Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/05/2017 Qui - Un "non dimenticare di ricordare" doloroso, estremo, metaforico, estremamente metaforico. E' Remember, l'ultimo film (del 2015) di Atom Egoyan, presentato in concorso alla 72a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia dello stesso anno, che ha poi ricevuto anche una nomination per il Miglior film straniero al David di Donatello 2016, un film bellissimo, un thriller davvero sorprendente e straordinario. Mi aspettavo infatti, anche per colpa del tema e dell'assunto, un buon film storico sull'olocausto o giù di lì, girato da un regista che sa comunque il fatto suo e con un cast di attori della terza età, che come il vino, invecchiando migliorano. Mi trovo invece a dover scrivere di un film molto al di sopra della media che rimarrà impresso nella memoria e nei ricordi (mai titolo fu più profetico) di chi l'ha visto. Il regista difatti costruisce un labirinto della mente, un thriller storico, una vendetta personale, una ricerca delle radici del male, superbo e straordinario. Sorretto da un Chistopher Plummer magnifico e da un Martin Landau altrettanto profondo, il film di Egoyan ha infatti lo spessore del vero capolavoro. Una partita a scacchi per veri intenditori, dove tattica e strategia si intersecano a genialità sino giungere ad un inaspettato scacco matto. Ma il film non è solo questo, si presta a svariati piani di lettura, il bene ed il male intrecciati indissolubilmente, l'uomo e le problematiche esistenziali, l'imprevedibilità della vita e quella della storia del mondo, la precarietà dell'esistenza, la ricerca disperata e disperante del senso della vita, morale ed etica non sempre chiare, banalità del male e talvolta del bene. Sembrerebbe troppo per un film e finirebbe per renderlo superficiale ed inefficace, ma in questo caso con rara (per i nostri tempi) genialità drammaturgica in quest'opera si realizza senza didascalismo di maniera, ma con una tecnica raffinata che conduce ad una "maieutica" (ovvero tramite il metodo socratico, un metodo dialettico d'indagine filosofica basato sul dialogo) lo spettatore, suo malgrado e senza forzarlo.
Qualcosa di davvero eccezionale, soprattutto se inaspettato, dato che la vicenda parte in tono un po' scanzonato, prosegue in modo apparentemente bislacco e maldestro, per poi svelare nel suo finale le vere carte di un piano machiavellico geniale e sconvolgente (ma dannatamente giustificato). La vicenda dell'anziano Zev, che sta lentamente perdendo la memoria per via del morbo di Alzheimer, e del suo miglior amico Max, che fanno un patto per dedicare i loro ultimi giorni a risolvere un conto in sospeso, rintracciare il comandante nazista responsabile della morte delle loro famiglie (ad Auschwitz) ed esigere vendetta. E poiché Max è troppo fragile per lasciare la casa di riposo, fisicamente più compromesso del nostro uomo, ma cerebralmente molto più lucido del protagonista, Zev è costretto a intraprendere da solo il viaggio che lo porterà al cospetto del loro ex aguzzino, seguendo un piano preciso (da tempo condiviso con il suo amico infermo che gli anche scritto una lettera per ovviare alle sue amnesie sempre più frequenti che lo colpiscono) che prevede di rintracciare un uomo, o meglio ben quattro persone che portano le stesse generalità (sotto il falso nome di Rudy Kurlander), per verificare ed appurare chi dei quattro è il gerarca nazista sopravvissuto ai processi e alle condanne in seguito alla caduta del regime nazista.
Comincia così il suo peregrinare, con treni, bus, taxi, e munito di pistola, reagisce con violenza e rapidità ad un'aggressione di un nazista convinto, figlio di uno degli indiziati, morto precedentemente e comunque escludibile, che alla vista dei numeri tatuati sul braccio, lo insulta chiamandolo "sporco ebreo" e avventandoglisi contro. Con Max quasi sempre presente per via telefonica, e il figlio che lo cerca (perché sparito senza motivo) tramite gli ospedali e la polizia, Zev comincia ad essere un po' affaticato dal continuo entrare e uscire dalla sua memoria e dalla sua identità oltreché dagli spostamenti. Giunge così a quello che dovrebbe essere l'ultimo incontro, che per correttezza e non rovinare una meritata visione non svelerò, ma sappiate riserverà non poche sorprese, dato che si scoprirà una scioccante, spiazzante e agghiacciante verità. Una verità sconvolgente per un thriller studiato alla perfezione ed eccezionalmente gestito, d'altronde Atom Egoyan ed il thriller vanno spesso a braccetto, e notevole è stato, soprattutto in passato, l'approccio dell'autore verso questo genere, circostanza che ha permesso e permette al bravo autore di sviscerare le sue ossessioni più pressanti.
La maniacalità e la perversione incontrollabili e letali insite nell'uomo (vedere Exotica su tutti), l'innocenza della gioventù, che a volte si trasforma in peccaminosa ed eccentrica tentazione verso gli istinti più inconfessabili, la mostruosità che vive all'interno dell'uomo e che lo spinge a perpetrare eccidi e stragi senza pietà e senza remore alcune (le stragi degli ebrei o degli armeni, di cui Ararat dice qualcosa di lui che, nato da genitori armeni, ha emigrato con la propria famiglia in Canada dall'età di tre anni). Le sue ossessioni si diceva, lui che dopo un decennio un po' sottotono (il mediocre Chloe: Tra seduzione e inganno l'esempio perfetto), e subito dopo il discreto Devil's Knot: Fino a prova contraria, ma soprattutto dopo quel deludente (personalmente parlando) The Captive: Scomparsa, che ci ha restituito un autore comunque notevole con tutte le sue ossessioni, è tornato a grandi livelli. Dato che, con questo thriller bizzarro e molto costruito, lambiccato e quasi inverosimile, che peraltro affronta un tema (la caccia ai nazisti sopravvissuti e scappati alla detenzione e ai processi) già trattato da opere letterarie e cinematografiche a volte di gran valore, sorprende, coinvolge e rivela una realtà angosciante. Difatti, l'elemento rivelazione di un'altra realtà fa parte della cifra di Egoyan, anche se questa volta il tema della ricerca e della vendetta poteva bastare proprio per evitare il sospetto di una strumentalizzazione della tragedia della shoah ai fini di un racconto, condotto anche nelle percezioni sonore (e una giusta colonna sonora), con il tono del thriller. Ma a rendere il film, a tutti gli effetti curioso e molto in linea e coerente con la cinematografia dell'autore, un'opera riuscita ed efficace (ed eccezionale nonché imperdibile), contribuiscono molto gli attori "maturi" che compongono il cast, Christopher Plummer, straordinaria la sua prova attoriale, confuso a tratti fino all'ambiguità, e incredibilmente deciso e violento in altri momenti, e Martin Landau, ma pure Bruno Ganz e Jurgen Prochnow. Insomma tanta roba per un film bellissimo, una storia incredibile, un thriller superlativo. Voto: 8