Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/05/2017 Qui - Era da tanto che non vedevo un film horror di livello e che un po' mi sorprendesse, Man in the dark (film del 2016 scritto e diretto da Fede Alvarez) infatti mi ha sorpreso in positivo e, vedendo anche diverse pellicole simili, credo sia di un livello nettamente superiore. La tensione e la suspense sono garantite per tutta la durata della pellicola, a più riprese poi determinate situazioni fanno rimanere lo spettatore proprio con il fiato sospeso (più che adatto, a questo proposito, il titolo originale come da poster, Don't Breathe). Poiché questo è un film intenso, vivace, violento che intrattiene benissimo trasmettendo la necessaria tensione nello spettatore. Un thriller dal soggetto originale, che gestisce con perizia, fin quasi alla fine, tensione e colpi di scena a ripetizione, non c'è un attimo di tregua e fino alla fine non si sa chi la spunterà, il ritmo è altissimo tanto che quando tutto sembra fermo, in realtà, è l'opposto, poiché da un secondo all'altro tutto potrebbe accadere, mentre se c'è azione lo spettatore viene letteralmente travolto. Nonostante lo ammetto, l'inizio del film e/o guardando il trailer e/o leggendo la trama, non prometteva nulla di buono, tanto che sembrava alquanto banale. La premessa difatti non è nulla di eccezionale, un gruppo di ragazzi che per vivere (e poter finalmente abbandonare la loro situazione familiare insopportabile) deruba le abitazioni e che credendo sarà tutto facile deruba un cieco che, rimasto così in seguito a una ferita, ha incassato un risarcimento a molti zeri dopo il tragico incidente in cui ha perso l'unica figlia. Poi però, man mano che la vicenda si addentra nel cupo del suo dramma, e del thriller che si annida lungo un intreccio piuttosto galvanizzante (che riserverà forti emozioni, sorprese, momenti di tensione ed un ottimo finale), il pregiudizio sul film e sui luoghi comuni inizialmente sfruttati senza troppa inventiva, svanisce velocemente. Dato che i tre abbandonati i soliti (comunque giustificati) dubbi etici su un furto ai danni di una persona così vulnerabile, scopriranno che il solitario abitante della casa è tutt'altro che indifeso di fronte a un'intrusione, infatti la natura brutale dell'uomo (con un atroce segreto sulle spalle) ed un pericoloso rottweiler complicheranno di non poco la cosa.
L'uruguaiano Fede Alvarez, al suo secondo lungometraggio dopo il (discutibile per molti, non del tutto personalmente) remake di Evil Dead, e sempre per l'occasione sotto l'egida produttiva di Sam Raimi, sforna un thriller piuttosto concitato e tanto interessante, non certo verosimile, ma nessuno dovrebbe pretendere (troppa) credibilità dinanzi ad un film di genere. Ma grazie soprattutto a questo buonissimo thriller/horror che riserva anche qualche sorpresa nella parte finale, in una intelligente variante dell'home invasion, sicuramente diretta bene e sceneggiata ancora meglio, che il regista fa il colpaccio. Lui infatti dirige questo film (da gustarsi senza troppa pignoleria) di genere ambiguo, un po' più thriller ma comunque horror, che non percorre un rigido binario narrativo impedendo in questo modo di prevedere facilmente il destino dei protagonisti, in modo pressoché perfetto. Poiché il film, girato con un budget contenuto e in una Budapest come scenografia sostitutiva di Detroit, ha in sé un realismo d'eccellenza, di una violenza cruda (basti pensare che mettere in scena un pestaggio femminile è un'affermazione d'intenti decisa), per vivere da vicino la tremenda situazione in cui tutti i protagonisti sono coinvolti. Il film poi non scende mai nello splatter e riesce a spaventare bene tenendo sempre alta la tensione per tutto il film, senza quasi mai lasciare allo spettatore il tempo di prendere fiato. Grazie ad una messa in scena che tende i nervi, un meccanismo che apre varchi di luce e speranza per poi chiuderli ogni volta addosso allo spettatore. Un labirinto di soluzioni per la salvezza scartate via via che la mattanza procede. In questo senso merita di essere citata su tutte, per la sua particolarità, la scena (girata con una telecamera ad infrarossi) di caccia al buio nei sotterranei della casa, il film punta infatti molto sull'aspetto sonoro, oltre che visivo, i dialoghi tra l'altro sono pochi e a contare sono piuttosto i respiri, le urla, gli spari, le botte e le colluttazioni durante tutta la vicenda ambientata all'interno della casa.
Senza dimenticare tante altre scene (che ovviamente è meglio non dire a chi non ha visto) ricche di adrenalina, e perciò imperdibili per gli amanti del genere. In più ha una fotografia diretta all'essenzialità della visione, con movimenti di macchina semplici, senza virtuosismi, ma studiati, con la telecamera che sta sempre appresso ai personaggi e non abbandona mai l'abitazione, se non all'inizio e verso l'epilogo. Da segnalare anche l'attenzione al particolare in questo incredibile film, in cui il ritmo è piuttosto frenetico nonostante, come detto, il silenzio e i piccoli rumori la giocano da padroni. Costruito tutto intorno al personaggio potente, muscolare (ma in crescendo) di un vecchio Rambo cieco ma per nulla arrendevole o innocuo, Man in the dark si avvale soprattutto (per rendersi estremamente efficace) della preziosa e funzionale, carismatica presenza di un grande caratterista (a volte un po' sottovalutato, ma non da me) come Stephen Lang (già attore nel famoso Avatar), perfetto per la parte dell'uomo dell'oscurità (quello insomma che fa da collante del film, con una interpretazione molto fisica e insieme espressiva), oltre che di un giovane attore in ascesa come Dylan Minnette (Piccoli Brividi), già visto in molte produzioni hollywoodiane (e Netflixiane) e di altri due giovani interpreti, Jane Levy (la scassinatrice Rocky), che aveva già recitato nel precedente film di Alvarez La Casa e Daniel Zovatto (lo scassinatore Money), presente in It Follows. Ma è soprattutto Lang, spietato e più duro che mai, acuto nei sensi e nell'ingegno, dalla moralità malsana che non accetta gli sgarbi che la vita gli ha riservato, il migliore, ma anche il cane non scherza affatto, braccio armato del padrone di casa, protagonista di un paio di sequenze niente male, è decisamente fantastico.
Senza dimenticare tante altre scene (che ovviamente è meglio non dire a chi non ha visto) ricche di adrenalina, e perciò imperdibili per gli amanti del genere. In più ha una fotografia diretta all'essenzialità della visione, con movimenti di macchina semplici, senza virtuosismi, ma studiati, con la telecamera che sta sempre appresso ai personaggi e non abbandona mai l'abitazione, se non all'inizio e verso l'epilogo. Da segnalare anche l'attenzione al particolare in questo incredibile film, in cui il ritmo è piuttosto frenetico nonostante, come detto, il silenzio e i piccoli rumori la giocano da padroni. Costruito tutto intorno al personaggio potente, muscolare (ma in crescendo) di un vecchio Rambo cieco ma per nulla arrendevole o innocuo, Man in the dark si avvale soprattutto (per rendersi estremamente efficace) della preziosa e funzionale, carismatica presenza di un grande caratterista (a volte un po' sottovalutato, ma non da me) come Stephen Lang (già attore nel famoso Avatar), perfetto per la parte dell'uomo dell'oscurità (quello insomma che fa da collante del film, con una interpretazione molto fisica e insieme espressiva), oltre che di un giovane attore in ascesa come Dylan Minnette (Piccoli Brividi), già visto in molte produzioni hollywoodiane (e Netflixiane) e di altri due giovani interpreti, Jane Levy (la scassinatrice Rocky), che aveva già recitato nel precedente film di Alvarez La Casa e Daniel Zovatto (lo scassinatore Money), presente in It Follows. Ma è soprattutto Lang, spietato e più duro che mai, acuto nei sensi e nell'ingegno, dalla moralità malsana che non accetta gli sgarbi che la vita gli ha riservato, il migliore, ma anche il cane non scherza affatto, braccio armato del padrone di casa, protagonista di un paio di sequenze niente male, è decisamente fantastico.
Certamente non mancano le situazioni eccentriche e al limite del grottesco, come quella relativa alla esuberante ed esibita "fertilità" del nostro "vecchio", in un paio di scene grottesche, ma anche in fondo piuttosto inquietanti, che è bene "gustarsi" (si fa per dire) durante la visione, piuttosto che farsele raccontare qui, ma nonostante ciò e nel complesso, senza esser troppo pignolo (l'obiettivo della pellicola è infatti quello di creare tensione e far rimanere lo spettatore con gli occhi incollati alla schermo, e in questo ci riesce benissimo), anche nei confronti delle scene finali, dove si tende ad esagerare e dove nessuno sembra voler infliggere il "colpo di grazia" (provocando perciò diverse scene ripetitive e surreali), questo è un thriller davvero eccezionale, come non se ne vedono molti, tanto che realmente trasmette tensione (che cresce come la suspense, a buona tenuta per un'impresa criminosa che pare in discesa, ma si rivela più ardua di una scalata su roccia viva e perpendicolare) e ti fa rimanere con il fiato sospeso. Man in the Dark insomma è davvero un prodotto (che non perde tensione con il passare dei minuti, capace di rinnovarsi scena dopo scena, in cui ci si diverte, grazie anche ad un paio di colpi di scena dislocati durante la visione che non ti aspetti) ben realizzato, tanto che alla fine tutto questo gioco del gatto con i topi riesce e il sentimento che prevale è quello di pietà per l'orrore della brutalità che incombe e viene attuata sia dai ragazzi che dal veterano. Non si capisce infatti di chi siano le colpe nel film, tutti sono colpevoli e allo stesso tempo vittime, sta allo spettatore volere giudicare i protagonisti, per delimitare il confine che c'è tra il bene e il male. E non è affatto facile decidere, anche se in ogni caso questa pellicola mi è piaciuta molto, perché è veramente ben fatto ed è assolutamente da vedere, soprattutto dagli amanti del genere, che apprezzeranno di più l'originalità di questa agghiacciante, ma straordinaria, pellicola. Voto: 7,5