lunedì 29 aprile 2019

Il film della Memoria: Naked among wolves - Il bambino nella valigia (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/01/2018 Qui - Per il terzo anno consecutivo, anche se in verità ogni anno (come già detto nelle precedenti due occasioni) dai tempi della scuola ne ho sempre visto uno, mi ritrovo oggi a parlarvi di un film che ho visto durante Il Giorno della Memoria, e di cui non credo ci sia bisogno di spiegare cosa sia. Sono passati tanti anni infatti da quando le Nazione Unite istituirono, questa giornata e la data del 27 Gennaio, scelta perché in quel giorno, nel 1945, avvenne la liberazione da parte dell'Armata Rossa del campo di sterminio di Auschwitz, per commemorare tutte le vittime dell'Olocausto e della Shoah, con la speranza che il ricordo di tali atrocità aiutino l'uomo a non commetterle più in futuro. Ed è questo ovviamente il motivo per cui ogni anno l'industria cinematografica si mette all'opera per produrre sempre nuovi film, affinché il ricordo resti vivo sempre. E quindi quest'anno, poiché nonostante Sky e la sua settimana della Memoria, in cui però nessun film in prima visione è stato mandato, e poiché Il labirinto del silenzio, andato in onda sulla Rai, avevo già visto l'anno scorso insieme ad altri tre (anche se dopo un mese), ho optato per l'appunto per Naked among wolves: Il bambino nella valigia (andato in onda su Iris), adattamento del 2015 di un romanzo di Bruno Apitz (dal titolo originale Nackt unter Wölfen) e remake di un film tedesco omonimo del 1963 di Frank Beyer. Un film in cui, ancora una volta, dopo il bellissimo Corri ragazzo corri del 2013, e dopo lo scioccante ma toccante racconto intimista de Il figlio di Saul, è coinvolto un bambino, e si sa, quando in certi eventi tragici viene coinvolto un bambino l'emozione è assicurata. Anche se quello che manca al film in questione, bello e interessante da vedere, è proprio l'intensità e profondità di altre pellicole, perché certamente ci si emoziona, ma non in grande quantità. Comunque non per questo il racconto non appassiona e coinvolge, anche perché la storia (di impianto altresì storico/documentaristico) è discretamente toccante e ci sono alcune scene di grande impatto visivo.
Il film infatti, e in cui immagini vere che si sovrappongono ci documentano l'avanzare dei progressi degli Alleati al ritrovamento e poi liberazione dei campi di sterminio nazista, ci racconta di un bambino che nel Marzo 1945 di 3 anni viene introdotto di nascosto nel campo di concentramento di Buckenwald all'interno di una valigia, per farlo fuggire dal vicino ghetto ebraico. E siccome la crudeltà della "soluzione finale" in questa fase prevede che tutti i bambini piccoli, considerati inabili al lavoro nei campi, vengano sterminati a tappeto, alcuni internati si assumono il rischio (tramite una sorta di fuga al contrario) di tenerlo nascosto poiché appunto la tenera età del piccolo lo condannerebbe a morte certa se questi venisse individuato dalle SS. I prigionieri del campo in gran segreto riescono così a tenere in vita il piccolo, che deve però restare sempre nella valigia per non farsi scoprire dalle guardie del campo. Questa attività aiuta psicologicamente tutti i detenuti nel campo, che hanno così modo di riscattarsi dalla disumanizzante vita a cui sono costretti fra lavoro, stenti e torture delle SS. La causa comune riesce così ad unire i prigionieri e a donare loro qualche momento di speranza, anche a costo di togliersi il pochissimo pane disponibile per nutrire anche una bocca in più. Gli sforzi per mantenerlo in vita si tradurranno difatti in una metafora degli sforzi messi in atto per preservare l'umanità tra i detenuti. La voce del bambino nascosto comincia però, gradualmente, a diffondersi, finché anche i Kapo e infine le SS vengono a sapere della cosa. Il comandante del campo ordina quindi una perquisizione a tappeto che porta alla scoperta della valigia con il bambino. Tutti gli ebrei coinvolti nel fatto vengono immediatamente condannati a morte, ma un colpo di scena è proprio dietro l'angolo. E tanti cambiamenti e tante situazioni che altresì si susseguiranno cambieranno il destino di tutti.
Giacché questa pellicola drammatica, diretta da Philipp Kadelbach (Hindenburg - L'ultimo volo, The secret of the whales, Die Pilgerin) e che riscosse nel 2015 un notevole successo sia in patria, in Germania, che nel resto del mondo, tanto da guadagnarsi ben 2 nomination agli Emmy Awards, come miglior miniserie e per il miglior attore, andato a Florian Stetter (Beloved sisters, Kreuzweg - Le stazioni della fede, La Rosa Bianca - Sophie Scholl, Nanga Parbat), che è uno dei protagonisti principali e protagonista di alcune delle scene più belle e poetiche di un film in cui fotografia, montaggio e colonna sonora (seppur non del tutto convincenti o eccezionali) fanno decisamente bene il loro lavoro, contiene tanti elementi. Esso infatti, è sia un racconto di sangue che di distruzione, pur avendo tuttavia alcuni elementi felici, anche se molto minori. Di sicuro, grazie ad una sceneggiatura che racconta in modo molto buono questa vicenda storica, si può ritenere questo uno dei migliori film che raffigura la durezza dei campi di concentramento nazisti, mostrando in ogni caso ancora la fratellanza e l'amicizia che fioriva sotto una causa comune. Anche perché, nonostante il film viri prevedibilmente verso il dramma patetico (visto l'ovvio soggetto), esso ha anche il merito di fare luce sulla resistenza operata dai comunisti (perché in gran quantità erano non solo ebrei purtroppo) all'interno del lager di Buchenwald. Da dire invece sulle implicazioni etiche e morali (psicologiche) non c'è niente, è stato detto, visto e scritto tanto, dopotutto il film fa vedere come anche i nazisti di fronte ad una portata storica immane e ad una macchia indelebile difficile da nascondere, avranno crisi di coscienze. Di certo, difficile è anche restar indifferenti nel vedere questo film, certamente di impianto troppo televisivo e quindi di poco appeal, ma che grazie ad un ritmo senza cedimenti, ad una comunque sufficiente capacità di emozionare e colpire, ad una discreta regia e all'apporto di un cast (interamente maschile) con attori bravi e credibili, tra cui Sabin Tambrea (Ludwig II, Ma folie, Marie Curie), Sylvester Groth (Bastardi senza gloria, Operazione U.N.C.L.E., Mein Führer - La veramente vera verità su Adolf Hitler) e Rainer Bock (Il nastro bianco, La scelta di Barbara, Storia di una ladra di libri, The Most Beautiful Day), si fa (nonostante la poca intensità emozionale) moderatamente apprezzare. Tanto da consigliare una visione utile per conoscere più a fondo, non dimenticare mai e ricordare tutte le vittime della Shoah. Voto: 6,5