domenica 30 giugno 2019

Happy End (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/06/2019 Qui
Tema e genere: Selezionato per partecipare al concorso del Festival di Cannes 2017, senza portare a casa niente, e selezionato per rappresentare l'Austria ai premi Oscar 2018 nella categoria Oscar al miglior film in lingua straniera, senza riuscire a rientrare nella cinquina finale, Happy End, che segna il ritorno di Michael Haneke dopo anni di assenza, è un film drammatico che indaga tra i rapporti affettivi e/o anaffettivi dei membri di una famiglia della buona borghesia francese, descrivendone le sofferenze, le depressioni, i desideri di morte, e scoprendone le perversioni. Ognuno della famiglia ha infatti una sua sofferenza profonda più o meno palese.
Trama: I Laurent sono una ricca famiglia borghese che vive a Calais. L'anziano patriarca Georges, stanco persino della vita, ha ceduto la gestione dell'azienda familiare alla figlia Anne, che deve fronteggiare le conseguenze di un grave incidente occorso ad uno degli operai. Il fratello di lei, Thomas, è un medico stimato che deve dividersi tra la figlia di prime nozze, la sua seconda moglie e l'amante. Parallele ad una quotidianità che impone loro impegni, ruoli e funzioni, si sviluppano le vicende personali dei familiari, ciascuno con i propri corsi (e ricorsi) esistenziali.
RecensioneHappy End, come detto, segue le vicende della ricca famiglia dei Laurent: sotto l'apparente immobilismo e perbenismo, covano le tensioni, i segreti ed i disagi tipici della famiglia secondo Haneke. Il regista torna a raccontare le vicende della borghesia, con il consueto stile distaccato ed oggettivo. Il tono del film è infatti piuttosto freddo, distaccato, i passaggi molto lenti, la fotografia è esteticamente pregiata, i temi trattati sono quelli classici dell'autore austriaco. I personaggi sono quindi e sostanzialmente anaffettivi e apatici, il male e la violenza che ne consegue non è esibita, ma suggerita e fatta appena intravedere, ma è come sempre centrale, nei lavori del regista austriaco, declinato fra famiglie disfunzionali, avvolte da un nichilismo esasperato, i bambini, non sono innocenti, gli adulti sono cinici, Eve a chiusura del film aiuta il nonno a suicidarsi, peraltro lo stesso nondimeno, con candore confessa, di aver aiutato la moglie a morire. Attraverso una narrazione frammentaria, il regista prova a comporre così il mosaico di una storia familiare, tra disagi esistenziali e vizi vari, scheletri nell'armadio, che conviene lasciare lì. L'assemblaggio dei tasselli è solo parzialmente riuscito, alcune figure restano in ombra, sostanzialmente tagliate fuori dal nucleo della storia, tuttavia gli spunti di riflessione sono tanti. I social media, diventano più protagonisti degli attori stessi, in particolare i servizi di live streaming e messaggistica istantanea, che in più di un'occasione sono il mezzo attraverso cui si segue la narrazione, l'elemento fondamentale è lo schermo, quello di un cellulare, di un tablet, o di un computer. Haneke ci mostra come il monitor filtrandole, annulla le emozioni: l'uccisione del criceto o quella della madre, diventano azioni quasi normali, nel passaggio alla dimensione digitale, la realtà virtuale fa perdere la valenza emotiva, con l'inserimento di frasi, caption, emoticon. L'occhio del regista sembra voler testimoniare e stigmatizzare, l'arrivo di un nuovo livello oscuro, della realtà. La questione migranti sembra un'appendice, relegata in calce alla storia non riesce a farne parte, poco integrata al narrato, cosi come la questione umanitaria. Film perciò diradato, lento, a tratti perfino snervante ed estenuante, ma che malgrado questi limiti, costituisce un'opera degna d'interesse ed originale.

Regia: Come ogni autore, Michael Haneke ci immerge nel suo universo tematico e stilistico (temi e sotto-temi tipici della sua filmografia): una famiglia borghese, dei protagonisti glaciali, campi lunghi, piani-sequenza, totale assenza di musica. Tutti mezzi impiegati per evidenziare (e bene) la cruda realtà quotidiana: il "marchio Haneke" è inconfondibile, merito anche della fotografia, impeccabile come sempre.
Sceneggiatura: La pellicola si muove su un doppio binario: da un lato, una borghesia isolata nel proprio sfarzo, dall'altro, il mondo, che segue le sue logiche. Non tutto sembra integrato alla perfezione, ma indubbiamente il piano d'insieme funziona. Perché certo, il tema sul rapporto con i media è affrontato in modo un po' forzato (difficile immaginare una ragazzina tanto insensibile di fronte a certe scene di morte), ma la metafora della crisi del Mondo occidentale, della cultura europea e della famiglia fa presa.
Aspetto tecnico: Già detto della fotografia, tutto il resto è ugualmente impeccabile, anche se la totale assenza di musica a volte è controproducente.
Cast: Haneke ci mostra, con il consueto distacco, tutte le tensioni dei Laurent. Ottiene grandi interpretazioni da tutti gli attori. Bravissima Isabelle Huppert, glaciale direttrice e figura cardine della famiglia, ma buonissime sono anche le prove di Jean-Louis Trintignant e della piccola Fantine Harduin, l'alfa e l'omega dei Laurent. L'anziano e la ragazzina sono gli unici a mostrare una certa umanità, i soli con i quali è possibile una, seppur minima, immedesimazione. Certo, restano pur sempre personaggi hanekiani, a tratti indecifrabili ed inquietanti. A parte loro, il film tratteggia in maniera caricaturale gli altri personaggi, che somigliano più ad un club che ad una famiglia (tra questi Mathieu Kassovitz).
Commento Finale: In verità ci si aspettava qualcosa in più, forse perché il maestro austriaco ci ha abituati (forse troppo bene) ad opere più rigorose e, per certi versi, anche più complesse, ma seppur la caratterizzazione dei personaggi pare talvolta forzata, e una carente integrazione degli spunti narrativi tolgono incisività al film, il suddetto è comunque tecnicamente di grande livello. Suddetto sicuramente da vedere, certamente non perfetto, ma comunque riuscito e di buon impatto, che, probabilmente, sconta l'unica colpa di venire dopo due opere del calibro de Il nastro bianco e Amour.
Consigliato: Sì, a chi conosce il cinema di Haneke, e a tutti gli altri che dovrebbero invece conoscerlo.
Voto: 6+