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venerdì 30 agosto 2024

The Dirt: Mötley Crüe (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/08/2024 Qui - Focalizzato sulla vita personale dei membri del gruppo, tra piaceri sfrenati e tragedie intense, il film non esplora a fondo l'elemento musicale del quartetto, limitandosi a brevi cenni. La narrazione delle trasgressioni "hard & heavy" è esplicita, rendendo la visione adatta esclusivamente agli adulti. Sebbene sia divertente e sicuramente coinvolgente per i fan della band (non io tra questi), il film non riesce a delineare completamente l'esistenza di un gruppo che ha segnato, in positivo e in negativo, la storia del "rock and roll" della sua era. Vi è più della pura euforia, e questo aspetto risulta carente. Voto: 5,5 [Netflix]

venerdì 19 luglio 2019

Mary Shelley - Un amore immortale (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/06/2019 Qui
Tema e genere: Tra biopic storico e dramma romantico/sentimentale in costume, il film si presenta come un'opera biografica atipica prendendo in esame una parte di vita specifica di Mary Shelley. Il film infatti, copre un arco di tempo che va dal primo incontro di Mary con Percy fino alla pubblicazione del Frankenstein, avvenuta nel 1818, e quindi si svolge tutto in funzione della storia tra i due.
Trama: Com'è ovvio, la pellicola perciò narra della relazione amorosa tra Mary e il poeta Percy, e gli anni successivi al loro travagliato rapporto, fino alla creazione da parte della Shelley del romanzo "Frankenstein".
Recensione: Dopo l'imperdibile La bicicletta verde, la regista saudita Haifaa al-Mansour torna a parlare di donne coraggiose con la storia d'amore tra la scrittrice Mary e il poeta Percy Shelley. Le vicende narrate vanno dalle origini dell'amore tra i due fino al 1818, anno della pubblicazione del capolavoro letterario Frankenstein, o il moderno Prometeo. Un altro dramma tutto al femminile, che fa della lotta per i diritti della donna il fulcro della sua narrazione, ma se la storia della piccola Wadjda in La bicicletta verde commuoveva per la freschezza con cui trattava anche il tema del femminismo in un contesto complesso come quello dell'Arabia Saudita, con Mary Shelley la regista confeziona un biopic in salsa romantica che le fa compiere invece un grosso passo falso. Conosciamo la giovane protagonista dall'animo inquieto ma sensibile in piena ribellione adolescenziale: affascinata dall'eredità di una madre scrittrice, colta ed emancipata ma troppo prematuramente scomparsa, la sedicenne Mary viene mandata dall'amorevole padre (editore e scrittore anch'esso) in Scozia, per un periodo di riflessione lontano dal caos londinese. Le buone premesse s'infrangono però con l'entrata in scena del bello e maledetto Percy Shelley, che in un attimo sembra trasformarla in un burattino in balia della pubertà. Dopo una fuga d'amore alquanto rocambolesca la giovane donna si traveste improvvisamente da anticonformista e femminista in cerca della rivendicazione dei suoi diritti. Presentato al Festival di Toronto e al Torino Film Festival, Mary Shelley gode certamente di un fascino indiscutibile, ma è raccontato secondo modalità convenzionali. Se la prima parte del film mostra il percorso di crescita di Mary e le sue relazioni personali, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso, e del suo legame con Percy Shelley, quasi sprofondando in un teen drama vero e proprio, è la seconda parte che riesce a rendere veramente l'idea di cosa ci sia dietro la realizzazione di Frankestein, o il moderno Prometeo. Il genio, l'anticonformismo, la lungimiranza e l'universalità. Ma anche e soprattutto la fermezza nel contrastare il bigottismo, lo smarrimento, i preconcetti. Peccato che il film si perda spesso nel didascalismo e che non si assuma nessun coraggio indagatorio oltre i confini della convezione narratologica, senza arrischiare di indagare più a fondo il preciso contesto scientifico come il galvanismo, i pensieri e le contraddizioni interiori di una giovane donna, che sono quelli anche di un giovane, suo malgrado, mostro. Siamo insomma lontani anni luce dalla profondità con cui nel ben più riuscito film precedente la regista abbracciava una riflessione sulla libertà dell'essere umano e sul suo desiderio di felicità: in Mary Shelley tutto sembra puntare sull'anticonvenzionalità di una donna "contro", la cui ribellione poggia su basi troppo fragili per essere credibile agli occhi dello spettatore. Le note più interessanti che escono da Mary Shelley – Un amore immortale (lezioso il sottotitolo italiano) sono il contrasto tra il desiderio di vivere un amore oltre le convenzioni sociali e la cupa realtà di un rapporto difficile, anche se il fulcro del film si concentra sul bisogno di trovare la propria ispirazione e su come la sofferenza nella vita possa fare da motore al processo creativo di un romanzo. Sul finale (sicuramente la parte più vitale e ritmata), il film di Haifaa al-Mansour fa coincidere la ricerca d'affetto e la solitudine della Shelley con la famosa creatura del suo romanzo, in un'operazione meta letteraria e cinematografica non troppo originale. Alla fine l'impressione generale è però quella di un film parecchio debole, dalla scrittura poco fluida e fin troppo schematico per temi e stili proposti. Male, ma non malissimo, ed è già tanto.

giovedì 30 maggio 2019

Loving Vincent (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/07/2018 Qui - Mentirei se dicessi di aver già visto qualcosa di simile, perché certo, non è una novità assoluta fare un film di animazione nello stile del rotoscoping, ci pensò il maestro Akira Kurosawa in "Sogni" ispirato proprio alla vita di Van Gogh, parecchi anni fa, ma in Loving Vincent, film d'animazione britannico-polacco del 2017, diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, questa tecnica, questo insolito seppur non rivoluzionario stile, è applicata brillantemente (con esiti affascinanti, di certo non scontati) per narrare una storia dando realmente vita ai quadri di Van Gogh, più o meno famosi, offrendo così un grande piacere per gli occhi (e non solo, e anche a chi di arte si interessa poco come me, che tuttavia ha trovato bello ed interessante il documentario Raffaello: Il principe delle Arti), anche se dopo i primi minuti estasianti, poi, alla lunga, finito l'effetto "meraviglia", l'interesse (seppur rimanga per questo un buonissimo prodotto) scema un po', anche perché in verità l'effetto piacevole e particolare, dello schermo che si trasforma in un'immensa tela dove vigorose pennellate dalle ruggenti cromie compongono le varie scene, in cui colori e i continui tratti di pennello "vivacizzano" le immagini, essi possono a volte confondere la vista e risultare, alla lunga, stucchevoli. Tuttavia davvero incredibile e sorprendente è questo biopic anticonvenzionale, forse uno dei film più complessi della storia del cinema degli ultimi anni. Loving Vincent (l'espressione con cui Van Gogh terminava le numerose lettere all'amato Fratello Theo, lettere su cui regista e co-regista hanno preso ispirazione per il film, lettere che non a caso sono il motore della trama) è infatti stato girato con attori veri, quindi recitato, poi il montato delle riprese è stato dato ad una troupe di 125 artisti che ha dipinto a olio ognuna delle 65.000 inquadrature nello stile del pittore Vincent Van Gogh. E così ogni attore del cast, composto (tra gli altri) da Aidan TurnerHelen McCrorySaoirse RonanDouglas Booth e Jerome Flynn, è divenuto un vero e proprio modello per questi artisti, costituendo di fatto la base da cui partire per dipingere, in ogni singolo fotogramma, i protagonisti della pellicola tratti dalle tele più note. Un film che per questo, sembra ed è, un'infinita quanto splendida successione di capolavori, un susseguirsi di scene e personaggi che tutti, anche i meno appassionati di storia dell'arte, non possono fare a meno di riconoscere. Dando perciò vita ad un'esperienza visiva incredibile e sorprendente.

sabato 30 marzo 2019

Jupiter Ascending (2015)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/09/2017 Qui - Jupiter Ascending (Fantascienza, Usa 2015): Un film alquanto deludente l'ultima opera dei fratelli Wachowski (Lana e Lilly), i creatori di Matrix. Essi ormai sono in evidente calo, e si vede soprattutto per la mancanza di idee, non siamo ai livelli di quella schifezza di Speed Racer, ma è un film con una sceneggiatura molto approssimativa, poco originale e decisamente banale. La classica storia di lei (umile umana) che non è nessuno ma in realtà è speciale, i classici cattivi (dominatori della terra e dell'universo) che vogliono distruggere tutto, i classici buoni (salvatori della terra e dell'universo) che vogliono evitare tutto, le classiche scene d'azione dove si salverà sempre per un millisecondo, la classica storia d'amore improbabile e il classico lieto fine. Praticamente il film si riassume così, e ha qualche spunto riflessivo, ma fatto molto male e trattato in modo superficiale. Non mi sento di stroncarlo completamente, dato che riesce in maniera parziale ad intrattenere, le scene d'azione sono veramente ben fatte e gli effetti speciali di ultima generazione non potevano che essere ottimi, ma seppur visivamente ineccepibile manca però di sostanza, palesando poca originalità e poca inventiva. Inoltre come già sottolineato la linearità narrativa è un po' deficitaria, tutto viene spiegato sommariamente e con poca incisività. In più il cast (comprendente anche Douglas Booth e lo sprecato Eddie Redmayne) è nettamente insufficiente dove si salva solo Sean Bean (seppur inutile è il suo personaggio), i due protagonisti poi (Mila Kunis e Channing Tatum) non si integrano nella complicata ragnatela della storia dove appunto si notano vistosi buchi. In conclusione le due ore passano con qualche difficoltà, la prima parte è più che buona ma le troppe scene d'azione durano anche troppo e portano una noiosa seconda parte, tanto che nonostante esso appaia comunque sufficientemente godibile, è meglio evitare. Voto: 5+

giovedì 28 febbraio 2019

PPZ: Pride + Prejudice + Zombies (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/02/2017 Qui - Da un film intitolato PPZ: Pride + Prejudice + Zombies (Pride and Prejudice and Zombies), come il famoso romanzo di Seth Grahame-Smith, seguito di quello originale (di Jane Austen, un classico della letteratura, molto più famoso), è lecito aspettarsi qualcosa di grottesco, trash e delirante. E invece in questa roba che stento a definire "film" l'unica cosa a regnare sovrana è la noia. Il film, del 2016 scritto e diretto da Burr Steers (sconosciuto e mai sentito), si prende dannatamente sul serio, non diverte e gli zombi sono davvero poco presenti. La regia è piattissima a dir poco, non da spessore a niente, né alla classica storiella d'amore (che comunque paradossalmente funziona), né alla componente delirante, né ai personaggi che, arti marziali a parte, sono un pigrissimo copia/incolla degli originali del romanzo della Austen, come la trama del resto. Ci si aspetta infatti che il regista, che è anche sceneggiatore, lavori maggiormente sull'aspetto propriamente horror che invece rimane confinato a scene poco significative e mai topiche. La presenza dei morti viventi non intacca né deforma l'andamento degli eventi. Il regista si lascia maggiormente sedurre dal testo della Austen, di cui ripropone pedissequamente dialoghi e situazioni, anche se rappresenta le giovani protagoniste come fanciulle capaci di tirare di spada, imbracciare fucili e pistole accantonando l'uncinetto e i ricami a piccolo punto. Tra scene simile kung fu e seduzioni amorose del tutto scollate le une dalle altre, il regista privilegia le seconde. Darcy si dichiara all'amata Elizabeth secondo il più classico dei cliché ammettendo che di tutte le armi che esistono al mondo, l'amore è la più pericolosa. Niente a che vedere con la brutalità zombie.

giovedì 24 gennaio 2019

Romeo & Juliet (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/09/2016 Qui - Romeo & Juliet è l'ennesima trasposizione (come se fosse ancora necessaria) di una delle più note ed appassionanti tragedie Shakespeariane, la storia d'amore più bella di tutti i tempi (anche se io non sono mai stato d'accordo con questa affermazione visto il finale). Ovviamente il film che ripropone questo celeberrimo dramma, presenta alcuni piccoli adattamenti in quanto liberamente tratto dall'opera originale. La pellicola del 2013, infatti, diretta da un regista italiano Carlo Carlei, e sceneggiata dal premio Oscar Julian Fellowes (Gosford Park) riprende alla base il romanzo, forse troppo dato che sembra di assistere ad una pièce teatrale (quasi musical) e non ad un film, ma certe piccolissime innovazioni introdotte nella vicenda stonano un pochino. Questo perché la sceneggiatura invece di soffermarsi alla narrativa e al modo di appassionare e coinvolgere è più attenta alla superficie formale e dunque indotta verso una trasposizione troppo di maniera ed estetizzante.  E dunque va bene, fino ad un certo punto, puntare sulla bellezza ultraterrena di attori ed attrici, anche se Hailee Steinfeld appare più appassionata e coinvolta (più che in Ten Thousands Saints) che il solo unicamente appariscente suo partner-bambolotto Douglas Booth, che al contrario pare impegnato unicamente a sfilare in passerella, ma poi la contesa tra due famiglie che rende irraggiungibile il sogno di un amore assoluto che sostituisce i capricci e le naturali ritrosie giovanili, si svilisce in una mera vuota fiera della vanità e del capriccio. In ogni caso la regia è diretta e rappresentata in maniera egregia ma solo l'ambientazione cinquecentesca con delle pregevoli location è l'unico elemento ad elevare un film altrimenti piatto, in cui tutti gli elementi dell'opera di Shakespeare, poetici, ironici o drammatici, risultano semplificati e banalizzati.

martedì 16 ottobre 2018

Posh (2014)

Mini recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/11/2015 Qui - Posh: Un gruppo di studenti (interpretati da Max Irons, Sam Claflin e Douglas Booth più Holliday Grainger e Natalie Dormer) ammessi a Oxford entrano nel club accademico più esclusivo, il Riot (che accoglie solo dieci membri destinati a "diventare delle fottute leggende"). Il film (del 2014) descrive l'ambiente sociale di una upper class spocchiosa e arrogante, convinta che il proprio posto nel sistema di caste che ancora oggi caratterizza la società inglese sia frutto di un disegno divino. La storia culmina in una lunghissima cena in cui i fraternity boys si divertono a mangiare, bere, tirare di coca, umiliare le ragazze presenti e diventare elementi di sempre maggiore disturbo per gli altri avventori e per il proprietario del locale, incarnazione perfetta (sempre secondo loro) della mediocrità borghese che verrà preso a bastonate, ma grazie al loro ceto riusciranno ad evitare dei guai, senza però pentirsi. Mi aspettavo molto di più, nessuna scena 'importante', i figli di papà non cambieranno mai. Spocchioso. Voto: 5,5