domenica 30 giugno 2019

Tutti in piedi (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/06/2019 Qui
Tema e genere: Commedia romantica che tratta la disabilità in modo politicamente scorretto (forse troppo scorretto).
Trama: Jocelyn, un uomo d'affari misogino ed egoista all'apice del successo, si ritrova suo malgrado a dover sedurre una giovane e bella donna facendosi passare per disabile. La situazione gli sfuggirà di mano quando costei gli presenterà sua sorella, realmente disabile.
RecensioneFranck Dubosc dirige un'opera prima garbata, ma inciampa in episodi di comicità spicciola e snodi romanzati fino all'esasperazione. Tutti in piedi fatica e arranca, uscendo più volte fuori binario. Una storia intima dietro la scintilla della sceneggiatura: Dubosc debutta con Tutti in piedi, aggrappandosi a uno spaccato di vita quotidiana, una madre malata, la sua, inferma e impossibilitata a compiere il minimo degli spostamenti. La miccia si innesca qui, da una premessa quanto più onesta e sentita. Nasce l'idea di una pellicola sull'idea di differenza, non sociale o culturale, ma fisica: una narrazione sugli ostacoli del corpo. Vengono abbozzati i personaggi di Jocelyn (Franck Dubosc), seduttore e bugiardo incallito, e Florence (Alexandra Lamy), violinista sulla sedia a rotelle, se ne tratteggiano contorni e limiti. Al cuore della vicenda, una bugia: l'uomo finge di essere disabile, inscena una nuova vita per tedio, l'ebbrezza di mascherarsi e credersi altro, conquistare l'universo femminile. Cerca di entrare nelle grazie di Julie, giovane donna disoccupata, ottiene un pranzo in famiglia con lei, nella campagna francese. È qui che conosce Florence, in carrozzina dopo un incidente stradale, viene risucchiato nel gorgo dal suo carisma. Tutti in piedi sfocia presto nel didascalismo: frasi insapori, discorsi inzeppati di retorica da cui il regista cerca di svicolare con battute fulminanti. Dubosc prova ingenuamente a offrire nuovi spunti a un genere già rodato e consumato dalla tradizione recente, cadendo in sermoni camuffati e litanie già sentite. Un limite che svela un'operazione riuscita a metà, spesso traballante, mal digeribile. La comicità convince forse più quando rispolvera lo slapstick, sottogenere comico ormai secolare: gag semplici e immediate sulle difficoltà del protagonista a muoversi in carrozzina, a calarsi davvero in una realtà a lui lontana. Sono questi i pretesti narrativi che permettono l'apertura di squarci improvvisi, oltre l'assuefazione della quotidianità: è il corpo, in tutte le sue limitazioni, a diventare centro e unico nucleo possibile. Se è vero che le migliori opere riescono nel momento in cui sono in grado di offrire discorsi solidi e personaggi che resistano allo spettatore, che lo spiazzino e disorientino (pur mantenendo coerenza, fascino e coesione), Dubosc manca apertamente il bersaglio. Una narrazione telefonata, lo sbrogliarsi del filo non fatica a palesarsi con allarmante velocità. Figure primarie e secondarie a volte dipinte in maniera nevrotica, al limite del bozzettistico, offuscano quello in cui più l'opera convince: l'orchestrazione delle voci attoriali (brilla su tutti Alexandra Lamy), semplicità nel veicolare messaggi, leggerezza e tatto nel muoversi in territori complessi e minati. Poco credibile il repentino cambio di atteggiamento del personaggio maschile. Il messaggio che Tutti in Piedi vuole comunicare è che chi è condannato a rimanere seduto ci appare diverso, ma in realtà non lo è, retorico, anche nell'altro senso.

Regia: Giocare con la disabilità e il politicamente scorretto non è semplice e richiede o un cinismo spietato o una delicatezza poetica al di sopra della media. Altrimenti, la scivolata nella volgarità o nello stucchevole è inevitabile. Franck Dubosc si distrae a disegnare personaggi di contorno spesso inutili (il fratello) o troppo macchiettistici (la segretaria) finendo per perdere il disegno nella sua totalità, andando troppo spesso a vuoto e, fatto ancora più grave, non riuscendo a strappare neppure un sorriso stirato.
Sceneggiatura: Questa commedia romantica è anche scritta, e non solo diretta e recitata da Franck Dubosc, una commedia che però funziona poco nella parte comica e meglio in quella romantica (più o meno). La comicità di Dubosc è infatti banale e spesso con i tempi sbagliati, mentre il lato più malinconico (pur non brillando per originalità, anzi) ha dalla sua la capacità di andare a toccare le corde sentimentali universali e, di conseguenza, di creare una maggiore empatia, anche se è tutto fin troppo positivo, la realtà è purtroppo ben diversa.
Aspetto tecnico: Nostalgica, potente e romantica, si fa notare soprattutto la colonna sonora del film, con musiche originali di Sylvain GoldbergEmilien Levistre e Xiaoxi Levistre, ma nient'altro è particolarmente evidenziabile.
CastAlexandra Lamy è energica e radiosa, riesce a mediare con efficacia quel misto di paura (di essere tradita e restare delusa) e al contempo forza e fiducia in se stessa che è rappresentato dal personaggio di Florence. Non male neanche tutti gli altri, dallo stesso Dubosc a Elsa Zylberstein.
Commento Finale: Una commedia con gag un po' troppo semplici per far ridere un pubblico in cerca di una commedia intrigante e sembra percorrere uno schema prevedibile, anche se via via si rivelerà meno scontata del previsto, con un messaggio fin troppo chiaro (contro una visione "paternalista" dei disabili e "maschilista" dei rapporti uomo-donna) e con il mentitore spudorato che per la prima volta si innamora chiamato a redimersi, ma con il rischio di imparare una dura lezione. E se figure di contorno (come l'amico medico, la sorella di Florence o la segretaria dal cuore tenero) sono solo abbozzate e si appoggiano unicamente alle capacità degli interpreti, il personaggio di Florence introduce un tasso di serietà a una vicenda non priva di scontatezze. Solo in parte riequilibrate da un finale in cui il (presunto) divertimento lascia sempre più spazio alla "morale" della storia, in una commedia garbata ma non memorabile, anzi.
Consigliato: Sì e no, i protagonisti sono (più o meno) convincenti, ma il film in sé è davvero troppo leggero e a tratti smaccatamente positivo. 
Voto: 5,5