Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/06/2019 Qui
Tema e genere: Presentato al Sundance Film Festival (nel 2018), Hereditary - Le radici del male è un dramma familiare dalle tinte cupe diretto da Ari Aster, al suo primo lungometraggio.
Tema e genere: Presentato al Sundance Film Festival (nel 2018), Hereditary - Le radici del male è un dramma familiare dalle tinte cupe diretto da Ari Aster, al suo primo lungometraggio.
Trama: In vita, Ellen (nonna tanto amata quanto odiata da sua figlia) si dedicava a misteriose pratiche spiritiche. Con la sua morte, la famiglia inizia a fare esperienza di una serie di eventi terrificanti, e sfuggire all'oscuro destino che da lei hanno ereditato non è facile.
Recensione: Si fa fatica oramai a contare quanti film horror escono ogni anno, di horror mascherati da film drammatico, o viceversa, ancora di più, così come quelli a tema possessione demoniaca. Hereditary – Le radici del male però (un film senza dubbio particolare), è altro, è un film molto ambizioso, con elementi magari che non funzionano al meglio, ma che sicuramente porta una ventata d'aria nuova al genere. Dalla trama e dal trailer si potrebbe pensare infatti alle classiche storie di case infestate da spiriti, fantasmi e, quindi, tornano alla mente tanti film simili degli ultimi anni. Non è un caso che il film abbia tutti gli elementi che caratterizzano il genere: una famigliola all'apparenza felice ma con qualche segreto di troppo, una morte improvvisa (quella della nonna, in questo caso) che costringe i protagonisti a scavare nel loro passato, perfino una casa isolata in mezzo al bosco. Ma come detto, questa non è la classica storia, il classico film del suo classico genere. Soprattutto perché rifugge i cliché e abbandona il Jumpscare (o lo riprende solo in piccole dosi) a favore invece dell'atmosfera, del disagio, dell'eleganza della messa in scena dark, del tema, sbattendo in faccia allo spettatore senza problemi citazioni svariate e un certo autocompiacimento. Certo, l'inizio, la storia, si apre come al solito presentandoci il delicato equilibrio familiare: una nonna invadente in modo inquietante, una coppia di nipoti non perfettamente integrati, due genitori che provano a tenere in piedi questo precario castello di carte. Certo, l'improvvisa dipartita della nonna darà il via (presumibilmente) a una serie di accadimenti che porterà terrore e scompigli nei protagonisti, in una spirale che a tratti più che il tema horror sembrerà sfiorare il filone sfiga estrema. Ma è proprio da qui che il film comincia a percorrere vie sempre più imprevedibili ed inquietanti, colpendo dritto allo stomaco ed affascinando. Sì perché intriga e avvince lentamente quest'ipnotica opera prima del giovane regista statunitense Ari Aster, reputata dalla critica uno dei migliori film horror della stagione 2018. Un'opera dall'aspetto angosciante e misterioso, non per caso le cifre caratterizzanti di questo horror che racconta di una famiglia in lutto che sembra aver ereditato una sorta di oscura maledizione. Un horror girato con estrema perizia, con movimenti di macchina fluidi e il più delle volte estremamente lenti, associati a una colonna sonora inquietante, che ci guidano tra le pieghe di una storia tragica dove l'horror si mescola al thriller psicologico. Un film che vive di atmosfere cupe e morbose (lo spiritismo è per lo più rappresentato come suggestione psicologica, quasi mai reso palpabile, sfruttato quindi per alimentare quella paura viscerale ed umana per ciò che non è comprensibile, timore che attanaglia i protagonisti e finisce per coinvolgere lo spettatore stesso) e di alcuni imprevedibili colpi di scena che tengono alta la curiosità fino alla fine. La trama in effetti (senza svelare niente, ma basti dire che l'horror sa lesinare effetti raccapriccianti e soluzioni esageratamente sanguigne, a maggior vantaggio di una tensione quasi sadica con cui la sceneggiatura si riesce a districare in modo esemplare, e pure insolito per un horror) va dipanandosi con gradualità e imbocca dei sentieri imprevedibili, soffermandosi sul puro dramma nella prima parte, per poi attingere al paranormale e sfociare in un finale tanto enigmatico (più o meno) quanto inquietante (più o meno) ed originale (più o meno). Più o meno perché Hereditary – Le radici del male, partendo dal dramma familiare, tocca sì i temi del misticismo e dello spiritismo per portare alla luce la paura viscerale dell'ignoto, che arriva però ad assumere alla fine una forma fin troppo definita.
L'atto finale è infatti, e non a caso da molti, l'aspetto più criticato del film e anche il sottoscritto ritiene che non funzioni come dovrebbe. In questa parte del film la tensione accumulata lentamente nelle fasi precedenti esplode parossisticamente, con scene anche abbastanza forti, e si conclude con un finale che sembra generare qualche risata di troppo. Lo svelamento del terribile segreto nascosto dietro la famiglia Graham inoltre non convince pienamente. Certo, i momenti grotteschi e visibilmente eccessivi sono disseminati per tutto il film con grande equilibrio, ma nell'atto conclusivo diventano eccessivamente preponderanti (con immagini così macabre da essere del tutto irreali), ottenendo come risultato lo spezzarsi di quella tensione immersiva, e la conseguente fuoriuscita da quella dimensione di terrore viscerale, con l'inspiegabile che diventa fin troppo definito. Il film di Ari Aster non si può però bocciare a causa del suo finale, che per molti versi sembra annullare tutto il lavoro sapientemente costruito in precedenza. La cura della regia, il clima di angoscia crescente (accentuato da uno splendido uso di colonna sonora ed effetti sonori), i tesi contrasti della narrazione non vengono dimenticati così facilmente. Ci si può però sentire traditi perché al termine dei 118 minuti ci si aspettava un espediente narrativo più originale (anche se potente e spiazzante in ogni caso). Comunque un merito importante va dato al cast, calatosi perfettamente nelle emozioni dei personaggi, dalla freddezza quasi imbalsamata del marito Steve, interpretato da Gabriel Byrne, al senso di inquietudine e paura del giovane Peter, interpretato dal giovane Alex Wolff. Le fuoriclasse, però, sono le due interpreti femminili. Milly Shapiro, che regala un personaggio cult, e Toni Collette, alla migliore performance della carriera nonostante alcuni suoi momenti di overacting davvero allucinanti ed allucinati. Oltre alle buone interpretazioni del cast e al minuzioso lavoro del reparto sonoro, che sottolinea e amplifica la tensione di alcuni momenti, particolarmente riuscito è il continuo alternarsi di prospettive tra finzione e realtà, realizzato con l'espediente dell'uso dei modellini costruiti dalla protagonista, che rispecchiano vicende già accadute o prossime al realizzarsi. Ben dosato anche l'uso di violenza ed effetti scenici, con il prevalere di una costruzione più psicologica che visiva della paura. Hereditary – Le radici del male dunque è un film dove pregi e difetti si bilanciano fra di loro ottenendo un solido equilibrio. Un film intenso, riuscito ed inquietante, ma non un capolavoro e neanche il miglior horror degli ultimi 10 anni, ma di certo uno dei più angoscianti.
L'atto finale è infatti, e non a caso da molti, l'aspetto più criticato del film e anche il sottoscritto ritiene che non funzioni come dovrebbe. In questa parte del film la tensione accumulata lentamente nelle fasi precedenti esplode parossisticamente, con scene anche abbastanza forti, e si conclude con un finale che sembra generare qualche risata di troppo. Lo svelamento del terribile segreto nascosto dietro la famiglia Graham inoltre non convince pienamente. Certo, i momenti grotteschi e visibilmente eccessivi sono disseminati per tutto il film con grande equilibrio, ma nell'atto conclusivo diventano eccessivamente preponderanti (con immagini così macabre da essere del tutto irreali), ottenendo come risultato lo spezzarsi di quella tensione immersiva, e la conseguente fuoriuscita da quella dimensione di terrore viscerale, con l'inspiegabile che diventa fin troppo definito. Il film di Ari Aster non si può però bocciare a causa del suo finale, che per molti versi sembra annullare tutto il lavoro sapientemente costruito in precedenza. La cura della regia, il clima di angoscia crescente (accentuato da uno splendido uso di colonna sonora ed effetti sonori), i tesi contrasti della narrazione non vengono dimenticati così facilmente. Ci si può però sentire traditi perché al termine dei 118 minuti ci si aspettava un espediente narrativo più originale (anche se potente e spiazzante in ogni caso). Comunque un merito importante va dato al cast, calatosi perfettamente nelle emozioni dei personaggi, dalla freddezza quasi imbalsamata del marito Steve, interpretato da Gabriel Byrne, al senso di inquietudine e paura del giovane Peter, interpretato dal giovane Alex Wolff. Le fuoriclasse, però, sono le due interpreti femminili. Milly Shapiro, che regala un personaggio cult, e Toni Collette, alla migliore performance della carriera nonostante alcuni suoi momenti di overacting davvero allucinanti ed allucinati. Oltre alle buone interpretazioni del cast e al minuzioso lavoro del reparto sonoro, che sottolinea e amplifica la tensione di alcuni momenti, particolarmente riuscito è il continuo alternarsi di prospettive tra finzione e realtà, realizzato con l'espediente dell'uso dei modellini costruiti dalla protagonista, che rispecchiano vicende già accadute o prossime al realizzarsi. Ben dosato anche l'uso di violenza ed effetti scenici, con il prevalere di una costruzione più psicologica che visiva della paura. Hereditary – Le radici del male dunque è un film dove pregi e difetti si bilanciano fra di loro ottenendo un solido equilibrio. Un film intenso, riuscito ed inquietante, ma non un capolavoro e neanche il miglior horror degli ultimi 10 anni, ma di certo uno dei più angoscianti.
Regia: Il film dal punto di vista registico rivela una vera e propria lezione di cinema. L'angoscia non è creata con Jumpscare ed è sempre crescente fino a rimanere anche dopo la visione. Ma in che modo? Aster tiene continuamente in tensione lo spettatore con inquadrature fisse e silenziose che sembrano presagire l'arrivo di qualcosa di terribile che infine non appare. Questo superbo lavoro continua con giochi fra campo e fuori campo e contrasti fra luci e ombre. Il sapiente utilizzo del suono completa l'opera: lo schiocco di lingua che si ripete spesso nel film è una degli esempi più efficaci. Il regista Ari Aster, qui al suo primo lungometraggio, andando controcorrente utilizza un stile visivamente pacato per mostrare immagini crude, spinte, inquietanti e disturbanti. E' questa estetica del macabro e dell'ignoto che riesce a rendere Hereditary un horror per buona parte ambiguo e quindi riuscito.
Sceneggiatura: Riprende quel filone horror intrapreso con due gioiellini come It Follows e The Witch. Scava nel sociale, non c'è nulla di artificioso, di macchinoso. Il tutto è ricondotto ad una guerra tra l'umano e ciò che lo sovrasta, da entità sovrannaturali a forse le stesse paure che fanno parte dell'Io di ognuno di noi. Come i film citati, Hereditary – Le radici del male mantiene un ritmo particolare: va lento, disturba, incolla allo schermo, senza mai sbottonarsi troppo, ma immettendo dei brividi veri sotto la pelle dello spettatore e continue reti di punti interrogativi nella sua mente, una rete che lentamente e con efficacia va sciogliendosi. Funziona il modo in cui nulla è dato al caso o a banali cliché già visti e rivisti in decine di film horror, ma partendo da un dramma familiare si scava nell'orrore dei segreti e della paura. Nonostante la durata sia leggermente eccessiva, il film quasi mai annoia, merito di uno script appunto efficace, di una scrittura mai banale (ad opera dello stesso Ari Aster) e di un regista che, nonostante sia alle prime esperienze, riesce a infondere le giuste atmosfere, portando lo spettatore dentro il film e dentro casa dei protagonisti. Sembra che Aster abbia appreso tanto da studi e da sue esperienze e abbia realizzato un'opera interessante, studiata nel dettaglio.
Aspetto tecnico: Colpisce la costruzione sonora dell'intero horror che più volte gioca caratterizzando personaggi e ambiente attraverso i suoni per enfatizzare l'immersione all'interno dell'incubo vissuto dalla famiglia Graham. Sfruttando motivi musicali basati su toni bassi e sporadiche toccate d'archi viene così sottolineata la tensione, l'inquietudine delle situazioni e, in generale, quell'atmosfera disturbante che si va ad accumulare con il continuo passare dei minuti. L'ambiente sonoro si fa vivo, avvolge lo spettatore e lo trascina all'interno della casa, rendendo quasi tattile l'ansioso turbamento di ogni personaggio, facendo percepire suoni da tutte le direzioni, accentuando la presenza di un qualcosa di indefinito. Grande forza è data anche da un lavoro di fotografia sapiente, efficace, che imprime al film un forte senso di verità e di terrore.
Cast: Nonostante le scelte stilistiche non sempre eccelse, gli attori protagonisti svolgono il loro compito al meglio. Toni Colette, in particolare (nei panni di Annie Graham) riesce a essere particolarmente convincente nel ruolo della madre sull'orlo della psicosi, attanagliata dal dolore dal un lato e dal dubbio sulla propria sanità mentale dall'altro. Al suo fianco, Gabriel Byrne riaffronta il demonio diciannove anni dopo Stigmate, ma il ruolo non è generoso nei suoi confronti e lui appare mummificato. Al contrario, i giovani Alex Wolff e Milly Shapiro sono due ottime scelte effettuate dal casting, volti irregolari perfettamente consoni alla contingenza. Non male neanche Ann Dowd, amica occasionale della madre che inizia la donna alle pratiche spiritistiche.
Commento Finale: L'opera prima di Ari Aster risulta ambiziosa ma convince. Il regista ha saputo trasporre in un dramma familiare l'orrore, una lotta tra l'uomo e le sue paure e l'ultraterreno imbattibile, con un grande senso di realtà e originalità, senza mai cadere in cliché da classico film horror. La realizzazione tecnica del film è ottima, mentre da applausi sono le performance del cast (di alcuni almeno). C'è sicuramente qualche eccesso, cose già viste e una durata eccessiva tra le altre cose, ma i difetti non annullano i pregi di Hereditary.
Consigliato: Con il suo carico di angoscia e sciagura, sicuramente Hereditary non è il genere di film da considerare per una piacevole serata in famiglia. Tuttavia, per chi apprezza il genere, va visto assolutamente, anzi, per loro la visione è sicuramente consigliata.
Voto: 7