sabato 30 marzo 2019

Friend Request (2016)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Friend Request (Thriller, Germania 2016): Una ragazza accetta l'amicizia da una compagna molto particolare e solitaria, sarà l'inizio di un incubo. L'idea è buona e anche il concetto di base sul quale si sviluppa è interessante (seppur quasi identico a Unfriended). L'origine del male da una cosa tanto quotidiana (ed ormai quasi indispensabile) quale è il social network, una lenta discesa agli inferi attraverso la distanza della società che pian piano aumenta nei confronti della protagonista, una vita perfetta che viene distrutta per mezzo di una gentilezza di troppo nei confronti di una persona disturbata. Anche due o tre idee sono davvero buone, soprattutto perché poste davvero bene e nelle quali disgusto e violenza sono dosati alla perfezione. Peccato che il film (horror psicologico diretto dal semi-sconosciuto attore Simon Verhoeven) sia impossibile da godersi, la trama fatta di soprassalti è inesistente, capirei se il regista fosse stato un completo incapace senza idee, il vero problema è invece però che le atmosfere sono inquietanti e tesissime, per questo chiudere ogni scena horror alzando il volume e piazzandoci l'effetto è assurdo. Attraccarsi così alla solita moda dei Jumpscare è come togliere l'anima al film, diventano scene fini a sé stesse e paradossalmente tutte identiche quindi senza un vero senso artistico, in poche parole il regista non ha voluto trasmettere niente. Per carità, la botta improvvisa ci sta basta metterla quando serve, ne bastano due di scene così in un film se proprio si deve, una alla fine per dare il colpo di grazia allo spettatore e uno all'inizio o a metà per dare una smorzata alla trama, distribuito però così per tutto il film toglie tutto il gusto. Non da bocciare in toto, perché di cose positive ci sono (le atmosfere oniriche e i video dark), ma non abbastanza per raggiungere la sufficienza. Poiché il risultato (anche per colpa di una colonna sonora irritante) non è un granché, il classico horrorino da intrattenimento con finale per nulla sorprendente, guardabile ma evitabile. Voto: 5,5

Night of the Wolf - Late Phases (2014)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Night of the Wolf - Late Phases (Horror, Usa 2014): Mi è cascato tra le mani questo horrorino di ambientazione licantropesca, credo primo lungometraggio inglese dello spagnolo Adrián García Bogliano, che già aveva partecipato al collettivo The ABCs of Death oltre ad aver diretto Here Comes the Devil. Il film, nella resa dei licantropi, negli effetti speciali, nella elementarità della trama, nelle ambientazioni e nell'incedere, è caratterizzato da una piacevole reminiscenza anni '80, un po' (tanto) da B-movie. I primi venti minuti infatti sono molto divertenti, Ambrose McKinley (interpretato da Nick Damici) è un veterano di guerra non vedente (molto simile a Stephen Lang di Man of the Dark, ma con risvolti meno interessanti) che si trasferisce nella piccola comunità di Crescent Bay, un luogo in apparenza tranquillo abitato da invadenti vecchiette e da altri pensionati in cerca di relax. Ma con l'arrivo della luna piena, qualcosa di sinistro si materializza attorno a quelle case, creando il panico tra i residenti. Peccato che con il passare dei minuti, il film che in partenza ha appunto un tono frizzante da horror comedy anni ottanta, si sieda letteralmente (girando attorno alle vicende personali di un comunque stereotipato protagonista) con un plot comunque insipido e poco coinvolgente, una storia che per fortuna si risolleva nel finale splatteroso dove assistiamo anche a una fatidica trasformazione da uomo in lupo (tutto sommato riuscita, ma niente a che vedere con i livelli toccati da altre grandi opere). Inoltre Bogliano non sembra affatto a suo agio dietro la telecamera, troppi movimenti lenti e poco spazio alla fantasia, un'involuzione dettata dal fatto che Late Phases è praticamente un lavoro su commissione. Un lavoro in cui si doveva e poteva sfruttare meglio il tema dell'assedio e di molte altre idee abbozzate ma rimaste purtroppo indefinite, la tensione infatti si sfalda in un baleno. Giacché per chi ama il cinema dei licantropi, Late Phases rappresenta un prodotto che non aggiunge nulla a quanto già visto in passato. Perché anche se resta sul piatto un po' di sano intrattenimento, ma anche tante immagini che girano a vuoto, fatico ad arrivare alla sufficienza piena. Voto: 5,5

Jupiter Ascending (2015)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Jupiter Ascending (Fantascienza, Usa 2015): Un film alquanto deludente l'ultima opera dei fratelli Wachowski (Lana e Lilly), i creatori di Matrix. Essi ormai sono in evidente calo, e si vede soprattutto per la mancanza di idee, non siamo ai livelli di quella schifezza di Speed Racer, ma è un film con una sceneggiatura molto approssimativa, poco originale e decisamente banale. La classica storia di lei (umile umana) che non è nessuno ma in realtà è speciale, i classici cattivi (dominatori della terra e dell'universo) che vogliono distruggere tutto, i classici buoni (salvatori della terra e dell'universo) che vogliono evitare tutto, le classiche scene d'azione dove si salverà sempre per un millisecondo, la classica storia d'amore improbabile e il classico lieto fine. Praticamente il film si riassume così, e ha qualche spunto riflessivo, ma fatto molto male e trattato in modo superficiale. Non mi sento di stroncarlo completamente, dato che riesce in maniera parziale ad intrattenere, le scene d'azione sono veramente ben fatte e gli effetti speciali di ultima generazione non potevano che essere ottimi, ma seppur visivamente ineccepibile manca però di sostanza, palesando poca originalità e poca inventiva. Inoltre come già sottolineato la linearità narrativa è un po' deficitaria, tutto viene spiegato sommariamente e con poca incisività. In più il cast (comprendente anche Douglas Booth e lo sprecato Eddie Redmayne) è nettamente insufficiente dove si salva solo Sean Bean (seppur inutile è il suo personaggio), i due protagonisti poi (Mila Kunis e Channing Tatum) non si integrano nella complicata ragnatela della storia dove appunto si notano vistosi buchi. In conclusione le due ore passano con qualche difficoltà, la prima parte è più che buona ma le troppe scene d'azione durano anche troppo e portano una noiosa seconda parte, tanto che nonostante esso appaia comunque sufficientemente godibile, è meglio evitare. Voto: 5+

Cell (2016)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Cell (Azione, Usa 2016): Pur con tutta la buona volontà, nonostante quelle che sembravano ottime garanzie di riuscita (dalla partecipazione di attori eccellenti come John Cusack e Samuel L. Jackson alla presenza di Stephen King, che ha da poco festeggiato 70 anni, come ispiratore della storia e co-sceneggiatore), non è oggettivamente possibile giudicare in modo positivo un prodotto inevitabilmente opaco e inefficace come questo film, l'ennesima e deleteria trasposizione del grande maestro. Il film infatti, diretto da Tod Williams, un film catastrofico dove un improvviso segnale telefonico trasforma buona parte degli esseri umani in creature sanguinarie guidate telepaticamente da qualche misteriosa e letale entità, nonostante offra azione e spettacolo propria delle migliori pellicole apocalittiche (seppur comunque corredato da effetti digitali di rara bruttezza), per colpa di buchi di sceneggiatura e interpretazioni deboli, si dimostra un prodotto di serie C da evitare senza pensarci su due volte. Giacché questo filmetto di taglio televisivo (a partire dai disastrosi titoli di testa) mal diretto e interpretato, complici una fotografia per nulla suggestiva, scenografie penose, musiche irrilevanti, montaggio macchinoso e soprattutto una regia incapace, è un film (dal ritmo lento) mediocre che vale poco anche come intrattenimento. Se poi ci aggiungiamo un soggetto narrativo ormai logoro e abusato, un tema (la dipendenza dai cellulari) veramente fuori tempo massimo, una trama generale sviluppata malamente e senza il minimo approfondimento o colpo di scena, ed un finale prevedibile e fiacco, il risultato non può che essere uno, una cagata pazzesca. Voto: 4

War on Everyone (2016)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - War on Everyone (Commedia, Gran Bretagna, 2016): Un buddy movie un po' in sordina che comunque è capace di regalare qualche momento divertente, anche se il livello non è sempre alto. Due agenti (Alexander Skarsgard e Michael Pena) sono noti per ricorrere spesso a corruzione, intimidazione, abusi vari ai danni delle persone che sbattono dentro, oltre che per il loro umorismo decisamente poco politicamente corretto. Il loro capo vorrebbe sbatterli fuori, ma dà loro l'ultima occasione per incastrare un malavitoso britannico (Theo James). Tra gag azzeccate e azzeccate un po' meno (con alcune volgarità aggiunte), qualche risata, alcune scene action discrete (ma esagerate quasi sempre), alla fine è un film (nell'originale Crazy Dirty Cops) senza particolari pretese che comunque si guarda, almeno una volta, volentieri, anche se purtroppo sono molte le cose che non funzionano. La trama è fragilissima e anche poco coinvolgente, dei personaggi non si sa quasi nulla e non si capisce quasi chi sia uno chi sia l'altro e quale sia il loro ruolo, tanta confusione e un argomento già trattato in molti altri film. Buoni i primi dieci minuti, poi scende di brutto, tanto che a salvarsi è solo la colonna sonora, con all'interno una canzone italiana, e la sexy protagonista femminile, ovvero l'esuberante e bellissima Tessa Thompson, oltre poco e niente. Voto: 5

99 Homes (2014)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - 99 Homes (Drammatico, Usa 2014): Questo film di Ramin Bahrani lavora su due livelli, da una parte la denuncia politica verso quel sistema tutto bancario e capitalistico che ha portato migliaia di famiglie americane in mezzo alla strada e dall'altro le scelte morali ed etiche che il personaggio interpretato da Andrew Garfield si ritroverà a dover compiere, ovvero quella (che causerà un forte stress psicologico) che per riprendersi la casa dalla quale è stato sfrattato, insieme alla sua famiglia, inizia a lavorare per Rick Carver (un bravo Michael Shannon che conferma il suo talento), proprio l'agente immobiliare che lo ha sfrattato. Il primo livello funziona, il film "apre le porte" a chi come me conosce poco il problema e fa intuire come ci sia tutto un giro legalizzato che specula sul dolore della gente, ma la storia in se è scritta per poter finire nell'unico modo possibile. E' quindi un film prevedibile e che spesso punta troppo sul sentimentalismo spicciolo mettendo in mezzo i bambini, come se il regista volesse ulteriormente enfatizzare quel dolore che è chiaramente presente fin dalla prima inquadratura. A tratti quasi documentaristico, con un uso reiterato della camera a mano, 99 Homes è infatti un buon film di denuncia che si posiziona sulla scia di altri titoli "della crisi" come Margic Call o The Company Men, però è una pellicola riuscita a metà e troppo raffazzonata nella sceneggiatura. Giacché nonostante la buona recitazione dei protagonisti, il film (che si riduce a pochi dialoghi interessanti tra il novizio e il suo "tentatore", con una sequenza di fatti un po' banali sulle emozioni della povera gente derubata delle loro case) esplora troppo superficialmente un problema di ben altre dimensioni. In definitiva dramma discreto ma poco appassionante ed emozionante, che in ogni caso, seppur non aggiunge nulla di più, è (senza aspettarsi troppo) un film da vedere. Voto: 5,5

Di nuovo in gioco (2012)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Di nuovo in gioco (Drammatico, Usa 2012): Spiace affibbiare un voto basso ad un film dove appare Clint Eastwood, alla cui figura di attore sono molto affezionato, oltre ad apprezzare le eccellenti doti di regista e film-maker, come dimostrato in Sully. Ma questo film (buonista e dallo svolgimento decisamente piatto e prevedibile), dove il grande divo lascia la regia al suo figlioccio Robert Lorenz, è veramente una pellicola troppo insipida ed inutile (non riuscendo a far riflettere ed emozionare come altri film sportivi-drammatici), che non va da nessuna parte. Poiché un nodo affettivo tra padre e figlia che si risolve a tarallucci e vino secondo i canoni più scontati del cinema d'oltreoceano di bassa fattura non merita, a mio modo di vedere, la sufficienza. Come non basta ritrovare le espressioni e la "burberità" tipica del nostro amatissimo Clint, se intorno ad essa c'è il nulla. Infatti la storia d'amore tra la figlia di Eastwood e l'ex giocatore lanciato dal padre appare melensa e banale, ed anche la rivelazione del tragico passato della ragazza ad opera del padre arriva tardivamente e viene messa lì senza costrutto. A contribuire al flop del film ci sono anche le prestazioni piatte offerte dalla Amy Adams e di Justin Timberlake, che non tralasciano nulla dello stereotipo che rappresentano. Insomma anche se lo chef è di prim'ordine (perché c'è anche John Goodman) vale sempre il detto che non tutte le ciambelle vengono con il buco. Giacché in questo film (di stampo classico con una sceneggiatura comunque solida ma che non brilla e scritta col pilota automatico, poiché si sa già dove vuole andare a parare e soprattutto ha uno sviluppo talmente prevedibile che bene o male intuisci qual è la prossima scena) il ritmo è piuttosto lento e poco o niente coinvolge. Comunque un pessimo prodotto questo non è, perché anche se come film sul baseball non è indimenticabile, e anche se mi aspettavo qualcosa di più, una visione leggera (soprattutto per rivedere Eastwood all'opera) la merita. Dopotutto questo è il classico esempio di film preconfezionato, gradevole ma incolore, che si può vedere e poi dimenticare. Voto: 5,5

Eden Lake (2008)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Eden Lake (Horror, Gran Bretagna 2008): Ho visto questo film, diretto da James Watkins (che nel 2012 ha realizzato The Woman in Black con Daniel Radcliffe), soprattutto per gli attori, Michael Fassbender (Steve Jobs), la florida e bella Kelly Reilly (CalvarioSherlock Holmes) e Jack O'Connell (Money Monster), non certo per la storia, vista e rivista molte volte, quella di una coppia di vacanzieri che vengono "stalkizzati" da un tenace gruppo di piccoli vandali molto pericolosi, ma il risultato è stato ugualmente deludente. Perché questo film (che scade nel tragico solo grazie alle scelte a dir poco infelici dei protagonisti), che non è come si proponeva un rape and revenge classico, anzi, la vendetta non c'è e la violenza rimane "ipotetica", apprezzabile dal punto di vista tecnico, ambientazione, atmosfera, tensione (anche se in verità la suspense latita e non impaurisce affatto), prove attoriali (anche se sprecato è lui ed anche lei), spesso non ha niente d'avvincente nonostante una trama horror che poteva anche essere più appassionante e convincente. Dato che l'inseguimento della protagonista da parte di una "baby gang" attraverso la foresta è assai poco credibile, e il finale è troppo scontato e inconcludente. Inoltre, a mio avviso, non particolarmente riuscito l'intento di rappresentare realisticamente la violenza nel mondo giovanile, perché quella che ricavo non è l'immagine della società odierna reale, si vede solo un villaggio isolato di gente tutta mezza matta, com'è tipico dei film horror, e non certo della realtà. Per questo Eden Lake, che fornisce momenti di stanca e momenti interessanti (giacché in ogni caso i giovani ragazzi la loro parte la fanno in maniera tosta), non è un film del tutto riuscito. Voto: 5,5

All Is Lost (2013)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - All Is Lost (Azione, Usa 2013): Dopo l'affascinante ma poco incisivo 1981: Indagine a New YorkJ. C. Chandor ci ricasca. Il regista infatti a suo solito, sviluppa una storia interessante, tecnicamente buona (sia dal punto di vista registico, sia come fotografia) ma tutto sommato inverosimile (vista l'età del protagonista) e noiosetta. Il film infatti (l'odissea di un uomo alla deriva nel bel mezzo dell'Oceano Indiano), quasi del tutto privo di dialoghi e che vede come unico interprete, oltre all'Oceano, Robert Redford (che si prende sulle spalle il film e lo porta comunque a termine con una certa disinvoltura, perché è e rimane sempre un grande), non dice (nel senso letterale del termine) e lascia praticamente niente. Giacché il film, che consiste essenzialmente in Robert Redford appunto che fa cose poco interessanti su una barca, è a tutti gli effetti un'opera incompleta. Va bene la lotta per la sopravvivenza, ma da sola non basta, soprattutto perché di azione vera ce n'è pochissima. Ovviamente malissimo non è, però senza un'introduzione e/o dei flashback per farci conoscere il personaggio (che avrebbe forse creato empatia maggiore) il film purtroppo annoia, anche perché la durata giusta sarebbe stata 90 minuti e non 105. Ma quello che manca ad un film comunque non da buttare è il livello di contenuto, sterile e non esaustivo. Tuttavia, con qualche "avanti veloce" qua e là si può vedere.  Voto: 5,5

Criminal Activities (2015)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Criminal Activities (Thriller, Usa 2015): L'esordio alla regia dell'attore Jackie Earle Haley (qui attore al fianco di John Travolta, che riesce quanto meno a non far danni) è un minestrone avariato di luoghi comuni tra commedia e gangster movie. La lunga spiegazione finale (l'unico motivo d'interesse) alla maniera de "I soliti sospetti", a ribaltare la prospettiva del racconto, pur con inevitabili forzature (anche se coerente e precisa), funziona ma non riesce ad evitare il disastro. E così l'avventura di quattro giovanotti che, per un investimento andato a male, si trovano costretti a dover restituire una grossa somma ad un boss mafioso il quale in cambio chiede loro un favore per cancellare il debito, non riesce mai veramente a decollare né a coinvolgere tra dialoghi banali e ridondanti, situazioni riciclate, inesorabili tempi morti, sviluppi caricaturali, soluzioni narrative superflue, colpi di scena di scarso peso, una messa in scena scialba e anonima che fatica a dare senso e vivacità ad una sceneggiatura derivativa e pigra. I quattro giovani protagonisti purtroppo sono inoltre (tranne un ambiguo e straordinario Dan Stevens) ben poco incisivi, soprattutto un insopportabile ed esagitato Michael Pitt. Poteva essere un cult, ma rimane solo un buon filmetto da intrattenimento senza picchi. Manca infatti di momenti epici e risulta troppo lineare. Tuttavia si vede con piacere e non annoia, ma non aspettativi granché. Voto: 5+

Into the Storm (2014)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Into the Storm (Thriller, Usa 2014): Amo il genere catastrofico ma questo film non mi ha colpito per niente, è vero che deve considerarsi un B-movie ma speravo in qualcosa di migliore, più coinvolgente, con una trama meno prevedibile. Narrativamente parlando infatti è molto poco originale e propone i soliti schemi del padre che deve salvare i figli, la solita storia di famiglia drammatica, i soliti sentimentalismi, ma anche se alla fine in qualche scena in particolare riesce a creare un pizzico di pathos che rende gradevole la visione, poco o niente convince davvero. Perché l'unica cosa apprezzabile di questo film, nella sostanza un remake non dichiarato di Twister, sono gli effetti speciali. Di bello infatti c'è solo come è reso il terribile tornado che devasta ogni cosa e niente più, neanche la resa (mediocre) degli attori, tra cui Sarah Wayne Callies, la Lori di The Walking Dead, e Richard Armitage de Lo Hobbit, anche se l'ho seguito senza annoiarmi eccessivamente. Giacché il film procede comunque spedito e fra tornadi e fughe disperate risucchia la sua ora e mezzo di durata. Ma comunque una volta visto si può tranquillamente cestinare. Voto: 5

Blue Jasmine (2013)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Blue Jasmine (Commedia, Usa 2013): Come forse saprete verso Woody Allen ho sempre avuto, seppur qualche suo film m'è comunque piaciuto, una certa antipatia. E dopo aver visto questo film, la suddetta cresce, perché in bilico tra commedia e dramma il regista tira fuori una storia che non ingrana mai le marce alte, si prova certamente tenerezza e allo stesso tempo ribrezzo per il personaggio principale, questo comunque per gran abilità indiscussa del regista, lodevole nel costruire un'antieroina di gran consistenza interpretata in maniera magistrale da Cate Blanchett (bravissima nell'interpretare una donna sempre sull'orlo di una crisi di nervi, una persona distrutta che ha perso tutto e non riesce a rimettere in sesto la propria vita), ma il resto è un foglio bianco dal quale ogni tanto spunta qualche idea poi reiterata all'infinito. La debole sceneggiatura infatti, priva di un effettivo "quid" (e poco appassionante), fa acqua da tutte le parti, anche perché sottolineando sino allo sfinimento le nevrosi di Jasmine (che ha perso il farabutto del marito, interpretato da Alec Baldwin), non fa che irritare (centomila scene insomma per dire la stessa cosa). Per la prima mezz'ora il film è difatti inguardabile, inutile e fastidioso (per alcuni aspetti come i dialoghi confusionari e sovrapposti come da stile del regista, i flashback un po' buttati lì e il ritmo veramente blando). Nella seconda parte, effettivamente la pellicola migliora, diventa più interessante, ma c'è ancora troppo poca attenzione destinata alla psicologia della protagonista e troppo spazio dato invece a gag simil-comiche abbastanza scontate e quindi non molto divertenti. Discreto invece il personaggio della sorella (Sally Hawkins) e del fidanzato di lei (Bobby Cannavale), due o tre scene minimamente simpatiche, per il resto poca roba (neanche la musica dove il blues qui ha poco a che fare). Perché in fin dei conti è sempre la solita storia, la solita minestra con i soliti tradimenti, scappatelle, bugie, divorzi. Tanto che l'unico motivo di esistere e di vedere, questo personalmente deludente film, è solo per Cate Blanchett, premio Oscar attrice protagonista per questo film, vedibile ma non memorabile. Voto: 5,5

venerdì 29 marzo 2019

Demolition: Amare e vivere (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/09/2017 Qui - Fare tabula rasa, demolire tutto ciò che sta intorno, smontare pezzo per pezzo al fine di raggiungere il cuore malato delle cose, di scoprirne l'ingranaggio difettoso. Si parte da un frigorifero per finire con un'abitazione, nella speranza di trovare l'automatismo inceppato. E' ciò che fa Davis (l'intenso Jake Gyllenhaal) nel film Demolition: Amare e vivere (Demolition), film del 2015 diretto da Jean-Marc Vallée, impassibile dinnanzi alla morte della moglie, anestetizzato da una vita fatta esclusivamente di astratti bilanci finanziari ed ingabbiato in un rapporto matrimoniale nel quale, forse, non ha mai creduto. Insensibile al dolore affronta la dipartita a suo modo mentre monta lo stupore del suocero, incapace di comprendere tale apatia. L'apatia di un giovane uomo che non sapendo come ripartire, decide di "distruggere" (anche se in modo insolito e particolare, ma interessante ed efficace grazie al regista) qualunque cosa. Dopotutto la metafora della distruzione (molto diretta, anche troppo diretta, con toni volutamente esagerati e grotteschi) è sicuramente centrata da Jean-Marc Vallèe, regista di grande talento capace di catturare l'interesse dello spettatore passando per vie anticonvenzionali. Giacché Demolition è un'originale e mai mesta elaborazione del lutto (tramite un'insolita lettera, e poi tante altre, al servizio clienti di una macchinetta inceppata), ma anche una ricerca del proprio io soffocato dal mondo circostante, quello reso sterile dall'assenza di sentimenti e dall'individualismo sempre più esasperato.

La pazza gioia (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/09/2017 Qui - Ho sempre avuto una certa antipatia per Valeria Bruni Tedeschi, ho trovato troppe volte sopra le righe le sue tante interpretazioni, con la sua voce un po' fastidiosa e i movimenti un po' farraginosi, ma è probabilmente proprio questo di lei che ne La pazza gioia, film del 2016 diretto da Paolo Virzì, ho trovato perfetto. Giacché in questa pellicola, di cui il titolo dice molto, ella interpreta, insieme ad una "trasformata" ma sempre brava Micaela Ramazzotti, una pazza scatenata ad alto tasso di vitalità. Dopotutto il film di Virzì vuole essere un inno alla vita, alla voglia di esserci nonostante tutto. Una storia di affetto e di amicizia a metà tra la realtà e l'invenzione così come i suoi due personaggi femminili. In particolare la Bruni Tedeschi che ha il ruolo di Beatrice, una ricca nobile un po' âgée con una mentalità reazionaria e snob, che confonde la fantasia dalla realtà continuando a impartire ordini anche a Villa Biondi (la comunità terapeutica nella quale è relegata) come se le altre pazienti fossero tutte sue domestiche, giardiniere e cameriere. Donatella invece (la sempre discreta Ramazzotti) è una giovane donna proletaria piena di tatuaggi e di pochissime parole, provata da varie disavventure della vita, ex cameriera in un night-club, anche lei sbarcata a Villa Biondi. L'incontro tra le due è in crescendo, la logorroica Beatrice non si arresta difronte alla scorbutica Donatella e man mano riesce a sfondare il muro protettivo dietro il quale si trincera e ad acquistarne la fiducia. In fondo la trama del film è tutta qui nel rapporto tra le due donne, con la progressiva apertura dell'introversa e con l'affiorare di sincerità dell'altra una volta crollate le maschere, e si apprezza così sia la buonissima interpretazione delle due attrici, sia la mano alla regia di Virzì quasi priva totalmente di sbavature.

Crimson Peak (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/09/2017 Qui - Sono un grandissimo ammiratore di Guillermo del Toro, anche se non è uno dei miei registi preferiti, di lui ho sempre apprezzato tutta la sua filmografia (anche come produttore e sceneggiatore) a partire dal discreto "Mimic" al criticatissimo "Pacific Rim" (che per me è comunque un buonissimo action fantascientifico e di livello anche alto). Attendevo quindi di vedere Crimson Peak, film del 2015 co-scritto e diretto dal regista messicano, con leggera trepidazione. Ma nonostante un ottimo cast (in particolare Mia Wasikowska e Tom Hiddleston, ma anche Jessica Chastain, che qui comunque appare un po' sottotono, e Charlie Hunnam) e un gioco sottile ma coltissimo di citazioni alla letteratura e al cinema fantastico, Crimson Peak batte a vuoto, offrendo al grande pubblico "solo" estetica espressionista (e una marea di bellissimi riferimenti che però molto probabilmente non può conoscere/comprendere) ma poca sostanza, poca concretezza, pochi spaventi, anche se non è assolutamente un brutto film, ma si basa su presupposti fallaci. Il film infatti, concepito più come un romance gotico, quello di una giovane ereditiera americana che sposa un misterioso nobile inglese e che lo segue nella sua casa avita (inquietante e poco accogliente), dove in ogni caso la attendono misteri e terrore, che come un vero e proprio horror (anche se le immagini spaventose, seppur poco impressionabili, non mancano affatto), non era quello che mi aspettavo. Mi aspettavo difatti, da discreto amante del gotico e di un certo tipo di film in costume, qualcosina di diverso e qualcosina di più, soprattutto in termini di genere nel primo caso e narrativi nel secondo.

Alla ricerca di Dory (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/09/2017 Qui - È a metà tra il remake e il sequel questo ennesimo grande film targato Pixar che negli anni ci ha regalato tante perle preziose, dalla trilogia di Toy Story a Ribelle, da Wall-E a Up, fino al recente Inside Out e Il viaggio di Arlo. Tutti film accomunati da un livello tecnico altissimo raggiunto e da riflessioni non banali su famiglia, affetti, identità. E Alla ricerca di Dory (Finding Dory), film d'animazione del 2016, sequel e spin-off di Alla ricerca di Nemo del 2003, diretto da Andrew Stanton, prodotto appunto dalla Pixar e distribuito dalla Walt Disney Pictures, non è da meno. Il film infatti, grazie anche al suo carattere pedagogico e all'aspetto educativo, non solo fa riflettere, ma commuove, emoziona e diverte, grazie anche all'animazione stupenda qui elargita. Alla ricerca di Dory difatti è una grande ed emozionante avventura, ricchissima di incontri e svolte (affettive e non), un vero e proprio road movie in acqua dove il "Destino" buono non solo passa attraverso un personaggio che porta il Destino nel nome, ma soprattutto attraverso tanti piccoli incontri di amici che ti aiutano a trovare la strada per casa, la compagnia fedele di Marlin e Nemo, foche, polpi, una moltitudine di pesci, tutti a loro modo solleciti nell'aiutare Dory (che quando si ricorda improvvisamente di avere una famiglia che forse la sta cercando parte subito, senza pensarci un attimo e nonostante i suoi "problemi", alla ricerca) che in mezzo a tante mancanze conosce ciò che è essenziale e vi rimane attaccata. Attaccata a un'origine buona, fatta di genitori amorevoli che non perdono mai la speranza e che vedono sempre il positivo in lei, sarà più semplice per la pesciolina blu riscoprire con occhi nuovi la bellezza del mondo, come sottolinea lo splendido finale in mare aperto. Perché tutti i protagonisti scopriranno il valore dell'amicizia, il senso della famiglia e la magia che si cela dietro i loro difetti.

giovedì 28 marzo 2019

Chinese Zodiac (2012)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/09/2017 Qui - Chinese Zodiac, film del 2012 scritto, diretto, prodotto, scenografato, fotografato e interpretato da Jackie Chan, sequel del film del 1991 Armour of God II: Operation Condor, sempre diretto da lui, è da prendere con le molle, poiché anche se questo comunque spassoso e spettacolare film d'azione e d'avventura che, ispirandosi vagamente al filone archeologico e fanta-storico del celeberrimo Indiana Jones spielberghiano, che conduce lo spettatore in un movimentato viaggio tra Cina, India e Oceania, alla ricerca di dodici leggendarie statue scomparse e trafugate che, come da titolo, rappresentano lo zodiaco cinese ed erano custodite nel palazzo imperiale di Pechino, si lascia in ogni caso vedere, è troppo caotico (sembra di assistere a due film diversi perché diviso in due parti), troppo inverosimile (e realistico), abbastanza trash (le gag sono talmente infantili infatti da risultare subito stucchevoli), troppo lungo (2 ore in effetti sono decisamente eccessive) e deludente, in più la denuncia del commercio illegale di beni culturali non convince. Insomma un mezzo caos dove anche l'esperto Oliver Platt cade nell'esagerazione fine a se stessa. Perché anche se il film è infarcito di scene di azione acrobatiche davvero suggestive (alcune sequenze in effetti sono davvero spettacolari e mozzafiato) e ben costruite, non sempre la costante vena di umorismo (che sfocia più volte in venature demenziali) funziona.

Skiptrace: Missione Hong Kong (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/09/2017 Qui - Jackie Chan come al suo solito sforna l'ennesimo action-comedy simpatico e brioso. Poiché in Skiptrace: Missione Hong Kong (Skiptrace), film del 2016 diretto da Renny Harlin, prodotto ed interpretato da Jackie Chan, anche se non ci sono scene da grasse risate, lui e la pellicola riescono ad essere minimamente godibili, senza tante pretese e senza troppe banalità. Certo, delle sue acrobazie folli non c'è più traccia e, anzi, troppe volte le soluzioni per nascondere questo limite sono fin troppo evidenti, ma accanto ad un Johnny Knoxville buffone, come sempre, crea in ogni caso una coppia simpatica quanto quella con Owen Wilson. Giacché qualche momento ben riuscito in cui Chan riesce ancora a mostrare le sue capacità c'è comunque. Purtroppo quello che manca in Skiptrace, è la storia, non solo stra-vista ma anche tirata via oltre l'inverosimile. L'intero film è infatti una scusa per un giro del mondo (per proteggere ed aiutare la bella Fan Bingbing) dove gli attori faticano perfino a recitare. Seppur ed ovviamente e come detto si ridacchia ugualmente, ma è molto "cinese" sia nell'umorismo che in quelle parti che vorrebbero essere serie per farsi tanto apprezzare (soprattutto per il finale poco convincente), anche se nel complesso il film merita la sufficienza. Non tanto per Jackie Chan ma anche per Johnny Knoxville (star indiscussa degli esilaranti Jackass), che da comico praticamente nato, si diverte e fa divertire. Lui infatti fin dall'apertura, lo troviamo alle prese con una "cartoonesca" retata antidroga corredata di disastroso crollo e, addirittura, un'esplosione. D'altra parte, quando c'è di mezzo Jackie Chan è risaputo che le esagerazioni mirate al divertimento siano tutt'altro che assenti, e quindi lo shooter Renny Harlin (Die Hard 2 e Cliffhanger) ce la mette tutta per sfruttarlo il più possibile in uno spettacolo che fa della sequela di assurde situazioni (comprendenti scontri corpo a corpo con la formosa wrestler Eve Torres) il proprio ingrediente fondamentale. E, anche se in più di un'occasione l'insieme rischia di apparire fracassone, non annoia più di tanto lo spettatore e lo trasporta quasi in una atmosfera da cine-panettone in salsa action, ma senza però eccellere e non senza alcuni difetti.

One day with Jackie Chan's movies: Skiptrace (2016) & Chinese Zodiac (2012)

Post pubblicato su Pietro Saba World il 19/09/2017 Qui - E' forse uno degli attori più amati e conosciuti al mondo, giacché il suo stile unico, che nessuno riprende per rispetto, dopotutto quando ci provano tutti falliscono miseramente, ha da sempre divertito e intrattenuto con grande facilità grandi e piccini, nonostante i temi abbastanza adulti, ma mai sopra le righe della volgarità od altro (una "violenza pulita" insomma, che non disturba, anche perché i suoi film sono indirizzati ad un target di giovani, facendo sempre leva sulla comicità e sulle gag che lo vedono come protagonista), dei suoi mirabolanti film. Sto ovviamente parlando di Jackie Chan, il re dei Kung Fu Movies, un grande attore, regista, produttore cinematografico, artista marziale, comico, sceneggiatore, imprenditore, stuntman, doppiatore e cantante che il cinema cinese più che quello Hollywoodiano (anche se proprio con quest'ultimo si è fatto maggiormente conoscere), l'ha fatto diventare un mito, un'icona action e al tempo stesso comedy che ha rivoluzionato il genere dell'action movie. Lui che ha ha girato oltre 200 film, lui che praticamente ha forgiato uno stile unico davvero invidiabile. Lui è infatti e soprattutto conosciuto per il suo particolare stile di combattimento che fonde le arti marziali cinesi alla mimica tipica del cinema muto, con l'utilizzo di spettacolari scene d'azione in cui si mette in gioco in prima persona e l'utilizzo di armi improvvisate e non convenzionali, il tutto sempre stando attento a non sfociare nella violenza gratuita. Per questo il divertimento nei suoi film non è mai mancato, tanto che proprio alla spassosa e avvincente saga di Rush Hour è entrato definitivamente nell'Olimpo di Hollywood, lasciando anche le impronte delle mani e del naso nell'Hollywood Walk of Fame. Da lì e grazie ai suoi film, alcuni inediti tutt'ora, la sua popolarità è quindi cresciuta enormemente, non per altro proprio pochi mesi fa ha ricevuto l'Oscar alla carriera. Un riconoscimento tanto che atteso che ha finalmente reso merito ad un personaggio che ho sempre amato, perché i suoi film, in ogni caso difficilmente classificabili, ha divertito e intrattenuto sempre a dovere, cosa che però purtroppo non succede più da tempo. Il buon Jackie Chan infatti, di cui in un giorno ho visto due pellicole (che appunto in questo post parlerò), sta perdendo ahimè colpi, perché dopo il deludente Dragon Blade, sembra aver ingranato (forse colpa dell'età seppur ancora in splendida forma) la retromarcia. Tuttavia e nonostante ciò, come al suo solito sforna l'ennesimo action-comedy simpatico e brioso. E non solo, anche un'avventura action in parte esplosiva.

martedì 26 marzo 2019

Star Trek Beyond (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/09/2017 Qui - Premettendo che non sono mai stato un grande fan di Star Trek, e che quindi molte citazioni o rimandi non li ho quasi per niente notati (anche se ho seguito qualche puntata ed ho visto i primi due capitoli), Star Trek Beyond, film del 2016 diretto da Justin Lin, tredicesima pellicola del franchise fantascientifico di Star Trek ideato da Gene Roddenberry e il terzo film della serie reboot, è certamente un discreto film di fantascienza e lo consiglio vivamente a tutti gli appassionati del genere. Perché non solo regala 2 ore di buonissimo intrattenimento, ma con una buona dose di spettacolare azione e una giusta dose di piacevole ironia, esso appassiona e funziona. Dopotutto per essere pienamente goduto, non necessita nessuna pregressa conoscenza della Saga, quindi adattissimo ai neofiti totalmente a digiuno dei precedenti 50 anni di storia Trek. Ed anche se presenti, gli omaggi e riferimenti indirizzati ai veri fan, non vanno ad intaccare minimamente la godibilità dell'opera da parte dello spettatore totalmente ignaro del mondo Trek. Anche perché la storia è semplice (che serve solo da scusa per un viaggio in qualche nuovo pianeta da esplorare per sconfiggere il cattivo di turno), senza colpi di scena (seppur essi tuttavia pochi ci sono ugualmente), ma solida e ben scritta e senza evidenti plot holes come i due precedenti film. Il nemico pur avendo la più classica delle motivazioni (comunque non chiare allo spettatore per buona parte del film, nonostante i suoi estenuanti "superspiegoni") è mille volte più interessante narrativamente dei due precedenti (anche se esso poiché banale non aiuta tantissimo il coinvolgimento, che qui in ogni caso latita leggermente). Le scene d'azione invece (eccellenti e davvero ben fatte) sono coerenti (e inserite in modo coerente) alla storia.

10 Cloverfield Lane (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/09/2017 Qui - Ricordo benissimo Cloverfield, il discreto Monster Movie di Matt Reeves che, nel 2008, inscenò una situazione alla Godzilla raccontandola attraverso la tecnica del POV, una tecnica che al tempo dava bene i suoi frutti, giacché il film è uno dei miei preferiti del genere. Per cui quando ho saputo del sequel, e nonostante fossi già a conoscenza di certi particolari, mi aspettavo un film simile o almeno continuativo, invece no, tutto completamente diverso, dato che 10 Cloverfield Lane, film di fantascienza e thriller psicologico del 2016 diretto da Dan Trachtenberg, non centra nulla con il precedente, ha solo (ma in un altro senso) dei punti di contatto, che però furbescamente usa per fare leva sullo spettatore. Spettatore che sicuramente sarà rimasto spiazzato, per la mancanza di certi elementi, come me. Ma come molti anch'io ne sono rimasto ugualmente impressionato, soprattutto in positivo, poiché è comunque un buon film. Finanziato dagli stessi artefici (tra cui J.J. Abrams, produttore di entrambi), 10 Cloverfield Lane che sembrerebbe infatti riallacciarsi al precedente, sfruttando tutt'altro punto di vista, in quanto intento ad abbandonare il look da found footage ed a privilegiare uno spazio chiuso da thriller claustrofobico anziché strade cittadine invase da una gigantesca creatura, mi è piaciuto parecchio. Giacché seppur certamente appare forzato il riferimento al Cloverfield di Reeves, se non per rivendicare una sorta di franchising, questo thriller claustrofobico, ma con risvolti fantascientifici sempre più evidenti, scritto anche dal premio Oscar Damien Chazelle, così diverso dal precedente, ha davvero il potere di tenere incollati.

Joy (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/09/2017 Qui - Davvero un gran bel film è Joy, film del 2015 scritto e diretto da David O. Russell, la pellicola infatti, anche grazie al regista che da risalto (con uno stile di regia molto particolare, che non ricerca chissà quali movimenti di camera ma cattura molto dei personaggi tramite un semplice primo piano) ad una storia che sulla carta non mi sarebbe dovuta interessare particolarmente, giacché solo dire che questo film parla della donna che inventò "il mocio" per sminuirne l'entusiasmo, ma il film va ben oltre questo ed il mocio è solo l'idea su cui ruota il film, film che per questo si lascia piacevolmente vedere. Il discorso difatti e fortunatamente è ben più ampio e parla del credere nei propri sogni e portare avanti un idea, e questo è sicuramente interessante per chiunque, inoltre vengono trattati temi come la parità dei sessi e la famiglia. Dopotutto il film (una pellicola coinvolgente che riesce a mischiare intelligentemente commedia e dramma e non il solito biopic un po' freddo e analitico), narrato in un modo unico cioè diverso da qualsiasi altro film biografico, poiché solo il 50% prende spunto dalla storia della famiglia di Joy Mangano, ora imprenditrice di successo, mentre gli altri elementi fanno parte del bagaglio che ha intessuto generazioni cinematografiche di donne forti e meno forti, racconta la storia di una (sgangherata) famiglia (composta dalla nonna, una sorellastra e dai due genitori) e delle sue quattro generazioni, la nonna di Joy, la madre, Joy stessa, e sua figlia. La pellicola difatti, narrata in uno stile popolaresco, che offre una storia travolgente di una self-made woman che supera ogni battuta d'arresto nel suo tentativo di realizzare e di lanciare la propria intuizione, dalla nonna della protagonista (l'unica che crede in lei), impersonata da una convincente Diane Ladd, ci fa conoscere la piccola Joy Mangano, una bambina che ha tanta fantasia e creatività e che è in grado di creare quello che immagina, almeno finché i genitori divorziano in modo piuttosto irruento e separano di fatto la famiglia.

Le stagioni di Louise (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/09/2017 Qui - Struggente e notevole lungometraggio d'animazione diretto dall'esperto regista francese Jean-François Laguionie è Le stagioni di Louise (Louise en hiver), dramma del 2016 toccante e malinconico che, sospeso tra sogni e ricordi, finzione e realtà, come chiaramente è evidente dal titolo, racconta di stagioni della vita, soprattutto dell'ultima, evocando una circolarità in cui il tempo interiore torna sempre sui suoi passi, passi tracciati nella sabbia, impronte destinate ad affievolirsi fino a scomparire. E l'occasione per riflettere sulla propria vita, e sulle proprie stagioni, arriva inaspettatamente quando ella, anziana signora, rimane sola nella località di mare dove passa l'estate. Giacché il regista, animando nel suo stile rarefatto e pittorico, un diario della solitudine e della persistenza, e della sussistenza, perché Louise, concependosi quasi come l'incarnazione femminile di Robinson Crosue, dato che s'ingegna a sopravvivere su un pezzo di sabbia col mare davanti e il niente intorno, che si ingegna a costruirsi una capanna in riva al mare e a procurarsi il cibo (non potendo vivere di sole scatolette), che senza lasciarsi vincere dallo sconforto, ma anzi ingaggiando una sfida con sé stessa per superare un'alta marea dopo l'altra, e con sempre rinnovata positività, raccontandosi di avere ogni giorno "altro cielo e altra spiaggia tutti per me", scuote dalle fondamenta la vita statica di questa simpatica vecchietta, vecchietta che ritroverà finalmente la libertà di vivere felice con se stessa, poiché vivendo nella sua latente solitudine, ha dimenticato molte cose importanti della sua vita (e delle sue intense stagioni) che non avrebbe mai voluto e dovuto dimenticare.

Ben-Hur (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/09/2017 Qui - È consuetudine (ormai acquisita, sarebbe una novità il contrario) di Hollywood sfornare remake o sequel di film che hanno avuto successo, e in certi casi che hanno fatto la storia del cinema. Ma alcuni rifacimenti cinematografici però non li avremmo proprio voluti vedere. L'ultimo caso e ultimo della serie (perché negli anni molti altri sono stati i casi simili e quasi tutti in negativo) è Ben-Hur, film del 2016 diretto da Timur Bekmambetov, che quasi svilisce il capolavoro kolossal del 1959 di William Wyler, con protagonista un immenso Charlton Heston e vincitore di ben 11 Oscar (solo Titanic di James Cameron è riuscito a eguagliarlo). Tra i due film infatti non c'è proprio partita, tra l'epica della Hollywood di fine anni Cinquanta e quella fredda dei giorni nostri c'è un muro invalicabile che sinceramente non andava minimamente infranto. E invece eccoci qui ancora una volta a recensire l'ennesimo remake che sarebbe subitamente da cancellare, se solo potessimo. Giacché questo remake non fa altro che deludere lo spettatore che invece, ingannato dal trailer, si aspetta un film vulcanico, dinamico, avvincente, ben ritmato, con una sceneggiatura che certamente non avrebbe fatto rimpiangere l'originale scritto da Lew Wallace nel 1959. Difatti, senza voler usare ipocriti e ingenui eufemismi, questo film, diretto da un regista personalmente sconosciuto, ri-scritto e ri-sceneggiato dagli statunitensi John Ridley (seppur vincitore del Premio Oscar 2013 per la migliore sceneggiatura non originale del Film 12 Years a Slave) e Keitt R. Clarke (quasi sconosciuto al grande pubblico cinematografico americano avendo realizzato poche sceneggiature importanti, The Way Back (2010)In Search of Dr. Seuss (1994), ma forse più conosciuto come produttore e scrittore statunitense), è quasi dilettantesco e certamente inutile da farsi.

It Follows (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/09/2017 Qui - Davvero angosciante è It Follows, film del 2014 prodotto, scritto e diretto da David Robert Mitchell, che certamente si porta dietro tutto un bagaglio di illustri modelli (slasher e non) che, probabilmente, hanno fatto di il giovane regista che è oggi, non solo John Carpenter (Halloween su tutti), ma anche Wes Craven (Nightmare: Dal profondo della notte) e Tobe Hooper (che ci ha da poco lasciati con Non aprite quella porta), solo per citarne alcuni. Tanti titoli da perdersi quindi, anche se non si tratta solamente di citazionismo fine a se stesso, dato che il regista, di cui l'intento sembra quello di confezionare uno film contemporaneo, ma in grado di parlare al giovane pubblico di oggi, così come a quello degli anni '70 e '80, riesce in maniera straordinaria a contestualizzarli in un ambito dove le cittadine vivono in uno stato di sottile assedio da una crisi economica e morale, dove bastano pochi isolati a trovare case diroccate ed abbandonate. "Sesso uguale morte", sentenziava uno dei protagonisti in Scream (1996) nell'elencare le principali regole per sopravvivere in un horror. Il regista prende quel postulato, lo rende il motore della storia, lo demolisce per poi ricostruirlo. Ma non vi è alcun intento moralistico nel film, poiché il sesso, considerato come fonte di contagio, non di natura virale bensì soprannaturale, è semplicemente il mezzo per introdurre una riflessione sul disagio giovanile. Il disagio di chi senza un supporto adeguato (sintomatico in tal senso l'esclusione di figure adulte che rende il film non scontato, anzi, ne aumenta il senso di disagio, facendo capire come non via via di scampo anche a chiedere aiuto, perché gli adulti non comprenderebbero) si immagina diventi un modo per trasmettere una sorta di maledizione, simile a quella di certi celebri J-Horror.

Il traditore tipo (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/09/2017 Qui - Non grande ma leggera delusione e un po' troppa prevedibilità sono le prime parole che mi vengono in mente per descrivere Il traditore tipo (Our Kind of Traitor), film del 2016 diretto da Susanna White, basato sul romanzo di John le Carré Il nostro traditore tipo e sceneggiato da Hossein Amini. Il film infatti, che non è il classico thriller che lascia con il fiato sospeso, anche se tuttavia l'ho seguito ben volentieri fino alla fine, che comunque racchiude (nella sceneggiatura) la giusta suspense seppur non sufficientemente intrigante, non convince fino in fondo. I personaggi difatti sono certamente raccontati con differenziati (e giusti) approfondimenti psicologici, ma questi ultimi non sempre credibili. Eppure lo stesso, comunque altalenante nel suo evolversi tra momenti noiosi ed altri accelerati e in ogni caso lontano dai ritmi forsennati caratterizzanti alcuni recenti lavori dello stesso genere, è un film gradevole e ben girato. Nonostante quello che latita è proprio il senso della tensione spionistica (che da il senso al film), presente certo, ma non nella maniera irresistibile (per dire) della "Talpa" o de La Spia. In ogni caso però l'atmosfera è accattivante, complici ambientazioni di ottimo livello e giochi di luce curati nei dettagli, tanto che, sorvolando sulla storia, giocata tra mafia russa, servizi segreti inglesi, politici corrotti e una ignara pedina finita nel gioco suo malgrado, ma alla fine decisiva nello scioglimento della vicenda, un professore universitario di letteratura, evocativo, manco a dirlo, di Indiana Jones, a spiccare è soprattutto la magia della macchina da presa e la qualità della fotografia, ambedue potenti, magistrali, sontuose. Fosse solo per questo, il film meriterebbe di essere visto, ma altro di positivo e negativo c'è comunque in gioco.

lunedì 25 marzo 2019

George Romero Day - Monkey Shines: Esperimento nel terrore (1988)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/09/2017 Qui - Ho sempre desiderato una scimmietta, tipo quella de Una Notte da Leoni, ma anche quella del film Ace Ventura con Jim Carrey oppure quella "sfortunata" nel film di Indiana Jones (se odio i datteri lo si deve soprattutto per quel motivo), certamente non quella che in Monkey Shines: Esperimento nel terrore (Monkey Shines: An Experiment in Fear), film del 1988 diretto e sceneggiato da George A. Romero, di cui questa rassegna ad opera della combriccola di blogger (di cui lista trovate a fine post) gli rende onore dopo la sua recente dipartita (avvenuta il 16 luglio scorso), a causa di un esperimento alquanto controverso ha comportamenti non totalmente consoni e distruttivi. Il film infatti, del regista ex settantenne, comunemente definito Re degli zombie, giacché i suoi film prevalentemente sui morti viventi hanno ridefinito e portato i suddetti film di genere ad un livello qualitativamente più alto, è un fanta-thriller (non certamente un horror in piena regola) sul tema della violenza indotta da una sperimentazione scientifica indifferente a limiti etici e al rispetto degli individui. Monkey Shines difatti, che non avevo in ogni caso mai visto (al contrario ovviamente dei suoi piccoli grandi e geniali capolavori) è un film completamente diverso dallo zombie-movie sofisticato a cui aveva abituato il proprio pubblico. Ma a testimoniare il suo genio, sforna ugualmente uno splendido e suggestivo thriller psicologico, seppur atipico e poco "Romeriano" vista la forte componente drammatica mentre è misera quella sociale/horror, che occhieggiando nientemeno che a La Finestra sul Cortile di Hitchcock, trascina lo spettatore rapito nei meandri allucinanti della mente umana e non solo. Giacché le cose migliori della pellicola (che in ogni caso non è stata per me facilissima da vedere) sono proprio quelle inerenti al dramma vissuto dal protagonista, costretto su una sedia a rotelle per colpa di un grave incidente. Regista (molto abile anche nel definire i caratteri dei personaggi) e attore sono infatti bravi nel rappresentare la sofferenza, la rabbia repressa e l'impotenza di chi vive una situazione simile. E ne ha da vendere Allan (Jason Beghe), da prestante e atletico ragazzone a paralitico in sedia rotelle in pochissimo tempo. In balia di una madre assillante, che mette a servizio del figlio un'infermiera, ossessiva e bisbetica (Christine Forrest), che diventa una sua fida confidente, e abbandonato dalla sensuale fidanzata (Janine Turner) sprofonda nella depressione totale.

domenica 24 marzo 2019

Straight Outta Compton (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/09/2017 Qui - Un bellissimo e se vogliamo anche ferocissimo affresco dell'America "del ghetto" e dei suoi ragazzi che crescono tra sparatorie, droga, scontri con la polizia e numerose gravidanze è Straight Outta Compton, film del 2015 diretto da F. Gary Gray. Il film infatti, che prende il nome dell'omonimo album del 1988, con il quale gli N.W.A. hanno fatto il loro debutto, ripercorre la rapida ascesa e l'altrettanto rapida caduta di uno dei gruppi simbolo dell'hip-hop, tra i più importanti esponenti del cosiddetto "gangsta rap", che parla della quotidianità nel ghetto, dello stile di vita delle bande di strada, di sesso, droga e violenza, e della brutalità delle forze dell'ordine. A Compton difatti, città-ghetto della Contea di Los Angeles, si incontrano i destini di tre ragazzi: Eric, detto Eazy-E, uno spacciatore che vuole uscire dal giro, Andre, detto Dr. Dre, un dj dal talento prodigioso che ha fretta di emergere ed O'Shea, detto Ice Cube, un rimatore straordinario. Tre ragazzi che quindi, ispirati dalla sofferenza a cui assistono quotidianamente nel ghetto, tra droga, delinquenza e abusi della polizia, formano il gruppo rap più estremo (e più importante negli anni anni a venire) in circolazione. D'altronde la musica (usata per dare voce a una generazione ancora in silenzio che vorrebbe ribellarsi allo strapotere abusivo della malavita) è l'unica valvola di sfogo per loro, il loro successo travolgente sarà perciò assicurato. Ma tutta la strada e la via di cotanto successo sconvolgerà però gli equilibri del gruppo, tra un manager che se ne approfitta e crescenti conflitti di ego, i problemi non mancheranno.

Independence Day: Rigenerazione (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/09/2017 Qui - Era il 1996 quando Independence Day usciva nei cinema di tutto il mondo. Il film diretto da Roland Emmerich raggiunse un successo sia commerciale sia cinematografico che vanta pochi rivali grazie ad effetti speciali mozzafiato, un'invasione aliena senza precedenti e persino la distruzione di alcuni edifici simbolici degli Stati Uniti. Non è un caso che il titolo del film si riferisse proprio al 4 luglio, festa nazionale americana per eccellenza, a sottolineare la forte componente patriottica della pellicola. Vent'anni dopo, eccoci con Independence Day: Rigenerazione (Independence Day: Resurgence), film di fantascienza del 2016 diretto nuovamente da Emmerich, di nuovo alle prese con un'invasione aliena. Ritroviamo vecchi nemici e molti dei protagonisti del primo film, ma il mondo è cambiato. Se nel 1996 gli Stati Uniti erano la sola super-potenza a livello globale, anche nella lotta contro gli alieni, nel 2016 troviamo una sorta di alleanza planetaria che comprende necessariamente anche la Cina, anche se il perno del film sono ancora loro, gli americani, ma in questo secondo capitolo troviamo alcuni elementi di cambiamento. Il nuovo presidente degli Stati Uniti è una donna, americani e cinesi collaborano a difesa del pianeta e il mondo sembrerebbe più unito. Dall'ultima volta che gli alieni hanno attaccato la Terra, l'umanità si è impossessata delle tecnologie all'avanguardia dei suoi invasori e ha sviluppato un sistema di difesa che dovrebbe garantire la nostra incolumità. Il governo degli Stati Uniti, oltre a sfruttare le potenti tecnologie extraterrestri, tiene prigionieri alcuni esemplari nemici per monitorarli. Ma a pochi giorni dalla celebrazione del ventennale di quel famoso 4 luglio 1996, ecco che la nave aliena atterrata in Sud Africa inizia a manifestare strani segni di attività, cosa avranno di nuovo in mente? chi saranno i nuovi eroi che salveranno la Terra? Basteranno due piloti rivali e un ex presidente eroico a salvarci? Certo che sì, altrimenti che senso avrebbe.

sabato 23 marzo 2019

L'attesa (2015)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2017 Qui - L'attesa (Drammatico, Italia, Francia, 2015): Un film bello ma senza cuore, questo "The Wait", plasmato da una capacità stilistica che diventa maniera e raffredda ogni cosa, anche l'ottima prova della sempre bellissima Juliette Binoche (anche con le rughe certo). Uno spunto che, partendo da un testo Pirandelliano, sembra un remake di "Sotto la sabbia" di Ozon, privo tuttavia del pathos che il collega francese riesce a creare. L'attesa (che tutto finisca) dello spettatore è, diciamo e infatti malamente ripagata dal fatto che chiunque capirebbe l'epilogo della storia, che quando ha bisogno di coinvolgere sfuma nel thriller, ma la scena migliore (la processione religiosa) finisce per diventare fine a se stessa (come tanti movimenti e immagini). Certo, questo è comunque un film ben diretto, ben recitato, ma puro esercizio stilistico del collaboratore di Sorrentino, Piero Messina che purtroppo, prende da lui solo gli aspetti negativi (qualche fighettismo di regia, uno slow motion insistito, una musica ruffiana e una inquadratura virtuosistica solo per ricordarci che stiamo vedendo un "film d'autore"), con in più un'evoluzione dei personaggi alquanto finta e irritantemente fredda, nonostante una storia che comunque poteva e doveva emozionare. Ma essa non fa, giacché si può abbellire quanto si vuole (come mettere due attrici francesi che parlano nella loro lingua), ci si può girare intorno all'infinito, ma l'indubbia (spero migliorabile) bravura tecnica del regista mostra una bella forma ma dal contenuto esile ed una freddezza di fondo che il film paga soprattutto a livello di attenzione. Siamo nei territori della mattonata, girata bene quanto si vuole, ma sempre mattonata rimane. Una mattonata in cui nonostante la brava Juliette Binoche e la bella Lou de Laâge ce la mettano tutta per portare sangue e carne alla narrazione, poco o nulla funziona. Voto: 5

The Lesson: Scuola di vita (2014)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2017 Qui - The lesson: Scuola di vita (Drammatico, Bulgaria, Grecia, 2014): Prendendo ispirazione dal cinema dei fratelli Dardenne, i registi bulgari raccontano in questo film la mutazione dei concetti di onestà e giustizia in base all'influenza del temibile spettro della crisi economica. Quella soprattutto della protagonista (l'insegnante di inglese Nadja) che in difficoltà a rimborsare un finanziamento, giunge a considerare la possibilità di accettare più di un compromesso, proprio mentre a scuola vorrebbe gestire nel modo più deciso ed educativo possibile un caso di furto verificatosi tra studenti. Una storia quindi impegnata, ma essa, complice il lento ritmo generale, viene tirata troppo per le lunghe, e quindi pochino e personalmente indigesta. Non mancano piccole occasioni per sorridere, ma è il modo crudo ed estremamente veritiero che costruiscono il tutto per creare un film volto a narrare una storia amaramente realistica che non convince, anche se buona la partenza, asciutta e senza orpelli, ma qualche dubbio in fatto di coerenza si insinua però abbastanza presto, a partire dalla strana situazione familiare di Nadja. E se non v'è dubbio che l'insegnamento morale della vicenda induce a considerare con attenzione in quali contesti sociali maturano certi reati, contesti di difficoltà che potrebbero prima o poi coinvolgere chiunque, è invece molto meno chiaro l'approfondimento psicologico dei personaggi e delle relazioni tra loro, tratteggiate invero con una certa bidimensionalità. Certo alla fine è un film con buoni spunti ma a mio parere largamente disomogeneo, anche se è comunque da apprezzare come buona occasione di vedere un'opera proveniente da un paese il cui cinema non è quotidianamente sui nostri schermi e con una protagonista, Margita Gosheva, interessante e misurata, inseguita con il noto pedinamento in semi-soggettiva. Anche se esso proprio non basti per consigliare una visione. Voto: 5,5

The Incredible Burt Wonderstone (2013)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2017 Qui - The Incredible Burt Wonderstone (Commedia, Usa 2013): Mi ero tempo fa ripromesso di recuperare questo film e l'ho fatto, ma sinceramente pensavo di divertirmi di più considerando che fanno parte del cast alcuni attori comici "importanti" più qualche aggiunta come il mitico Steve Buscemi. La storia raccontata dal regista è infatti piuttosto ordinaria, senza grande enfasi comica e poco spigliata sia come narrazione che come ritmo. Ma per assurdo il problema principale di questo film su dei prestigiatori è proprio che manca la magia, quella bellissima sensazione che per esempio si ha uscendo dal cinema con la mente che ancora vola in alto. Invece The Incredibile Burt Wonderstone come alcuni prodotti contemporanei è insipido in maniera imbarazzante e la sceneggiatura è meccanica e senza anima, anche se questo non è un brutto film, solo non pienamente riuscito, perché poteva dare di più in termini irriverenza e comicità, cosa che bene o male ha mantenuto per la prima metà del film. L'incipit e l'idea è difatti carina (come appunto la prima parte), ma essa viene mal sfruttata, trattando in maniera abbastanza banale i soliti temi tipici della commedia americana. Nella seconda parte infatti, il film si affloscia mettendo sul campo temi quali l'amicizia e l'amore che rendono il tutto troppo mieloso. Gli attori poi abbastanza anonimi (con l'aggiunta degli sprecati James Gandolfini e Olivia Wilde), un istrionico Steve Carell e un'egocentrico ed antipatico Jim Carrey, si salva un po' Steve Buscemi che alcune volte però pecca in manierismo mentre Alan Arkin è l'unico che merita gli applausi. Anche per questo la pellicola riesce sufficientemente a rendersi abbastanza gradevole ma decisamente al di sotto delle potenzialità espresse. Si può perciò dare un'occhiata senza tanto impegno, ma non aspettatevi granché. Voto: 5,5

Home of the Brave (2006)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2017 Qui - Home of the Brave (Drammatico, USA, Marocco, 2006): Diretto da Irwin Winkler, molto più bravo come produttore che come regista, questo film drammatico ci mette un po' ad ingranare la marcia e, quando lo fa, non ingrana comunque mai la quinta, semmai la seconda, senza riuscire mai a coinvolgere. Abituati alle mega-produzioni hollywoodiane questo film infatti non convince pienamente nelle ricostruzioni delle scene di guerra per mancanza evidente dei mezzi necessari ma decidendo di seguire le vicende umane di quattro reduci giunge a delle considerazioni interessanti, senza scivolare in giudizi di parte, né patriottici né pacifisti. Jessica BielSamuel L. Jackson e 50 Cent (a cui ci aggiungiamo un piccolo cameo di Christina Ricci) offrono sì una pregevole interpretazione ma il tipo di narrazione e la fotografia (sempre piuttosto piatta) fanno somigliare tale titolo ad un film per la televisione, il che spiegherebbe solo in parte la scelta di dirottarlo sul mercato home-video (infatti è arrivato in Italia moltissimo tempo dopo), poiché il regista, che non poteva disporre forse di una sceneggiatura migliore, si affida a uno stile troppo ridondante ed effettato, sottolineando spesso l'ovvio. Più che altro sembra un manuale sui disordini post-traumatici da esperienza bellica con tutto il corollario di situazioni, il tizio che beve, quello violento, quello perso, eccetera. Insomma stereotipi e cliché a manetta e se ci aggiungiamo che la regia fatica ad entrare in simbiosi con questi personaggi, quasi nulla emoziona o appassiona. Voto: 5

The Sea Wall (2008)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2017 Qui - The Sea Wall (Drammatico, Francia, Cambogia, 2008): Arrivato leggermente (chissà perché) fuori tempo massimo, questo film che riprende nuovamente il romanzo di Marguerite Duras "Una diga sul Pacifico", è davvero un film artificioso e inconcludente nonché poco appassionante, seppur la storia (storicamente vera) di una donna francese che nell'Indocina del 1931, vive con i due figli, che lotta sia contro la burocrazia corrotta del paese dove ha scelto di vivere, sia contro l'ineluttabile e prossimo distacco dai figli, così male non è. Ma la regia del regista cambogiano Rithy Pahn è leggermente ridicola, forzata come il film stesso che, irrita per colpa di Gaspard Ulliel, certamente intriga (solo un topless però) per l'allora esordio della bella Astrid Berges-Frisbey (bravissima sette anni dopo in Alaska), un po' esaspera per l'ambigua protagonista Isabelle Huppert e che infine, sia musicalmente che narrativamente parlando, annoia e si perde spesso in dialoghi (nonostante l'epoca che giustifica in parte ciò) assurdi ed allucinanti. La storia e le situazioni infatti prendono delle strane pieghe e risvolti imbarazzanti. Insomma davvero poca roba e niente di salvabile. Voto: 5

Mississippi Grind (2015)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2017 Qui - Mississippi Grind (Drammatico, Usa 2015): Ben Mendelsohn (Black Sea e tanti altri) interpreta un uomo preso dal gioco d'azzardo compulsivo, cosa che lo ha rovinato nella vita e continua (egoista sempre) a rovinarlo. Una sera però al tavolo da poker incontra un misterioso e fascinoso uomo (Ryan Reynolds, moltissimi altri) che sembra dotato dell'incredibile potere di riuscire sempre ad azzeccare ogni tipo di scommessa. Venuto a sapere di un grande incontro di poker a New Orleans, il giocatore compulsivo convince il nuovo amico ad andare con lui, l'uomo è indebitato, e vede la situazione come l'occasione per rifarsi. Sarà un lungo (ed estenuante) viaggio, e, come da tradizione per molti road movie, molti saranno i temi affrontati (purtroppo non tutti approfonditi in modo efficace), su tutti appunto quello del (più volte bastardo) gioco d'azzardo ma anche, direi, dell'amicizia, però in modo superficiale e non sempre convincente. Colpa di una storia troppo semplice, largamente prevedibile, lungamente statica, banale e semplicemente noiosa (personalmente intendo). Buona anche se disfunzionale la musica blues di sottofondo, sufficiente l'interpretazione degli attori protagonisti (seppur entrambi sottotono) ma davvero mediocre è la resa finale. Poiché questo film in sintesi può essere considerato "la noia" fatta a pellicola. Voto: 5