mercoledì 17 luglio 2019

Il sacrificio del cervo sacro (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/06/2019 Qui
Tema e genere: Presentato in concorso al Festival di Cannes 2017, dove ha vinto il Prix du scénario, premio che viene assegnato alla miglior sceneggiatura dei film presentati in concorso nella selezione ufficiale, il film è un thriller drammatico che riprende alcuni elementi del mito greco del sacrificio di Ifigenia.
Trama: Un carismatico chirurgo è costretto a fare un sacrificio impensabile quando la sua esistenza inizia a cadere a pezzi a causa del comportamento sempre più sinistro e misterioso dell'adolescente che ha preso sotto la sua ala protettiva. Il processo sarà dilaniante e le conseguenze gravi.
Recensione: Si ricompone la coppia regista/interprete Yorgos Lanthimos e Colin Farrell di The Lobster, in un film che in comune con il precedente ha il senso del "weird", del mistero soprannaturale nascosto tra le sue pieghe, e un senso dell'estetica cinematografica molto lineare e pulito. Il regista infatti, punta nuovamente tutto sul racconto distopico dallo stile straniato, algido, nel quale i sentimenti vengono espressi rigidamente, il sesso consumato attraverso lo sguardo posato su corpi inerti e l'ipocrisia serpeggiante in ogni ambiente. Il regista infatti, facendosi aiutare dal ruolo centralissimo di una colonna sonora che procede a colpi di dissonanze, punta tutto su un'estetica raggelata che è il suo marchio di fabbrica. Ma stavolta l'esito del racconto (al contrario del bellissimo precedente), che per gran parte sembra quasi seguire una pista gialla, che quasi naufraga miseramente in un finale leggermente ridicolo, non convince. Non tutto difatti sembra filare, con momenti in cui il meccanismo di tensione crescente e di tragedia annunciata perde il ritmo, con pause che dilatano l'attesa. A proposito del finale, che svelare (seppur immaginabile dalla trama) non è corretto e pertanto si tralascia la parte conclusiva del film in cui si spiega chiaramente l'andamento dell'intera vicenda che prende spunto direttamente dalla tragedia classica di "Ifigenia in Aulide" di Euripide. Il regista Lanthimos, in pratica (come spesso gli capita, egli infatti non è un regista diretto, giacché tutte le sue opere vengono caricate di significati ed immagini ricercate per consegnare allo spettatore in maniera contorta il proprio messaggio e la propria concezione negativa sulla natura umana ingenerale), trasporta l'opera o, più precisamente, il concetto espresso dall'autore greco ai giorni nostri, caricandola di metafore, però, poco comprensibili perché occorrerebbe effettivamente conoscere bene il testo originale. Ed è un problema non di poco conto, perché le scene disperate di tortura fisica e psicologica, le patetiche strategie di sopravvivenza dei condannati alla "maledizione", i calcoli spietati di chi ha la responsabilità di prendere decisioni inumane si perdono in un catalogo di sgradevolezze che culminano nell'atroce roulette mortale, epilogo sadico ed ambiguo che lascia perplessi. Il sacrificio del cervo sacro vuole raccontare una tragedia moderna, quella di un uomo le cui certezze si sgretolano quando viene messo davanti alle conseguenze tragiche dei suoi errori, ma non emerge mai davvero la volontà di inscenare questa suddetta tragedia e resta solo un revenge movie che pur essendo ben orchestrato non è mai fonte di stimoli e suggestioni ma solo di reazioni effimere e contingenti. In tal senso non aiuta il perseguimento estenuante di una perfezione formale sempre più ricercata, che sempre più spesso ultimamente sembra far capolino tra i grandi indagatori morali dell'arte cinematografica mondiale, tra questi il regista, che è seguace ed erede. Formalità che è senz'altro assai ambiziosa, nel casting e nell'impianto di ogni singola scena, ognuno ci può vedere riferimenti, palesi o impliciti, a grandi autori, ma perlopiù soffocante.
Spietato teorema sulla crudeltà umana, il film di Yorgos Lanthimos è così una dimostrazione di intenti più che un'opera cinematografica, la cui perfezione formale occulta pesanti ambiguità morali e cinico opportunismo. Ma si salva parzialmente grazie a un cast funzionale allo scopo e non solo. Infatti, malgrado queste gravi ambiguità, The Killing of a Sacred Deer mantiene un certo fascino crudele e il merito, oltre alla comunque pregevole prima parte, va innanzitutto alle interpretazioni del cast nella sua integralità, uno su tutti il ragazzo protagonista. Perché certo, non appena il dramma si svela, l'operazione è meno convincente, perché certo, questo film non è cinema allegorico, né parrebbe cinema antropologico o sociale, e quindi le ambizioni del regista sembrano essersi ridimensionate ma, come ogni cambiamento, anche questo può essere giudicato come meglio si crede, anche perché è arduo parlare in maniera categoricamente negativa di un lavoro che segue comunque una costruzione chirurgica della trama ed una direzione artistica maniacale. Una costruzione che ribadisce la visione pessimistica sugli uomini del regista, una visione sicuramente interessante, ma c'è di meglio.
Regia: Nel complesso le scene sono tecnicamente ben girate (sebbene molte di esse riprendano quelle di altri registi, su tutti Stanley Kubrick) e l'andamento della storia risulta ben scandito e lineare ma il regista "pecca" grandemente di astrusità e di una complessità eccessive da svilire la propria pellicola e renderla soltanto gratuitamente pretenziosa. Yorgos Lanthimos ragiona nuovamente sui concetti di colpa e restituzione utilizzando la variante classica dell'home invasion, ma il suo cinema mortifero e post-umano (questa volta) lascia perplessi. Yorgos Lanthimos conferma la sua estetica narrativa in pieno, ma il risultato finale non convince del tutto, lasciando delusi e pieni di domande non risposte gli spettatori.
Sceneggiatura: Scoperte le carte, il film si comporta come un classico home invasion, solo camuffato dietro volute di fumo estetico soffiate dall'unico fuoco che brucia qui, quello dell'autocompiacimento. Ovviamente i meccanismi di genere vengono oleati benissimo dal regista egli stesso sceneggiatore insieme al suo fedele scudiero Efthymis Filippou, a forza di paradossi, fatti inspiegabili, dialoghi grevi e quintali di sadismo. Niente di male visto il tema e la trama, ma decisamente opinabili sono i premi ricevuti dalla pellicola per la sua sceneggiatura, per me non del tutto meritevole.
Aspetto tecnico: Le ambientazioni sono efficaci, la fotografia anche, mentre per quanto riguarda la musica, a volte dissonante e comunque con acuti assordanti, l'utilizzo può dividere tra estimatori e denigratori, come me, seppur non sempre, giacché qui in ogni caso il suo effetto fa.
Cast: Fulcro recitativo del film è il giovane Barry Keoghan (Dunkirk) che ruba la scena al quasi inanimato Colin Farrell e alla cristallizzata Nicole Kidman. Anche gli altri giovani interpreti sono più convincenti degli adulti, Sunny Suljic e Raffey Cassidy (la piccola di Tomorrowland) su Bill Camp e Alicia Silverstone.
Commento Finale: Pur rispettando i giudizi di critici e professionisti del settore, per me questo non è un film digeribile (o almeno non in tutto). Va bene il grottesco, il surreale, ma qui siamo di fronte ad una trama immersa nella realtà, un film che vorrebbe coinvolgere per la sua tensione drammatica, e non si può permettere il lusso di avere uno snodo narrativo fuori da ogni logica. Tuttavia, e nonostante abbia apprezzato i precedenti lavori (uno visto) del regista, soprattutto The Lobster (un piccolo gioiellino), e nonostante mi trovo un po' perplesso su questo film che semplicemente non mi è del tutto piaciuto, il suddetto è girato bene, è coraggioso e non è da cestinare in toto. Tanto che, nonostante questa prova così così continuerò a seguire il regista, La Favorita infatti mi attende.
Consigliato: Se amate il regista greco è consigliabile vederlo, altrimenti meglio lasciar perdere. E tuttavia regista a parte, questo non è un film per tutti, quindi occhio ed orecchio nella scelta che vi spetta o vi potrebbe spettare.
Voto: 5,5