sabato 16 marzo 2019

Alaska (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/05/2017 Qui - Alaska, film del 2015 diretto da Claudio Cupellini, è un melò in pieno stile, una storia d'amore tirata e disperata sospesa tra Parigi, Milano e l'Alaska, anche se quest'ultima è solo il nome di un locale frequentatissimo. Ma dietro un titolo che suscita sogni, magia e desolazione, il film del regista di Una vita tranquilla (con Toni Servillo) è un'opera che si tinge da favola nera e moderna, non priva dell'inevitabile lieto fine romantico. Una love story improvvisa e improvvisata, uno spaccato particolarmente elegante, ma allo stesso tempo brutale e privo di fronzoli di quegli amori che bruciano nel fuoco della loro stessa passione. L'incontro tra Fausto (Elio Germano) e Nadine (Astrid Berges-Frisbey), che avviene così per caso in un hotel di Parigi, dove lui (che sogna di diventare maître) fa il cameriere in un hotel di lusso, mentre lei giovane e bella si presta svogliatamente a provini nel mondo della moda, è difatti l'incontro tipico delle anime violente e particolarmente inclini all'autodistruzione, che nella figura di Nadine si manifesta come una sorta di passivismo e inappagamento, mentre in quella di Fausto in una sfrenata ambizione e aggressività. Tra i due c'è però il fil rouge della purezza del primo vero grande amore, che come tutti i primi veri gradi amori è privo delle meschine bassezze che spesso si ritrovano in quei matrimoni consumati dalle menzogne e dalla noia, o in quelle relazioni che si trascinano per un'inerzia che nel tempo si trasforma nella più torpida indifferenza, in questo film non c'è nulla di tutto ciò, il tradimento di Nadine, così come il furto dei 30000 euro di Fausto, la loro separazione, così come i loro crimini (e le loro  molte disavventure che li porteranno tra la galera e l'ospedale, tra la ricchezza e l'estrema indigenza, tra Francia e Italia flirtando con il crimine come fosse niente e rovinando vite altrui), tutto viene compiuto con una sorta di infantile impulsività, di passione senza filtri, che non viene nascosta, ma che anzi viene ottimamente evidenziata dall'interpretazione dei 2 attori, sono infatti 2 figure che si attraggono in maniera inevitabile anche quando tentano di respingersi e che trovano completezza nella loro unione.

In effetti è proprio questa la sensazione che ho avuto, soprattutto nella prima mezz'ora e nella parte finale del film, essi si svincolano dalla caratterizzazione primitiva del personaggio e acquistano una connotazione differente come coppia, svincolandosi al di sopra della trama stessa. Una trama che ha i capovolgimenti improvvisi di un feuilleton ottocentesco, ma in un contesto urbano, metropolitano, nell'oggi più urlato. È un film che mette in scena tutto il suo essere cinema che romanza la realtà, tirando per i capelli fatti e misfatti come solo il cinema (francese soprattutto, dato che la produzione è doppia) sa fare. Un film sicuramente anomalo (nei contenuti e nella forma) nel panorama generalmente piatto e conforme dell'attuale cinema italiano (la coproduzione d'oltralpe insomma si vede e si sente), dato che il film, con una confezione da noir e una storia d'amore che puzza di thriller, ci tiene incollati allo schermo, inoltre il film sa dove e come rilassarsi ma anche come riprendersi, come nel finale che ci fa (ri)prendere fiato prima di lasciarci. Un finale che ho apprezzato, anche se il mio giudizio da questo punto di vista è piuttosto di parte, in quanto la suggestione romantica dell'attesa del vero amore trova in me un terreno abbastanza fertile. Credo tuttavia sia un film che trovi una certa accoglienza soltanto in alcune "personalità" (e ci tengo ad usare precisamente questo termine), nel senso che non è un film trasversale in primis perché ben poco commerciale e poi perché in effetti, alcune sfaccettature della personalità dei protagonisti potrebbero essere ritenute superficiali o non apprezzate.


Ma in questo dramma pulsante e trascinante, che cerca di rappresentare quello che a chiunque potrebbe capitare, ovvero, perdere la felicità, cercandola, la peculiarità e, personalmente ritengo, la grandezza del film stesso è la rappresentazione più spontanea della realtà, la relazione di Fausto e Nadine risulta profondamente umana, incurante di premurose protezioni di un ideale d'amore favolistico. Ed è in questo senso che il film risulta violento e profondamente inquieto. Il tutto reso magistralmente da una caratterizzazione dei personaggi imparziale, quasi (come detto) che il regista si renda semplice cronista di fatti. E alla fine, il confusionario e ricco canovaccio di crudi sentimenti che si propone durante tutta la pellicola, si globalizza in un messaggio chiarificatore, forte tanto da risultare quasi tracotante, l'inevitabilità dell'incontro di due anime. Si ha l'idea di una predestinazione all'unione, che si manifesta durante tutto il film nella latenza di un'attesa eterna. Ed è probabilmente questa la vera favola. Una favola che nonostante alcuni buchi di sceneggiatura (dialoghi un po' lenti in alcune situazioni, alcuni personaggi che potevano essere a mio avviso curati un po' meglio e una serie di altre piccole e passabili imperfezione), è tanto intenso quanto bello. Un film pieno di pugni allo stomaco e scene tenere, una fotografia livida e un ritmo serrato. Alaska è infatti un film di grande impatto sia sugli occhi che sulle orecchie dello spettatore, bella la tagliente fotografia e aggressiva la gracchiante colonna sonora, che non esita a suscitarci fastidio come gli altalenanti neon dell'insegna di un locale pop.
Ovviamente è fondamentale l'apporto di tutti gli interpreti (bravissimi entrambi i due protagonisti che recitano in francese e italiano), Elio Germano conferma ancora una volta di essere un attore di bravura impareggiabile, al suo fianco genuina e mai ridondante Astrid Berges-Frisbey (che avevo già avuto modo di apprezzarla anche in I Origins e credo sia estremamente talentuosa nonché bellissima) e un Valerio Binasco che convince e si concede un silenzioso monologo armato che impressiona. Insomma, Alaska di Claudio Cupellini, che racconta soprattutto la necessità di raccontare l'individualismo esasperato della nostra epoca, l'anaffettività che la governa e la flagella, il senso di appartenenza a qualcosa/qualcuno praticamente estinto (lo sbando di un mondo moralmente alla deriva, incapace di arrestare la sua folle corsa verso l'autodistruzione), è un film fuori dal coro (come spesso ultimamente succede), ma ben vengano di film come questo a smuovere le acque del cinema italiano. Una pellicola di una passione amorosa ostinata e irragionevole a perdifiato, tra baci ansimati e nasi sanguinanti, porte sbattute e vetri rotti. Un storia d'amore che regge al passare del tempo, di quegli amori che andrebbero fino in capo al mondo, forse fino in Alaska, appunto. Perché questo film, che se non si è capito a me è piaciuto, è un film davvero bello, anche struggente ed emozionante ma soprattutto da vedere e consigliare. Un film romantico, drammatico ed umano, ma soprattutto coinvolgente. Voto: 7