martedì 9 luglio 2019

Jungle (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/03/2019 Qui - Forse l'interesse maggiore del film, del film Jungle (del 2017), sta nel fatto che trattasi di famigerata storia vera e, indipendentemente da come possa apparire al primo sguardo, questa volta più vera del solito. Nel senso che per quanto ne so (non ho letto il romanzo autobiografico), ripercorre piuttosto fedelmente, eccetto qualche comprensibile "accelerazione" o "colorazione", l'avventura che si è trovato a vivere il giovane malcapitato e, diciamolo, ingenuo, Yossi Ghinsberg nei primi anni '80 del secolo scorso (insieme ai compagni di sventura Marcus Stamm e Kevin Gale), incontrati in Bolivia. Avventura che è presto detta, quattro giovani amici partono alla volta del cuore della foresta amazzonica, quella che inizia come un'avventura da sogno si trasforma presto in un incubo totale a causa di una fraudolenta guida. Un'avventura in cui (come nel libro Lost in the Jungle) il protagonista racconta e il regista (ben) ci fa vedere, anche gli aspetti, più in ombra della vicenda, lo stato mentale e fisico di profonda prostrazione, in cui finì, che lo spinse ai limiti della follia e poi la descrizione dell'ambigua guida, della quale si persero completamente le tracce. Dicevo bene, perché a portare sul grande schermo questa storia è Greg McLean (da uno script di Justin Monjo), il quale, facile intuirlo, deve aver visto nell'idea di un ecosistema che divora l'essere umano delle assonanze con l'incipit del suo film d'esordio, l'acclamato Wolf Creek. In quell'occasione la naïveté dei malcapitati turisti di turno li faceva piombare nelle fauci di un sadico anarchico come Mick Taylor, che con il suo carisma finiva per fagocitare un po' tutto, compreso il ruolo di protagonista della pellicola. In Jungle la prospettiva è assolutamente ribaltata: non esiste un vero villain e il ruolo del protagonista è affidato alla carne da macello, la vittima, il cui inesorabile annichilimento psicofisico diventa il tema centrale del racconto. Un racconto forse non nuovo, anche perché non è certo il primo film a trattare di uomini civilizzati che affrontano il martirio dell'inferno verde, ma che riesce tuttavia a colpire lo spettatore (meglio per esempio che in Civiltà perduta), anche mostrando quanto possano le condizioni estreme ribaltare i rapporti (nella prima parte) e quando l'istinto di sopravvivenza più puro e un pizzico di fortuna (nella seconda) possono fare la differenza quando sei solo e impreparato a ciò che ti aspetta, ovvero un inferno.
Un inferno verde ben più credibile (e più orrido, un paio di scenette "schifiltose" non mancano) di quello mostrato da Eli Roth in The Green Inferno, anche se ovviamente parliamo di 2 generi cinematografici diversi, ma proprio perché consapevole che questo mondo selvaggio ha già fatto da sfondo ad altre pellicole il regista la prende più comoda, più distante, e fa centro (seppur per il resto non è troppo distante da un tipico survival movie). Perché anche se la regia non è nulla di impressionante, essa non è nemmeno malvagia, e insieme al montaggio aiutano a far scorrere senza troppi intoppi le quasi due ore, durata inusuale per questo genere di pellicole che in genere faticano ad arrivare all'ora e mezza. A ciò si aggiunge, e incide non poco, un Daniel Radcliffe che fa il suo. Non abbiamo a che fare con una prestazione da Oscar magari, ma la parte è piuttosto impegnativa dal punto di vista fisico: a fine sventura ci ritroviamo un Radcliffe che ricorda i sopravvissuti ai campi di concentramento (mi si perdoni l'accostamento essendo Ghinsberg israeliano, ma non c'è alcun antisemitismo latente), senza ausilio di ritocchini in digitale a quanto pare. Assieme a lui anche Alex RussellThomas Kretschmann e Joel Jackson, ma nessuno dei tre riesce a brillare. Certo, le cadute di tono non sono poche e per di più non percorre sentieri che non siano già stati battuti prima di lui, vorrebbe fare qualcosa di diverso e la riuscita non è proprio soddisfacente in pieno, ma nonostante tutto riesce sempre a rimanere sulla retta via, un risultato non di poco conto che lo porta alla mia personale sufficienza. Perché certo, c'è del vero sul fatto che in alcuni tratti pare evidente un'indecisione sulla via da percorrere: non horror, non mondo movie, troppo poco thriller psicologico, troppo stile avventura Disney (eccetera), ma per quanto mi riguarda ho trovato il mix tutto sommato gradevole. Jungle infatti, pur non essendo una prova eccezionale del regista Greg McLean, leggermente al di sotto anche di The Belko Experiment, offre più di un motivo allo spettatore per vedere e godere (si fa per dire) di uno spettacolo, tratto da una storia vera, impressionante e sconvolgente. Voto: 6+