venerdì 19 luglio 2019

Mary Shelley - Un amore immortale (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/06/2019 Qui
Tema e genere: Tra biopic storico e dramma romantico/sentimentale in costume, il film si presenta come un'opera biografica atipica prendendo in esame una parte di vita specifica di Mary Shelley. Il film infatti, copre un arco di tempo che va dal primo incontro di Mary con Percy fino alla pubblicazione del Frankenstein, avvenuta nel 1818, e quindi si svolge tutto in funzione della storia tra i due.
Trama: Com'è ovvio, la pellicola perciò narra della relazione amorosa tra Mary e il poeta Percy, e gli anni successivi al loro travagliato rapporto, fino alla creazione da parte della Shelley del romanzo "Frankenstein".
Recensione: Dopo l'imperdibile La bicicletta verde, la regista saudita Haifaa al-Mansour torna a parlare di donne coraggiose con la storia d'amore tra la scrittrice Mary e il poeta Percy Shelley. Le vicende narrate vanno dalle origini dell'amore tra i due fino al 1818, anno della pubblicazione del capolavoro letterario Frankenstein, o il moderno Prometeo. Un altro dramma tutto al femminile, che fa della lotta per i diritti della donna il fulcro della sua narrazione, ma se la storia della piccola Wadjda in La bicicletta verde commuoveva per la freschezza con cui trattava anche il tema del femminismo in un contesto complesso come quello dell'Arabia Saudita, con Mary Shelley la regista confeziona un biopic in salsa romantica che le fa compiere invece un grosso passo falso. Conosciamo la giovane protagonista dall'animo inquieto ma sensibile in piena ribellione adolescenziale: affascinata dall'eredità di una madre scrittrice, colta ed emancipata ma troppo prematuramente scomparsa, la sedicenne Mary viene mandata dall'amorevole padre (editore e scrittore anch'esso) in Scozia, per un periodo di riflessione lontano dal caos londinese. Le buone premesse s'infrangono però con l'entrata in scena del bello e maledetto Percy Shelley, che in un attimo sembra trasformarla in un burattino in balia della pubertà. Dopo una fuga d'amore alquanto rocambolesca la giovane donna si traveste improvvisamente da anticonformista e femminista in cerca della rivendicazione dei suoi diritti. Presentato al Festival di Toronto e al Torino Film Festival, Mary Shelley gode certamente di un fascino indiscutibile, ma è raccontato secondo modalità convenzionali. Se la prima parte del film mostra il percorso di crescita di Mary e le sue relazioni personali, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso, e del suo legame con Percy Shelley, quasi sprofondando in un teen drama vero e proprio, è la seconda parte che riesce a rendere veramente l'idea di cosa ci sia dietro la realizzazione di Frankestein, o il moderno Prometeo. Il genio, l'anticonformismo, la lungimiranza e l'universalità. Ma anche e soprattutto la fermezza nel contrastare il bigottismo, lo smarrimento, i preconcetti. Peccato che il film si perda spesso nel didascalismo e che non si assuma nessun coraggio indagatorio oltre i confini della convezione narratologica, senza arrischiare di indagare più a fondo il preciso contesto scientifico come il galvanismo, i pensieri e le contraddizioni interiori di una giovane donna, che sono quelli anche di un giovane, suo malgrado, mostro. Siamo insomma lontani anni luce dalla profondità con cui nel ben più riuscito film precedente la regista abbracciava una riflessione sulla libertà dell'essere umano e sul suo desiderio di felicità: in Mary Shelley tutto sembra puntare sull'anticonvenzionalità di una donna "contro", la cui ribellione poggia su basi troppo fragili per essere credibile agli occhi dello spettatore. Le note più interessanti che escono da Mary Shelley – Un amore immortale (lezioso il sottotitolo italiano) sono il contrasto tra il desiderio di vivere un amore oltre le convenzioni sociali e la cupa realtà di un rapporto difficile, anche se il fulcro del film si concentra sul bisogno di trovare la propria ispirazione e su come la sofferenza nella vita possa fare da motore al processo creativo di un romanzo. Sul finale (sicuramente la parte più vitale e ritmata), il film di Haifaa al-Mansour fa coincidere la ricerca d'affetto e la solitudine della Shelley con la famosa creatura del suo romanzo, in un'operazione meta letteraria e cinematografica non troppo originale. Alla fine l'impressione generale è però quella di un film parecchio debole, dalla scrittura poco fluida e fin troppo schematico per temi e stili proposti. Male, ma non malissimo, ed è già tanto.
Regia: La al-Mansour mette in scena un dramma in costume dall'aspetto un po' troppo melò, dai toni alle volte fanciulleschi e poco incisivi, non riuscendo del tutto a trasportare sullo schermo il temperamento passionale e distruttivo della burrascosa vita dei due amanti, volendo quasi alleggerire il peso di una storia travagliata e complessa, che forse le giovani spalle dei suoi ottimi interpreti non sarebbero riuscite a sostenere. La regista, probabilmente intimorita e frenata dalle aspettative di questo secondo lungometraggio, nonché prima opera fuori dal Medio Oriente, non lascia trasparire nella sua interezza l'indole indomita e ribelle della volitiva Mary, ma la dipinge mite ed edulcorata, donandole solo alla fine un contorno sfocato di emancipata risolutezza.
Sceneggiatura: Il racconto della al-Mansour è sin troppo lineare e si perde nell'allegoria del femminismo, generando una staticità ed una teatralità che ben si sposa con la scenografia, la fotografia e gli eccezionali costumi, ma ci regala davvero poco altro. Tutti questi aspetti devono infatti fare i conti con dialoghi banali e situazioni che riescono ad essere noiose per tutti i 90 minuti del film (tra futili discorsi tra poeti e compositori, e tante bottiglie di vino), nonostante si vadano raccontando le emozionanti (almeno in teoria) avventure dei principali esponenti della seconda generazione romantica. Elementi non da poco, cui si aggiungono vuoti narrativi che rendono poco chiari alcuni passaggi e, soprattutto, una Mary inaccettabilmente ridotta a poco altro che i propri ormoni, costretta a subire un'ingiusta e intollerabile semplificazione del suo ruolo di scrittrice, in favore di un lungo, noioso ed evitabile dilungarsi di sguardi languidi e scambi di battute imbarazzanti. Ed è proprio l'adattamento della sua dimensione di autrice a risultare indigesto più di ogni altra cosa, soprattutto considerando che una gestazione complessa come quella del Frankenstein viene scandita in poche fasi goffamente allineate (e inframmezzate da inutili lirismi). L'interesse di Mary per la scienza e il tema della vita e della morte vengono invece raccontati in maniera a dir poco imbarazzante, con un apice raggiunto nel momento dell'esperimento home made realizzato da Shelley. Meglio indubbiamente si poteva fare.
Aspetto tecnico: Fotografia eccellente, musiche azzeccate, attenzione ai costumi e discrete interpretazioni.
Cast: Nonostante l'affresco poco efficace del suo personaggio, l'intensa Elle Fanning riesce comunque a dar vita alla giovane Mary in cerca dell'indipendenza attraverso la scrittura, e a sostenere egregiamente il duello amoroso con il bravo Douglas Booth, alternando languidi sguardi da cerbiatto adorante a rabbuiati momenti di sofferenza provocati dalla disdicevole condotta dell'oggetto dei suoi desideri. Selvaggio e maledetto è il Lord Byron del capace Tom Sturridge e ingenuamente sprovveduta è la Claire interpretata da Bel Powley. Nei panni di William Godwin l'ottimo Stephen Dillane (noto al grande pubblico come Stannis Baratheon de Il trono di spade, malgrado la copiosa carriera cinematografica) e, relegata nel ruolo marginale di Isabel Baxter (personaggio non all'altezza della sua bravura), la ormai amatissima star de Il trono di spade Maisie Williams.
Commento Finale: Melò d'epoca dall'atmosfera e dai toni ovattati, messo in scena con eleganza e con una regia elementare e discreta, Mary Shelley: Un amore immortale si premura (soprattutto nel primo atto) di raccontare forse un po' troppo didascalicamente le fasi adolescenziali della Shelley e la sua love story con Percy, tratteggiando superficialmente personaggi e situazioni. Pur con un'immagine curata, il film diretto da Haifaa al-Mansour si appoggia maggiormente su stilemi da film televisivo di poco respiro cinematografico. Ambientato tra Inghilterra, Scozia e Svizzera (che rappresentano le tappe della difficoltosa e travagliata gioventù della scrittrice), il film pare non decollare quasi mai, incapace di trovare una propria precisa linea di racconto che riesca ad appassionare e a togliere la patina da film freddo e con molti momenti di stanca. Su una sceneggiatura che fatica a brillare, ci si appoggia alla bella prova di Elle Faning nei panni di una giovane Mary Shelley (di cui l'attrice restituisce la passione e l'irrequietezza) e a quella di un sufficiente ma meno efficace Douglas Booth nel ruolo di Percy, ma non basta. Comunque pur non convincendo, il film ha il merito di farci conoscere un pilastro della letteratura nelle sue debolezze, contraddizioni, come attraverso la sua determinazione e passione. Un ritratto complessivamente coerente delle vicissitudini della scrittrice e della donna, dedicando la giusta attenzione al contesto in fin dei conti borghese in cui si trovò a vivere. Gli aspetti più prettamente filmici, tuttavia, mancano del quid che avrebbe potuto rendere Mary Shelley un film realmente godibile. Il salto di qualità non viene fatto, peccato.
Consigliato: Se si vuol sapere qualcosa in più sull'autrice è senza dubbio, nonostante tutto, consigliabile, se già la si conosce ma si vuol approfondire un po' è ugualmente consigliabile, tuttavia abbassate di parecchio le attese, soprattutto se rientrate nella lista (peggio se no invece), perché è ben poca cosa.
Voto: 5