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giovedì 31 agosto 2023

Il colibrì (2022)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2023 Qui - Non ho letto il romanzo omonimo, ma leggendo in ordine sparso si intuisce che non è materiale semplice da trasporre su schermo. Questa in sostanza è l'impressione che mi ha trasmesso questo film diretto da Francesca Archibugi. La netta sensazione di un qualcosa di incompleto e dell'ambizione di voler trasmettere tanto, ma che in realtà tramette molto meno. Pierfrancesco Favino (sempre Top) è un uomo che come un colibrì resiste ad eventi avversi e tragedie che potrebbero travolgerlo, però trova sempre, anche nelle piccole cose, una speranza per continuare ed avere una vita non come avrebbe voluto, ma abbastanza importante per essere vissuta. Una narrazione a mosaico che tra tanti flashback e flashforward creano solo confusione. E ci sono personaggi che forse avrebbero meritato più spazio vista l'importanza che hanno per il protagonista o altri ridotti a comparse come il fratello. Un film incompiuto. Voto: 5

lunedì 28 febbraio 2022

Il principe dimenticato (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/02/2022 Qui - Una sorta di metafora, divisa tra sogno e realtà, sull'essere genitore. Ma l'escamotage della dimensione parallela (alla strenua di un Inside out qualunque) avrebbe funzionato se utilizzato in maniera occasionale, cosa che non è, per cui il film (scontato e senza colpi di genio) finisce per annoiare dopo poco tempo (abbastanza grezzo il mondo fantastico). Molto tenero rimane comunque il legame padre/figlia, che inevitabilmente si fa più tenue allorché la piccola entra nella fase adolescenziale, portando lo spettatore a essere solidali con il papà messo da parte (il quale, essendo il vero bambino mai cresciuto, dovrà imparare a cavarsela da solo). In questo senso bravo il protagonista (il sempre simpatico Omar Sy), modesto (nonostante i nomi) il resto del cast. E rimane comunque un film non troppo disprezzabile, che sarebbe potuto però essere migliore, se il regista Michel Hazanavicius, quello de Il mio Godard e di tanti altri, tra cui l'ottimo The Artist (5 Oscar nel 2012, tra cui miglior film e regia), avesse giocato meglio le carte a sua disposizione. Voto: 5,5

martedì 15 febbraio 2022

L'infanzia di un capo (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/02/2022 Qui - Brady Corbet era meglio se avesse continuato a fare l'attore, non era affatto male, che come regista proprio bravo non è, e dopo la mezza delusione del suo secondo lungometraggio Vox Lux, ecco che con questa sua opera meglio non fa. Un'opera che è sia dramma sociale che famigliare, la genesi di un male che deriva dagli errori e dagli orrori di un mondo adulto. E' un film indubbiamente ambizioso, a livello visivo molto curato con una fotografia dai toni estremamente cupi e sinistri, ma che a livello di contenuti non riesce ad essere all'altezza delle proprie ambizioni diventando abbastanza pretenzioso. La miscela fra lo sfondo storico e la sfera intimista familiare mi sono parsi piuttosto scollegati, incapaci di formare un discorso unico. Una colonna sonora suggestiva, ma sinceramente fin troppo invasiva ed intollerabile ed un finale con una sequenza di regia da attacco epilettico acuto con effetti grotteschi per non dire involontariamente comici. Non comprendo alcuni (due) dei premi vinti a Venezia quell'anno. Probabilmente ho visto un altro film. Voto: 5

martedì 30 giugno 2020

Il segreto di una famiglia (2018)

Titolo Originale: La quietud
Anno e Nazione: Argentina 2018
Genere: Drammatico
Produttore: Mélita Toscan du Plantier
Axel Kuschevatzky, Pablo Trapero
Regia: Pablo Trapero
Sceneggiatura: Pablo Trapero, Alberto Rojas Apel
Cast: Martina Gusmán, Bérénice Bejo, Graciela Borges
Joaquín Furriel, Édgar Ramírez
Isidoro Tolcachir, Noemí Sayago
Durata: 115 minuti

Pablo Trapero dirige Berenice Bejo e Martina Gusman in un dramma che scava nel passato oscuro di una famiglia argentina, attraverso il rapporto viscerale che lega due sorelle.

mercoledì 31 luglio 2019

Il mio Godard (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2019 Qui
Tema e genere: Commedia drammatica biografica incentrata sul rapporto sentimentale e lavorativo tra il regista Jean-Luc Godard e l'attrice Anne Wiazemsky, e basata sulla biografia Un an après della stessa Anne Wiazemsky.
Trama: La vicenda amorosa tra Jean-Luc Godard, regista intellettuale sulla cresta dell'onda, e la giovanissima attrice Anne Wiazemsky, sullo sfondo della Contestazione sessantottina.
RecensioneMichel Hazanavicius dopo il trionfo di The Artist, dopo il bellico ed impegnato The Search, torna alla regia con un biopic su Jean-Luc Godard nel periodo del 1968, subito dopo aver girato La cinese, un biopic (che in parte smonta il mito del regista francese) che parla di sentimenti e rivoluzione in tono di commedia. Infatti Il mio Godard parla al tempo stesso di sentimenti e rivoluzione. Da un lato c'è la storia d'amore tra un supposto genio e una ragazza borghese d'ottimi natali, che non può che snodarsi tra gli alti e bassi di qualunque storia d'amore, dall'altro c'è il racconto d'un cineasta che sceglie di ripudiare tutto ciò cui in cui ha creduto, non solo disconoscendo i suoi vecchi film, ma dissolvendo l'immagine di sé in un'identità collettiva. Un film insomma meno stimolante rispetto al vincitore del premio oscar nel 2011, ma che non merita di essere sottovalutato. Perché certo, il film è filtrato più dall'ottica di lei che non di lui, e questo può spiegare il ritratto particolarmente aspro che si fa del regista francese, che sicuramente ha sempre avuto un caratteraccio e lo ha dimostrato in mille occasioni lungo tutta la sua carriera, caratteraccio che qui è amplificato in negativo dall'amarezza di una donna delusa e in un certo senso tradita nel suo sogno d'amore, ma la stravaganza e la creatività (pieno di trovate evidenti) con cui viene visto ha grande fascino stilistico e non solo. Girato ricorrendo spesso ad alcuni stilemi tipici di Godard come le sovra-impressioni o gli effetti di straniamento brechtiano (comunque fantastici bisogna dirlo), il film ha un andamento piuttosto discontinuo, alternando alcune scene più interessanti come la rievocazione del Maggio sessantottino a Parigi o la fondazione del Gruppo Dziga Vertov con Jean-Pierre Gorin che avrebbe dato il via al cinema più politicizzato di Godard, ma anche scene da commedia non sempre appropriate in cui il regista appare in una chiave oltranzista che a tratti rischia di scivolare nella facile macchietta, anche in certi momenti più gravi. Restano all'attivo l'interpretazione di Louis Garrel che ci mette uno sforzo mimetico non indifferente, una confezione che si avvale di una fotografia smagliante, ma la sostanza che si stringe non è eccessiva e anche sul rapporto di coppia fra Godard e la Wiazemsky si finisce per avere una panoramica volutamente parziale, non si sa quanto affidabile o quanto dettata da un certo rancore della Wiazemsky verso il mostro sacro da sbeffeggiare in maniera non proprio corretta ed elegante. La Wiazemsky è scomparsa poco tempo, e questa può essere anche un'occasione per ricordarla o per scoprirla per chi non la conoscesse, in tal senso Stacy Martin le assomiglia abbastanza, magari è anche più bella, e ne dà un'interpretazione non memorabile ma che ne rende bene il distacco e la sfrontatezza. Tanto che a mio avviso sono loro uno dei punti di forza dell'opera, insieme anche ed inoltre ad un uso eccezionale del sonoro, una rappresentazione filologica e onesta del cineasta francese che non sfiora neanche un secondo le trappole dell'agiografia. Perché il regista appunto non è tenero con Godard, non lo è con lui né con la protagonista. Ma mentre la passività di Anne si stempera in virtù della sua beata incoscienza, il personaggio di Godard assume più i contorni del villain che dell'eroe, accecato com'è dalla sua foga auto-riflessiva. La stessa foga auto-riflessiva che il film restituisce senza freni e senza filtri e che definisce il nucleo concettuale e formale dell'opera. Un'opera nel complesso abbastanza divertente che giocando sul mito di Godard stesso offre un tipo di operazione molto vicina alla parodia, una parodia brillante, interessante ed (inutile negarlo) alquanto intrigante.

L'incredibile viaggio del fachiro (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2019 Qui
Tema e genere: Un film picaresco su un avventuriero coraggioso alla ricerca della propria strada.
Trama: Aja è un giovane che vive di espedienti a Mumbai. Alla morte della madre decide di intraprendere un viaggio alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto. Ma qualcosa va storto e si ritrova a girovagare per l'Europa nel tentativo di raggiungere Parigi e di conseguenza l'amore.
Recensione: Tratto dal romanzo L'incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea del francese Romain Puértolas, il film del regista franco-belga-indiano Ken Scott cerca di sfruttare l'onda di altri film ambientati in india come The Millionaire o Vita di Pi. La trasposizione cinematografica può contare anche su un cast di nomi importanti, come Bérénice BejoGerard Jugnot e l'attore indiano Dhanush, molto famoso in patria. Il film vorrebbe mantenersi su un clima da racconto rocambolesco, con il povero Aja che finalmente riesce a partire dall'India per la Francia con un visto turistico per cercare un padre che non sa neanche se esista veramente. Nella tanto agognata Parigi incontra una ragazza nel famoso negozio di mobili con cui imbastisce una scenetta di vita coniugale, si ferma di nascosto per la notte addormentandosi in un armadio che però viene impacchettato e spedito in Inghilterra. Così Aja si trova a girare per l'Europa senza documenti, potendo contare solo sul suo talento di narratore e sulla benevolenza della gente che incontra. Amore, pericoli, solitudine e successo in una viaggi che tocca Gran Bretagna, Francia e Italia per poi tornare al paese d'origine, l'India. Peccato che il regista non sappia decidersi su che registro mantenersi: il film oscilla sempre tra momenti che vorrebbero essere comici (ma non troppo) o romantici (ma poco comici) in scenari (spesso visibilmente digitali) che alla fine danno un effetto straniante, un po' alla Monty Python (ma meno divertente). Troppo studiato nelle situazioni per risultare spontaneo, spesso troppo sdolcinato per essere credibile, Lo straordinario viaggio del fachiro è una simpatica favoletta senza troppe alzate d'ingegno, che vorrebbe essere edificante per aiutare a comprendere culture differenti e difendere i migranti, ma anche gli argomenti seri rimangono a un livello molto esile. Meglio godersi le scenette e i (comunque) bravi attori. Sono loro infatti a far sì che questa fiaba moderna riesca nella sua leggerezza ad emozionare (bello il messaggio del karma, inteso come destino e di come un individuo può riscattarsi grazie all'accettazione e alla fantasia con cui gioca le sue "carte") e divertire (anche se la credibilità, al contrario di Easy: Un viaggio facile facile è minore) almeno un po', anzi, di più, tanto da meritare la sufficienza.

giovedì 16 maggio 2019

Fai bei sogni (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/03/2018 Qui - Fai bei sogni (Drammatico, Italia, Francia, 2016): Tratto dall'omonimo romanzo autobiografico, questo film parla dell'elaborazione di un lutto. Massimo, il protagonista, perde la mamma a nove anni, e da quel momento in poi non sarà capace di interiorizzare la perdita, di attenuare il dolore a ricordo. Non a caso il regista (Marco Bellocchio) ci porta a conoscere Massimo, ma lo fa intimamente, dall'interno di quel dolore, attraverso gli occhi del bambino che rifiutando la morte della madre, rifiuta con questo l'esistenza compiuta del Massimo adulto. Questo per dire che c'erano tutte le premesse per realizzare un discreto lavoro, invece nonostante un testo di partenza ricco e profondo, una storia emozionante, dopo poco tempo il ritmo si sfilaccia e la noia avanza. Il film infatti, in cui i continui balzi e sbalzi temporali ed umorali non aiutano certo lo sviluppo della trama (anche perché in questo modo la sceneggiatura finisce per essere decisamente troppo dilatata specialmente nella parte iniziale e smarrisce un po' la strada), a fine visione risulta decisamente confuso e troppo pesante. Senza dimenticare che nel montaggio si affollano scene inutili e senza spessore. Didascalico, recitato in maniera imbarazzante anche da un Valerio Mastandrea raramente così poco in parte e ormai ostaggio sempre dello stesso personaggio, il film difatti, che sembra voler ricostruire pezzi di Storia (soprattutto quella italiana) attraverso il prisma della vita di Massimo, la passione per il Torino e per la squadra scomparsa nella tragedia di Superga, la serie tv Belfagor, suo amico immaginario, i primi articoli come commentatore sportivo, i reportage dai Balcani in guerra negli anni '90 e la famosa, stucchevole lettera in risposta a un lettore insofferente alla propria genitrice (interpretata con guizzo sarcastico dalla sempre strabiliante Piera Degli Esposti, uno dei tanti camei del film), non convince. Certo, c'è una grande riflessione sui problemi di crescere senza madre ma insomma la riflessione manca di nerbo e si risolve con una rivelazione finale che lo spettatore più attento poteva dedurre nel giro di una ventina di minuti. Peccato perché con un taglio diverso (più miglior utilizzo di Bérénice Bejo, qui decisamente spaesata e fuori ruolo giacché il suo personaggio risulta poco caratterizzato e quasi banale, e meno del bambino insopportabile) e una durata più congrua il materiale per realizzare una buona pellicola c'era tutto. Invece così si rimane in mezzo al guado o forse si rimane proprio impantanati. E si tratta perciò di un film decisamente anonimo (seppur non brutto), nonostante Bellocchio, che però mi aveva già deluso con Sangue del mio sangue. Voto: 5

domenica 30 dicembre 2018

The Search (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2016 Qui - The Search è un drammatico, crudo e appassionante film del 2014,  remake di Odissea tragica di Fred Zinnemann, diretto da Michel Hazanavicius (vincitore del premio Oscar per The Artist), che racconta di quattro destini che la guerra porterà a incrociarsi. Il film è infatti ambientato durante la seconda guerra cecena, nel 1999, narra l'odissea di un ragazzino, che dopo l'assassinio dei genitori, scappa dal suo villaggio e si unisce al fiume di profughi dove incontra Carole, responsabile di una missione dell'Unione Europea. Grazie al lei tornerà piano piano alla vita. Nello stesso tempo, Raissa, sua sorella maggiore, lo sta cercando senza sosta tra i profughi. Da un'altra parte, Kolia, giovane russo di 20 anni viene arruolato nell'esercito. Piano piano la guerra diventerà il suo pane quotidiano. Questo film affronta in maniera quanto mai cruda ed allo stesso tempo toccante e sensibile il tema terribile della guerra, ma si può decisamente affermare che quello che il regista vuole principalmente rappresentare ed evidenziare, nonché ovviamente condannare, è l'orrore dei conflitti bellici in generale dove  la popolazione innocente, in particolare le donne ed i bambini, nonché i giovani reclutati nei vari eserciti ed "indottrinati" a dovere quasi avessero subito una sorta di lavaggio del cervello, sono gli individui che maggiormente soffrono e ne pagano il prezzo più alto. Ed il finale, positivo ed anche di speranza, forse un poco troppo semplicistico, con cui termina il film non indebolisce o cancella affatto l' atmosfera di orrore e di devastazione che impera in tutti i paesi che sono devastati da una guerra. Il cast si avvale per lo più di svariati attori, probabilmente locali ed a noi poco conosciuti (eccezion fatta per la bella e dolce Bérénice Bejo ed Annette Bening), che però rivestono bene i propri ruoli, con una menzione particolare a al piccolo bambino di nove anni che riesce in maniera straordinariamente incisiva ed intensa ad esprimere nei propri occhi tutta la sofferenza vissuta e l'orrore a chi ha assistito inerme. Un film potente, interessante ma comunque un po' troppo lento e leggermente troppo lungo, ma probabilmente da vedere. Voto: 6+