Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/03/2018 Qui - Fai bei sogni (Drammatico, Italia, Francia, 2016): Tratto dall'omonimo romanzo autobiografico, questo film parla dell'elaborazione di un lutto. Massimo, il protagonista, perde la mamma a nove anni, e da quel momento in poi non sarà capace di interiorizzare la perdita, di attenuare il dolore a ricordo. Non a caso il regista (Marco Bellocchio) ci porta a conoscere Massimo, ma lo fa intimamente, dall'interno di quel dolore, attraverso gli occhi del bambino che rifiutando la morte della madre, rifiuta con questo l'esistenza compiuta del Massimo adulto. Questo per dire che c'erano tutte le premesse per realizzare un discreto lavoro, invece nonostante un testo di partenza ricco e profondo, una storia emozionante, dopo poco tempo il ritmo si sfilaccia e la noia avanza. Il film infatti, in cui i continui balzi e sbalzi temporali ed umorali non aiutano certo lo sviluppo della trama (anche perché in questo modo la sceneggiatura finisce per essere decisamente troppo dilatata specialmente nella parte iniziale e smarrisce un po' la strada), a fine visione risulta decisamente confuso e troppo pesante. Senza dimenticare che nel montaggio si affollano scene inutili e senza spessore. Didascalico, recitato in maniera imbarazzante anche da un Valerio Mastandrea raramente così poco in parte e ormai ostaggio sempre dello stesso personaggio, il film difatti, che sembra voler ricostruire pezzi di Storia (soprattutto quella italiana) attraverso il prisma della vita di Massimo, la passione per il Torino e per la squadra scomparsa nella tragedia di Superga, la serie tv Belfagor, suo amico immaginario, i primi articoli come commentatore sportivo, i reportage dai Balcani in guerra negli anni '90 e la famosa, stucchevole lettera in risposta a un lettore insofferente alla propria genitrice (interpretata con guizzo sarcastico dalla sempre strabiliante Piera Degli Esposti, uno dei tanti camei del film), non convince. Certo, c'è una grande riflessione sui problemi di crescere senza madre ma insomma la riflessione manca di nerbo e si risolve con una rivelazione finale che lo spettatore più attento poteva dedurre nel giro di una ventina di minuti. Peccato perché con un taglio diverso (più miglior utilizzo di Bérénice Bejo, qui decisamente spaesata e fuori ruolo giacché il suo personaggio risulta poco caratterizzato e quasi banale, e meno del bambino insopportabile) e una durata più congrua il materiale per realizzare una buona pellicola c'era tutto. Invece così si rimane in mezzo al guado o forse si rimane proprio impantanati. E si tratta perciò di un film decisamente anonimo (seppur non brutto), nonostante Bellocchio, che però mi aveva già deluso con Sangue del mio sangue. Voto: 5