Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2019 Qui
Tema e genere: Commedia drammatica biografica incentrata sul rapporto sentimentale e lavorativo tra il regista Jean-Luc Godard e l'attrice Anne Wiazemsky, e basata sulla biografia Un an après della stessa Anne Wiazemsky.
Trama: La vicenda amorosa tra Jean-Luc Godard, regista intellettuale sulla cresta dell'onda, e la giovanissima attrice Anne Wiazemsky, sullo sfondo della Contestazione sessantottina.
Recensione: Michel Hazanavicius dopo il trionfo di The Artist, dopo il bellico ed impegnato The Search, torna alla regia con un biopic su Jean-Luc Godard nel periodo del 1968, subito dopo aver girato La cinese, un biopic (che in parte smonta il mito del regista francese) che parla di sentimenti e rivoluzione in tono di commedia. Infatti Il mio Godard parla al tempo stesso di sentimenti e rivoluzione. Da un lato c'è la storia d'amore tra un supposto genio e una ragazza borghese d'ottimi natali, che non può che snodarsi tra gli alti e bassi di qualunque storia d'amore, dall'altro c'è il racconto d'un cineasta che sceglie di ripudiare tutto ciò cui in cui ha creduto, non solo disconoscendo i suoi vecchi film, ma dissolvendo l'immagine di sé in un'identità collettiva. Un film insomma meno stimolante rispetto al vincitore del premio oscar nel 2011, ma che non merita di essere sottovalutato. Perché certo, il film è filtrato più dall'ottica di lei che non di lui, e questo può spiegare il ritratto particolarmente aspro che si fa del regista francese, che sicuramente ha sempre avuto un caratteraccio e lo ha dimostrato in mille occasioni lungo tutta la sua carriera, caratteraccio che qui è amplificato in negativo dall'amarezza di una donna delusa e in un certo senso tradita nel suo sogno d'amore, ma la stravaganza e la creatività (pieno di trovate evidenti) con cui viene visto ha grande fascino stilistico e non solo. Girato ricorrendo spesso ad alcuni stilemi tipici di Godard come le sovra-impressioni o gli effetti di straniamento brechtiano (comunque fantastici bisogna dirlo), il film ha un andamento piuttosto discontinuo, alternando alcune scene più interessanti come la rievocazione del Maggio sessantottino a Parigi o la fondazione del Gruppo Dziga Vertov con Jean-Pierre Gorin che avrebbe dato il via al cinema più politicizzato di Godard, ma anche scene da commedia non sempre appropriate in cui il regista appare in una chiave oltranzista che a tratti rischia di scivolare nella facile macchietta, anche in certi momenti più gravi. Restano all'attivo l'interpretazione di Louis Garrel che ci mette uno sforzo mimetico non indifferente, una confezione che si avvale di una fotografia smagliante, ma la sostanza che si stringe non è eccessiva e anche sul rapporto di coppia fra Godard e la Wiazemsky si finisce per avere una panoramica volutamente parziale, non si sa quanto affidabile o quanto dettata da un certo rancore della Wiazemsky verso il mostro sacro da sbeffeggiare in maniera non proprio corretta ed elegante. La Wiazemsky è scomparsa poco tempo, e questa può essere anche un'occasione per ricordarla o per scoprirla per chi non la conoscesse, in tal senso Stacy Martin le assomiglia abbastanza, magari è anche più bella, e ne dà un'interpretazione non memorabile ma che ne rende bene il distacco e la sfrontatezza. Tanto che a mio avviso sono loro uno dei punti di forza dell'opera, insieme anche ed inoltre ad un uso eccezionale del sonoro, una rappresentazione filologica e onesta del cineasta francese che non sfiora neanche un secondo le trappole dell'agiografia. Perché il regista appunto non è tenero con Godard, non lo è con lui né con la protagonista. Ma mentre la passività di Anne si stempera in virtù della sua beata incoscienza, il personaggio di Godard assume più i contorni del villain che dell'eroe, accecato com'è dalla sua foga auto-riflessiva. La stessa foga auto-riflessiva che il film restituisce senza freni e senza filtri e che definisce il nucleo concettuale e formale dell'opera. Un'opera nel complesso abbastanza divertente che giocando sul mito di Godard stesso offre un tipo di operazione molto vicina alla parodia, una parodia brillante, interessante ed (inutile negarlo) alquanto intrigante.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico: Nonostante le premesse impegnative (Sessantotto, rivoluzione, scomparsa della soggettività del regista) Il mio Godard però, sceglie un tono da commedia, e fa bene (almeno in parte). Del maestro mantiene i tic linguistici (non ci si poteva aspettare altro dal regista di The Artist, che per parlare del cinema muto ha fatto un film muto), e dunque ci sono i colori pop sgargianti, l'uso delle didascalie, jump cut, sguardi in macchina, cartelli sul nero, di superficie certo, anche fini a se stessi, ma di classe. Certamente, la leggerezza da commedia vuole sbertucciare la seriosità del maestro. E allora Il mio Godard smonta il mito e lo mette a nudo (letteralmente), lo mostra scorbutico e insieme adolescenziale nelle sue rabbie, a disagio mentre in mezzo agli studenti rivoluzionari farfuglia discorsi incoerenti su nazisti ed ebrei. Ed è lampante la gag reiterata della perdita degli occhiali, a segnare l'incapacità di mettere a fuoco le cose, sia rivoluzione che sentimenti (e anche il cinema). Bene ma non benissimo.
Cast: Bravissimo Louis Garrel, che regala una performance di livello. Lo fa entrando letteralmente addentro al suo personaggio, mimandone la voce strascicata in modo eccezionale, conferendo ad un personaggio osannato ma temuto, una umanità ed uno humour innato in grado di restituircelo meglio di ogni idea che finora possiamo esserci fatta sul Godard-uomo. Affianca Garrel la deliziosa Stacy Martin, molto somigliante alla sua alter ego reale, alquanto talentuosa.
Commento Finale: Bisogna certamente dare atto al regista Michel Hazanavicius di saper rischiare e sapersi prendere le proprie sane, doverose responsabilità. Le prende e firma un'opera stramba ma affascinante, controversa ma interessante. E ci riesce grazie allo stile "bolle di sapone" (nel senso gioioso del termine) della messa in scena, che alleggerisce la gravità che poteva nascere da un approccio più convenzionale. Ed è proprio così che egli vince la sua scommessa di dare una libertà godardiana all'insieme, che è il miglior modo di rendere un omaggio stravagante, tenero e caustico a un personaggio emblematico della storia del cinema.
Consigliato: Un film gradevole ma nulla di più, il minimo indispensabile per consigliarlo.
Voto: 6
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