Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/03/2017 Qui - Norimberga fu un processo istituito dagli alleati contro i criminali nazisti, cioè stranieri vincitori che giudicano un paese sconfitto. In questo caso, Il labirinto del silenzio (Im Labyrinth des Schweigens), film del 2014 diretto da Giulio Ricciarelli, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival, selezionato per rappresentare la Germania ai premi Oscar 2016 per il miglior film straniero, (non riuscendo però ad entrare nella cinquina dei candidati), non solo cerca di togliere il velo di omertà del popolo tedesco, ma tratta di uno dei più grandi processi della storia tedesca del dopoguerra, forse il più importante dopo quello a Eichmann, segno che in Germania cercano di fare i conti con il loro passato. E' la Germania stessa difatti che processa quei criminali che una colpevole rimozione del passato recente li ha ricondotti ad una vita normale dopo aver appeso la divisa delle SS dentro l'armadio. E' giusto insomma dimenticare le atroci colpe di un popolo per ricominciare una nuova vita o la memoria e la ricerca della verità devono essere superiori a tutto? È il dramma della Germania post-nazista che si trova a dover convivere con le colpe di moltissimi uomini comuni legati nel caso del film ai massacri di Auschwitz. Tutti sono stati nazisti e così riemergono prepotentemente le parole della Arendt sulla banalità del male (condivisibili per tutti i film qui presenti) e su come uomini apparentemente normali abbiano potuto compiere azioni così spregevoli. E il film mostra seppur in modo schematico e con un protagonista non sempre all'altezza questa situazione fino al processo che condannerà i boia di Auschwitz. È un processo vero che per la Germania è stato più importante di quello di Norimberga perché per la prima volta un paese ha deciso di guardare dentro la sua anima, condannare i propri figli e non mentire alle nuove generazioni. La nuova generazione, rappresentata dal giovane magistrato, che deve processare quella vecchia trascinata nella follia nazista e partorito gli orrori dei campi di concentramento.
Il film vale la pena vederlo quindi solo per il soggetto che propone, interessantissimo e mai affrontato in terra tedesca in maniera così aperta, perché le riflessioni sono tante e degne di essere affrontate, e perché questo è un film che fa riflettere. È un film che trascina, nonostante un montaggio piuttosto semplicistici e talvolta un po' frammentario, ma che non impedisce allo spettatore di lasciarsi andare nel finale ad un sentito applauso liberatorio. Poiché Il labirinto del silenzio è un film spiazzante e interessante, film di denuncia ottimo, come quelli che piacciono a me, ma anche un film ambizioso (forse troppo), dato che non è privo di evidenti difetti. La volontà di dare un taglio molto internazionale alla pellicola, diciamo abbastanza hollywoodiano, nega infatti una certa autorialità all'opera, favorendo quindi una maggiore commercializzazione del prodotto, dal ritmo molto scorrevole, rimanendo tuttavia vittima di schematismi e da uno sviluppo prevedibile. In poche parole non si rischia nulla, andando su binari sicuri e con sotto-trame sentimentali abbastanza inutili ai fini del narrato. Inoltre la fotografia è fin troppo patinata, che esalta la ricostruzione scenografica da una parte, ma che da uno sfondo fin troppo all'acqua di rose rispetto a temi così seri. In conclusione, un film riuscito a metà, anche se le musiche sono ben dosate, di grande leggerezza, ma di forte spessore 'intellettuale', a perfetto accompagnamento della narrazione drammaturgica. In definitiva quindi buon film nel tema, mediocre registicamente ma ottimo come spunto di riflessione. Voto: 7