mercoledì 10 aprile 2019

Wolf Creek (2005)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/12/2017 Qui - Sapevo già del sequel e anche del terzo capitolo in uscita quest'anno, ma non avevo ancora visto il primo, e così che finalmente ho visto Wolf Creek, film horror (ma solo in parte) del 2005 diretto da Greg McLean. Il film infatti, basato su una storia realmente avvenuta e qui ovviamente romanzata, non è proprio un film interamente e specificamente horror o soprattutto slasher, ma più un discreto psycho-thriller made in Australia che inizia come un road movie dalle ambientazioni mozzafiato per poi precipitare nell'inquietante messa in scena di un massacro annunciato, rielaborando in modo non troppo originale (ma neanche disprezzabile) la materia prima di quel filone horror che da 'Non aprite quella porta' conta una serie indefinita di mediocri epigoni e storielle più o meno riuscite. Sebbene dichiaratamente ispirato ad un fatto reale la narrazione è sostenuta da una scelta convenzionale nella progressione della tensione drammatica ma sviluppando un interessante binomio nel definire il rapporto tra l'ambiente (campi lunghi e lunghissimi dal suggestivo respiro paesaggistico) ed i personaggi seguiti quasi in presa diretta tramite l'uso insistito della camera a mano. Ne riesce un convincente senso di spaesamento in un ambiente selvaggio e desolato, ancorché di struggente bellezza, che acuisce il senso di impotenza dei foresti in balia delle sadiche perversioni dello psicotico autoctono di turno. Il ricorso all'uso dello splatter non appare eccessivo (né tantomeno fuori luogo in un film di genere) nell'economia di una storia che basa sul dinamismo (più che sull'introspezione o sulle caratterizzazioni psicologiche) l'aspetto qualificante del processo narrativo.
Un po' meno convincente appare invece il modo frettoloso di risolvere il concitato finale cadendo nell'abusato cliché delle usuali inverosimiglianze da 'caccia all'uomo' (tra cui la costante stupidità dei personaggi, tale da indurre lo spettatore a "tifare" per l'assassino) o ricapitolando il senso della vicenda tragica (e reale) attraverso le immagini filmate dai malcapitati ospiti del folle omicida, un esempio banalizzante di film nel film. Anche se sono proprio la semplicità, la linearità della sceneggiatura, la proposta di immagini immediate al limite della banalità e del già visto nella realtà, i caratteri spontanei come le battute e la recitazione ordinaria, gli elementi vincenti di questo film, un road movie a tinte horror che riesce quantomeno a turbare lo spettatore. Discreto in questo senso la performance del cast, tra cui spicca John Jarratt (il 'buon' Mick che è già diventato un personaggio cult), bravo a donare (non andando mai sopra le righe) un certo realismo al suo personaggio. Un bravo anche al regista che, con luce, colore ed ambientazione di gran livello, riesce discretamente a metterci davanti ad una finestra quasi reale, aperta sulla realtà quotidiana di banalità, violenza, impotenza e vigliaccheria. Per questo nel complesso è guardabile e non delude, ma a condizione di non aspettarsi chissà che. Poiché anche se ci sono momenti interessanti, esso non è riuscito benissimo a sorprendermi (anche se come detto ho apprezzato alcune scelte non stereotipate). In ogni caso senza infamia, senza lode, tale da meritarsi una sufficienza piena. Voto: 6+