Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/04/2019 Qui - Delphine, una scrittrice di successo, firma autografi e dediche sulle copie di suoi libri a una sfilza di fan adoranti, in una libreria. Lei però è sfiduciata, depressa, in crisi, creativa e personale. E così quando una di questi fan, la giovane Elle le si avvicina con fare suadente e anche sensibile, lei cede alle sue insistenze da stalker cortese (ma non meno invadente). Pian pian entrerà nella sua vita, con modi sempre più decisi: per darle una mano, come assistente di fiducia, a uscire dal suo "blocco" e tornare a scrivere. O per avere qualcosa da lei? Per Delphine, sempre più fragile e in balia di Elle (che scrive anch'essa, ma per altri, come ghost writer) che è entrata nella sua vita (e, letteralmente, nella sua casa), è sempre più difficile capire cosa le stia succedendo. Non si può dir molto, dei tanti fatti e colpi di scena che si susseguono in quello che è a tutti gli effetti un thriller anche se con i consueti tratti personali e autoriali. Roman Polanski ha riempito la sua sterminata filmografia di personaggi e situazioni ambigue come quella raccontata in Quello che non so di lei, tratto dal romanzo di Delhine DeVigane: un titolo un po' scontato e meno accattivante di quello originale D'après une histoire vraie (ovvero, "da una storia vera"). Che Elle sia manipolatrice e non racconti la verità, lo spettatore lo intuisce subito. Molto prima della protagonista, provata dal successo e dalla vita (con un marito distante e distratto e figli grandi che non la chiamano mai). E dall'intreccio tra arte e vita, tra fatti raccontati e fatti reali che si dipana parte la vicenda (e sembra derivare l'interesse morboso di Elle per la scrittrice), con quel romanzo che racconta fatti privati della sua famiglia che le procura l'attenzione del pubblico per la sua "sincerità" ma anche accuse e perfino lettere anonime.
Il problema è quando il meccanismo, condotto brillantemente con i toni dei suoi classici mistery esistenziali cupi e angoscianti (inutile citarli), lascia il posto, nell'ultima parte ambientata in una casa di campagna, a un thriller classico, con le convenzioni e anche i cliché del genere. Niente di male, ma da un autore come Polanski (indubbiamente uno degli ultimi grandi autori viventi) ci si aspetta sempre di più. Qui abbiamo due grandi attrici come Emmanuelle Seigner ed Eva Green, capaci di rendere credibile un gioco a due intrigante e minaccioso al tempo stesso. Ma la struttura, così affascinante nella prima parte che lascia aperte molte riflessioni efficaci sulla letteratura (quanto incidono gli eventi vissuti su quanto si racconta) e sui rapporti di dipendenza tra persone, disperde le tante premesse e promesse iniziali in un finale abbastanza dimenticabile (lo script tende infatti a divagare nelle battute finali, evidenziando anche una certa confusione, cercando di giungere ad un colpo di scena allo stesso tempo prevedibile ed esagerato), per un film pregevole dal punto di vista tecnico e che rimane comunque impresso appunto per le due interpreti ma che ha anche le caratteristiche inconfondibili dell'opera minore. Un'opera che non offre guizzi particolari, né forti emozioni, né elementi originali. La tematica (le inquietudini di un artista, le "impasse" del processo creativo, le conseguenze pericolose del successo) è stata difatti vista già sullo schermo varie volte e questo film non pare aggiungerle molto. Egli prova infatti a costruire un thriller psicologico, con sussurri, suggestioni e sospetti, creando quell'atmosfera sottilmente perversa, in bilico fra realtà e incubo che ha sempre caratterizzato i suoi lavori, sin dagli esordi, tuttavia l'impresa stavolta non gli riesce completamente. Questo film del 2017 è difatti leggermente pilotato e scialbo. Vero è che forse l'intento dell'autore non è quello di regalarci una storia logica ma quello di entrare il più possibile nel profondo dei suoi personaggi, ma è altrettanto vero che è lo stesso regista ad imboccare una strada forse un po' troppo contorta per essere gestita al meglio. Quello che non so di lei in definitiva si mostra un film sufficiente, a tratti anche affascinante, ma a cui manca quel mordente tipico del Polanski (l'ultimo suo film che avevo visto era il più che convincente Carnage, dove funzionava tutto a meraviglia, a cominciare dalla costruzione dei personaggi, qui non tanto) che ben conosciamo. Voto: 6