venerdì 21 giugno 2019

L'altro volto della speranza (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2019 Qui
Tema e genere: Un dramma, un ritratto malinconico dell'umanità perduta.
Trama: Un clandestino siriano cerca asilo in Finlandia. L'aiuto arriverà da un bizzarro proprietario di un ristorante e dai suoi dipendenti.
Recensione: Con le caratteristiche che gli sono proprie (ambientazioni vintage, volti impassibili, colori iper saturi, dialoghi scabri ma ricchi di ironia), Aki Kaurismäki propone ancora una variante delle sue commedie imperturbabili, scarsamente popolate e con personaggi che sembrano tutti emulare Buster Keaton, nella loro parsimonia di movimenti ed espressioni. Ma il tono malinconico, le ambientazioni surreali e la recitazione sovente straniante non tolgono mai spazio a un'umanità semplice, solidale e spesso squattrinata (che il regista aveva già proposto anche in Miracolo a Le Havre, l'unico che ricordo di aver visto), nella quale anche quelli che sembrano dei "duri" o degli emarginati sono capaci di gesti gratuiti nei confronti di sconosciuti in cerca d'aiuto. È l'umanità, infatti, il primo punto di interesse del lungometraggio. Un lungometraggio, un film agrodolce che possiede un'ironia anche se graffiante, forse troppo lontana dai canoni dell'umorismo a cui siamo abituati, in tal senso l'opera non è esente da asperità, che inoltre viaggia col pilota automatico e con la benzina avanzata dalle opere precedenti del cineasta finlandese. La ricetta (anche perché il fulcro è sempre quello) avrebbe avuto bisogno o di una conferma ad un livello sublime di ispirazione (i grandi autori sanno come non annoiare, pur ripetendo se stessi) o di un ampliamento tematico. Qui non c'è ne l'una né l'altra cosa. Da un lato, infatti, il film è poco ispirato, fragile nella costruzione, debole negli snodi narrativi e psicologici, insolitamente sfilacciato, non privo di passaggi a vuoto: uno smarrimento che si riflette in un finale deludente. Dall'altro, l'aggancio all'attualità dei rifugiati e della guerra in Siria si rivela un mero pretesto: il povero Khaled non è altro che una riedizione degli emarginati che da sempre popolano, "Chaplinianamente", l'intera filmografia di Kaurismaki. L'emarginazione in Kaurismaki è uno stato della mente, prima che una condizione storica o sociale. Il messaggio quindi è lo stesso, "la società capitalistica produce guerra e disparità, ma a farne le spese è l'Uomo in generale", un passo in avanti nel discorso politico non c'è: si resta nella "comfort zone" di un umanesimo genuino, ma che questa volta ha il fiato corto. Tuttavia è e resta un'opera godibile, che strappa la sufficienza, ma che è ben poca cosa considerata la statura del regista. Si empatizza per Khaled, per la sua maschera Keatoniana che a fatica trattiene l'emozione per il proprio dramma familiare, si ghigna per le metamorfosi del ristorante di Wilkstrom e della sua scalcinata squadra di camerieri, si prova rabbia per l'ottusità della burocrazia e per la violenza dei naziskin. Ma manca il guizzo, il salto di qualità, la ragione per considerare quest'opera non al livello di altre opere del regista e in generale.

RegiaAki Kaurismäki, fra le varie firme, è una di quelle che ha un proprio stilema. Quando si prende visione ad un film del regista finlandese, si carpisce in toto lo stile, peccato che qui si capisca anche già dove voglia andare a parare e di cosa tratterà la sua pellicola, niente che non sia stato già visto.
SceneggiaturaL'altro volto della speranza parte in un silenzio allarmante, i personaggi sono buttati nella mischia senza alcun biglietto di presentazione, in circa una ventina di minuti, il disegno inizierà gradevolmente a plasmarsi. Prima parte abbastanza dura, nella seconda, invece, esce fuori una parte più tenera e di humour, tutto ovviamente limitato nelle logicità del caso. Il film prende quasi un assetto teatrale, con il ristorante fulcro delle più sbilenche manovre. A volte è lenta, la sceneggiatura, ma nel complesso interessante, bella e riuscita.
Aspetto tecnico: Esteticamente è in linea con altri film del regista, ma a spiccare è la colonna sonora, colonna sonora che accompagna le gesta dei personaggi come un vero e proprio commento musicale, che è soprattutto diegetica, inserita cioè nel mondo narrato. I musicisti di strada, i cantanti da bar, che spesso sono uno sfondo (o meglio, un sottofondo) delle nostre giornate, catturano il fuoco delle sequenze. Orecchiabili tutte ed altresì tematicamente profonde.
Cast: Abbastanza sconosciuto, tuttavia tutti gli attori svolgono i loro compiti in modo egregio.
Commento Finale: Premiato con l'Orso d'argento per la regia al Festival di Berlino, L'altro volto della speranza è un film insolito, che parla di temi attuali con modi e toni inaspettati e che sembrano provenire da un'altra era, ma non per questo meno efficaci e coinvolgenti. Senza pretese o intenti predicatori, il regista mostra ancora la sua fiducia nel genere umano e la convinzione che il cinema possa trasmetterla con umorismo e semplicità. Un compito che L'altro volto della speranza assolve egregiamente. Anche se poteva essere anche meglio, questo e tutto.
Consigliato: Sì, soprattutto ad un pubblico intelligente, che sappia però tollerare alcuni vuoti e silenzi dell'animo, ma soprattutto un certo ritmo lento, l'andamento bizzarro del regista.
Voto: 6+