonio Morabito è un pugno allo stomaco, forte quanto necessario. La pellicola infatti indaga senza retorica su tutto l'universo corrotto di uomini, medici, manager che ruota intorno al colosso delle case farmaceutiche. Un film perciò duro, che ci mostra una realtà poco conosciuta, quella del comparaggio farmaceutico, con personaggi che senza vergogna fanno di questa pratica parte integrante del proprio lavoro. In questo microcosmo di persone che hanno perso di vista valori e umanità si muove benissimo il venditore di medicine protagonista del film, Bruno, informatore scientifico, magistralmente interpretato da un Claudio Santamaria in stato di grazia (recentemente vincitore di un David di Donatello), che è risucchiato in breve tempo in una parabola discendente senza ritorno. Bruno corrompe tutto e tutti, medici compiacenti, amici, conoscenti fino portare a corruzione anche il rapporto con sua moglie, a cui presta il volto un'elegante Evita Ciri, moglie devota e vittima dell'uomo. Le medicine, che fanno la sua fortuna scambiate e vendute senza alcuno scrupolo, gli serviranno per mettere a tacere la donna ignara del vero volto del marito. Il film di Morabito ben si colloca sulla scia del cinema di impegno civile, anche se non graffia più di tanto e non denuncia ma delinea solamente (si fa per dire) un mondo immorale, il nostro. Questo ritratto impietoso di uno spaccato d'Italia infatti non lascia spazio alla speranza, tutto e tutti si possono comprare e vendere in nome della logica del mero profitto, e le medicine sono considerate al pari di qualsiasi altro bene di consumo. A capo di questa macchina per fare soldi c'è una credibilissima Isabella Ferrari, il cui volto aggraziato fa da contraltare alla spietatezza della donna manager. Anche il primario integerrimo, interpretato in maniera egregia da Marco Travaglio, che all'apparenza sembra incorruttibile, alla fine disvela il suo vero volto cinico e corrotto. Nessuno si salva, e chi tenta di farlo viene immediatamente risucchiato dal sistema. Un sistema corrotto che fa rabbia, consentito e appoggiato dai politici, il cui unico scopo è il profitto e che non tiene minimamente in considerazione il bene dei cittadini, in questo caso i malati, o meglio i pazienti.
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