Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/12/2017 Qui - A volte la semplicità paga, è il caso di The Salvation, western (del 2014) asciutto ed essenziale (semplice ma avvincente) di produzione danese diretto da Kristian Levring (uno dei fondatori di Dogma 95). Questo western danese infatti (che si lascia piacevolmente vedere), che narra della vendetta di Jon, soldato danese emigrato nel West nella seconda metà del 1800, a cui viene trucidata la famiglia da una gang di banditi, ex soldati nordisti ora convertiti a scagnozzi di una grande compagnia petrolifera, a cui non resterà (nonostante il tradimento dei suoi cittadini) che salvare la città da solo, rispecchiando la tradizione del genere americano (e Sergio Leone) e affondando lo spettatore in medias res nel clima di violenza che si respirava all'epoca, ma risparmiandoci la lentezza affettata e i tempi morti delle vecchie pellicole, propone delle chiavi di lettura nient'affatto banali (proprio l'assenza di salvezza conducono il protagonista verso lo stesso percorso di violenza e vendetta da cui era sfuggito nella terra natia). Certo, i cliché del genere vengono sciorinati in serie, ma è grazie ad essi che The Salvation, western moderno girato con molta cura dei particolari, una splendida fotografia e un cast di tutto rispetto, riesce a creare un'importante tensione culminante nella crudele introduzione (la scena iniziale è infatti di grande impatto e complessivamente la crudeltà è il sentimento principe di tutta la pellicola). Poi la frontiera diventa luogo ideale per l'ennesima storia di vendetta, messa in atto da un Mads Mikkelsen (meglio sfruttato che in Doctor Strange e Rogue One: A Star Wars Story) glaciale ma efficace (un vero e proprio Clint Eastwood danese).
L'effetto déjà-vu più noia viene invece meravigliosamente evitato per mezzo di una messa in scena accurata (asciutta e convincente, sopratutto per le scene notturne che danno un tocco di raffinatezza al film), di un incedere narrativo mai statico e per una definizione dei personaggi che pur stereotipata lascia intendere buona cura dietro la loro scrittura. In tal senso l'entrata in scena del cattivo Jeffrey Dean Morgan è spettacolare, quasi quanto il suo ingresso a TWD (di cui il film in certi sensi sembra "riprendere"). Qualche battuta a vuoto non manca, ad esempio il finale non mi è sembrato all'altezza del resto della pellicola, mentre alcuni personaggi (su tutti il giovane vendicativo e il braccio destro del cattivo interpretato da Eric Cantona, sì proprio lui) appaiono un po' sprecati (senza dimenticare anche Jonathan Pryce). Bene invece la brava Eva Green (sempre apprezzabile come visto in Miss Peregrine: La casa dei ragazzi speciali), che per una volta (ahimè) non è costretta a denudarsi ma a recitare senza l'ausilio della voce, dovendo interpretare una donna resa muta. Pellicola dunque solida, quasi rassicurante oserei dire per chi ama il genere e quindi magari anacronistica per gli altri. Che poi il tutto non è proprio così rigidamente lineare, qualche sotto-testo interessante c'è (la banca che funge da ricovero per i criminali, unico stabile ancora in piedi all'interno di un paese completamente abbandonato perché devastato dal fuoco, è infatti una calzante metafora della società attuale), e visto lo spessore del regista, che sembra davvero essere un appassionato del genere visti i continui richiami, per immagini, ai grandi del passato, che ci permette di respirare una bella ventata di western classico, non poteva essere altrimenti. Ma aldilà di ciò è proprio un buon film teso, crudo, riuscito nell'atmosfera e senza quell'odore di patinato di tante pellicole di questo quasi defunto genere. Sicuramente meglio la prima parte della seconda infarcita di duelli (e mancante di un finale realmente incisivo) ma resta comunque un western di tutto rispetto. Voto: 6,5