lunedì 29 aprile 2019

Train to Busan (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/01/2018 Qui - Mi ero ripromesso di vedere il prequel animato Seoul Station, ma non l'ho fatto, anche se certamente vedrò prossimamente, anche perché il suddetto, come mi sembra di capire e intuire non avrebbe comunque inficiato la visione del film originale, esso infatti non è propriamente la continua, ma un film a sé, e che film, perché Train to Busan, film del 2016 diretto da Yeon Sang-ho, uscito in home video solo ad ottobre e mandato in onda in Italia a metà dicembre del 2017, è un sorprendente "zombi" movie, dalla costruzione tutto sommato prevedibile ma di una potenza visiva pazzesca, con la tensione sempre altissima. Benché infatti sia difficile pensare di lasciarsi prendere da una trama abbastanza prevedibile come quella che riguarda gli zombie, il regista riesce abilmente e senza inventarsi nulla di particolare e inserendosi piuttosto bene negli schemi del genere, a ribaltare gli suddetti schemi, confezionando una pellicola ricca di suspense, ansia e partecipazione emotiva che non ti fa staccare lo sguardo dallo schermo neanche per un attimo, tant'è che non vuoi perderti niente di quello che succederà all'esiguo gruppo di persone sulle quali si concentra. Seguiamo difatti e con grande interesse lo svolgersi, e il progressivo deterioramento, della situazione all'interno di un treno in partenza da Seul e diretto a Busan, dove un giovane padre con sua figlia in viaggio per ricongiungersi con la madre della piccola, un gruppo di ragazzini in viaggio per un evento sportivo e una coppia in attesa del loro primogenito, si ritrovano costretti, a seguito di un anomalo incidente "infettivo" di una ragazza, ad escogitare un piano per sopravvivere il più a lungo possibile mentre la minaccia mortale, infernale incombe.
Anche perché in Train to Busan, valido horror drammatico coreano, forse uno dei migliori film sugli zombie degli ultimi anni, c'è tutto, ritmo veloce, grande regia, bella caratterizzazione dei personaggi, violenza e sangue ma anche profondità e commozione. Senza dimenticare altresì che, questo piccolo gioiello di genere, che si aggiunge a tantissimi altri film dello stesso tipo, a partire dal compianto Romero e dai b-movie di ultima generazione, è terrificante e politico, con un comparto tecnico (fotografia e colonna sonora in particolare) letteralmente da "paura". Inoltre gli zombi in questione differiscono in parte da quelli che vediamo copia-incollati in molte altre pellicole. Sì perché ci sono validi motivi per amare questo film, ma ciò che lo rende unico nel suo genere è la scioltezza narrativa con cui mette in scena robusti momenti d'assedio, dalla claustrofobica e scalpitante partenza fino all'agguerrito e apocalittico finale, in tal senso straordinaria l'ultimissima inquadratura, un cambio di rotta drammaturgico che, sottovoce, stempera le atmosfere adrenaliniche per regalarci un momento di reale e sincera commozione. Una scioltezza narrativa e uno schema narrativo appunto convincente, che non si sofferma in maniera ossessiva sugli zombie, e nemmeno sull'aspetto splatter di essi, preferendo usarli come pretesto per osservare le mosse di questa parte di umanità senza scampo e focalizzarsi sulle dinamiche che si vengono a creare nel gruppo dei superstiti.
Ciò ovviamente non annulla alcune ingenuità di script relative ai non morti (corrono, saltano, si muovono in massa ma tutta la loro furia svanisce difronte ad una sliding door), ma nel complesso una messa in scena notevolissima. Soprattutto grazie alla location (una delle sue carte vincenti) scelta per raccontare di questa inconsueta e inesplicabile epidemia, quella, come già accadeva in un altro film coreano, ovvero "Snowpiercer" (che in verità non mi convinse molto), del treno. Una location altamente claustrofobica per quello che concerne i fatti in questione, ma anche difficile da trattare per la palese libertà d'azione limitata e con il rischio di ripetitività che era abbastanza alto, specialmente se le idee fossero state scarsamente ficcanti. Invece il regista riesce ad imbastire una storia di grande appeal, discretamente dosata tra action e pathos, coinvolgente ed emozionante, capace di mantenere con il fiato sospeso lo spettatore fino alla fine. In tal senso molto potenti e significative sono le riprese che si svolgono all'interno, incutendo un naturale senso di claustrofobia, e soprattutto all'esterno del convoglio, prima raffigurando delle metropoli vuote, inquietanti e avvolte da un silenzio assordante e poi invase, letteralmente, da orde di morti viventi in cerca della prossima vittima da divorare e contagiare.
Senza dimenticare che come in Snowpiercer, seppur appena suggerita, anche in questo caso vi è una metaforica divisione in classi, probabile rappresentazione sociale di un paese "ricco" ma non privo di contraddizioni e ferite insanabili. Perché non solo il regista riesce abilmente a confezionare un ottima pellicola sulla sopravvivenza, su quanto si è disposti a fare o a sacrificare pur di restare in vita e garantire la sopravvivenza ai propri cari, ma egli riesce anche ad affrontare anche tematiche più attuali, come la "cattiveria" umana, di quei tipi di persone (egoisti e ciechi) non disposti ad aiutarsi l'un l'altro. Tuttavia al netto di queste letture socio-politiche, il lavoro del regista/sceneggiatore Yeon Sang-Ho si segnala per il perfetto connubio tra scene d'azione e un sentimentalismo che pur spiccio si sposa bene con le tematiche intavolate. Anche perché in tale situazione di caos, disperazione e desolazione totale il regista mette in primo piano la radicale trasformazione del padre, che da avido broker e cinico menefreghista della sorte altrui, si riconnetterà con la sua umanità sepolta e armatosi di un ritrovato sentimento paterno (affettivo e protettivo) guiderà il piccolo gruppo di superstiti cercando di sopravvivere all'interno e poi all'esterno del treno.
A tal proposito convincente è proprio il rapporto padre-figlia dei principali protagonisti, a loro ci si affeziona, si tifa per la loro salvezza e ci si stringe il cuore (ma potrebbe anche sfuggirvi una lacrima di commozione) nella scena finale dell'inevitabile e dolorosa separazione. Una scena ben realizzata ed emotivamente carica che colpisce gli spettatori cogliendoli di sorpresa. Per il resto, il regista taglia corto sui sentimentalismi gratuiti. Gli affetti che dominano e smuovono i protagonisti (la coppietta di ragazzini, i coniugi, le vecchiette) sono ben delineati ma restano superficiali, senza approfondimenti o sotto-trame fuorvianti dal racconto principale, quello della sopravvivenza a tutti i costi. Dopotutto seppur la scelta dei superstiti risulta un po' azzardata, la caratterizzazione dei protagonisti è fatta ad hoc per arrivare a quella conclusione e, tutto sommato, la cosa non dispiace e non pregiudica il risultato finale. Buono in tal senso lo sconosciuto cast (tra cui la bravissima bambina con quei curiosissimi occhioni neri), anche se recita in perfetto stile (macchiettistico) orientale, colpa anche del doppiaggio (che altresì non inficia il giudizio finale). In conclusione perciò, Train to Busan, è un ottimo connubio tra action drama e horror, un film ricco di colpi di scena, suspense, adrenalina e drammaticità.
Ovviamente è coerente nel rappresentare tutti i cliché zombeschi che abbiamo già conosciuto nelle pellicole precedenti, salvo però risparmiarci le abbondanti dosi di splatter che avrebbero affondato un film del genere. Ottimo ovviamente l'uso della CGI e del trucco, ma il vero pregio della pellicola e che si focalizza non tanto sugli zombie di per se, o quello che tradizionalmente raffigurano (un'umanità appiattita, blanda, violente e vacua) quanto sui rapporti sociali che si creano per forza maggiore negli angusti spazi di un treno in corsa e dentro un piccolo nucleo di persone volte a mettersi in salvo. Stimolando in questo modo una certa riflessione sociale, attualissima e dovuta. Certo, una sforbiciata qua e là non avrebbe guastato ma, per gli amanti del genere, questa variante orientale al genere è più che godibile. Anche perché il regista e sceneggiatore Yeon Sang-ho, anche grazie ad una certa ricchezza di mezzi e quindi in virtù del buon make-up, dei discreti effetti speciali e della propensione ad infondere tensione e adrenalina, ha davvero fatto nel complesso un bel lavoro. Dato che Train to Busan, ha la capacità, anche mostrando qualche difetto qua e la, seppur è vincente la struttura narrativa incalzante oltre al tipico oscillare del cinema orientale tra dramma, farsa e intimismo, sempre in grado, se ben bilanciato come in questo caso, di fare la differenza, di intrattenere bene, tanto che non si fatica ad apprezzare e riconoscergli un giudizio positivo. Voto: 7+