Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/06/2018 Qui - Era solo questione di tempo, prima che Edgar Wright dedicasse un intero lungometraggio alla sua passione per gli inseguimenti automobilistici. Già a partire dal fulminante esordio con L'alba dei morti dementi e ancora di più con il successivo Hot Fuzz, il regista inglese aveva dimostrato una dote straordinaria nella direzione delle scene d'azione su quattro ruote: mai appunto come in queste sequenze, il celeberrimo montaggio velocissimo tipico del suo cinema (coadiuvato da virtuosistici movimenti di macchina quali panoramiche a schiaffo e zoomate) trovava un perfetto sfogo. Certo, scegliere di costruire una storia basata sulle avventure di un autista per rapine non è certo l'idea più fresca degli ultimi tempi (anche se il genere "rapinatori in fuga con inseguimento" è uno dei classici del cinema americano fin dagli anni '40, e bisogna riconoscere che funziona sempre), ma il regista ne è consapevole e costruisce attorno alla sua vicenda una trama elementare, caratterizzata da personaggi molto caratterizzati, il cui scopo è semplicemente quello di essere utili alla semplicità di fruizione. Si perché se da una parte il regista chiede allo spettatore di non formalizzarsi troppo per una narrazione non troppo precisa, dall'altra lo conquista attraverso una messa in scena potente e un ritmo inarrestabile. Tanto che l'heist movie a tempo di musica dal titolo Baby Driver: Il genio della fuga (Baby Driver), film del 2017 scritto e diretto da Edgar Wright, diverte e riesce, almeno in parte, a rinfrescare un genere in cui resta davvero poco da inventare. Anche perché sinceramente in meglio e di diverso dall'ultimo visto simile, Autobahn: Fuori controllo (che a me è sufficientemente piaciuto) c'è ben poco. Di certo migliore è la sceneggiatura, la regia e migliori nettamente sono le musiche, abbastanza in linea e simile invece il livello del cast (anche se qui di donne "gnocche" ce ne sono due), mentre abbastanza sorprendente è il fatto che non tanto migliore è la parte action, era lecito aspettarsi vedendo il trailer infatti, sequenze ancor più adrenaliniche (seppur quelle poche che ci sono eccezionali), invece no. I punti di forza di questo film difatti (che sono comunque molti) stanno altrove e la componente puramente action non è tra questi. Giacché per differenziarsi e proporre qualcosa di nuovo in un genere inflazionato, l'incipit propone un protagonista decisamente sui generis.
Si tratta appunto del giovane Baby del titolo (Ansel Elgort, già visto in Colpa delle stelle e nella serie Divergent): il ragazzo ha perso la famiglia da bambino in uno spaventoso incidente d'auto, a cui è miracolosamente sopravvissuto riportando però un grave danno all'udito che lo costringe ad ascoltare costantemente musica in cuffia per attutire un acufene permanente. Baby sviluppa un incredibile talento alla guida rubando fuoriserie, un talento che è costretto a mettere al servizio di Doc, boss della malavita (interpretato da Kevin Spacey), a cui il giovane ha rubato per errore un auto con un carico molto prezioso andato perduto: un debito che deve appunto saldare partecipando come pilota a una serie di rapine. Tra una banca e l'altra, Baby incrocia in un diner lo sguardo di Debora (Lily James), cameriera con cui scocca immediatamente il colpo di fulmine e insieme a cui fantastica di un futuro migliore e lontano dai guai. A Baby manca solo un ultimo colpo per porre fine alla sua carriera criminale forzata e chiudere per sempre col passato, ma ovviamente qualcosa non va per il verso giusto. Per il verso giusto va invece il film, un film dove il cuore pulsante sta senza dubbio nella sua ammiccante ed elettrizzante colonna sonora, vera protagonista, insieme a Baby e ai suoi auricolari, dell'intera pellicola, e che mette insieme Jon Spencer Blues Explosion, Beck, Queen, Beach Boys, Simon & Garfunkel, Blur, Barry White, T.Rex e Commodores. Una colonna sonora (che dovrebbe sentire solo il protagonista nei suoi auricolari come sollievo al tinnito) e che invece aggiunge profondità al personaggio originale di un ragazzo cortese e dal carattere amabile (siamo lontani anni luce dal Ryan Gosling di Drive, se vi viene in mente il paragone con un altro autista di rapine).
Egli infatti, sfruttato per il proprio talento, quasi imprigionato da una società (criminale) il cui unico scopo è quello di arricchirsi costantemente, ascolta la propria musica e vive ogni rapina e ogni inseguimento in modo distaccato, nella bolla che si è accuratamente creato, perché non vuole rimanerne coinvolto, non vuole rinunciare all'amore (per lui la musica rappresenta l'unica vera alternativa ad una realtà altrimenti insostenibile). Gli altri non lo capiscono, sono quasi irritati dal suo atteggiamento, dalla sua (apparente) mancanza di emotività. Non a caso Edgar Wright il suo protagonista, lo presenta che sta ballando in macchina: i restanti membri della banda stanno effettuando una rapina, mentre lui ascolta musica a tutto volume e danza seduto al posto di guida. Di quello che sta succedendo in quella banca, a Baby, importa poco o nulla, ed Edgar Wright sottolinea chiaramente che, anche allo spettatore, di ciò che succede in quella banca, deve importare poco o nulla. Ed è per questo che il regista adatta la propria regia non tanto al punto di vista del giovane protagonista quanto al suo "punto d'ascolto": le immagini, il montaggio e le coreografie sono infatti completamente al servizio delle canzoni che escono dalle cuffie di Baby, le pistole e le esplosioni "suonano" come strumenti musicali mentre le automobili sterzano e derapano a pieno ritmo, trasportando in questo senso lo spettatore all'interno di una visione del mondo distorta, elettrizzante e travolgente. Perseguendo quest'idea, il regista mischia le carte dei generi, fondendo l'adrenalina dei film tutti sparatorie e inseguimenti con l'astrazione immediata, sincera e romantica del musical, traslando (in maniera simile all'operazione messa in piedi da Damien Chazelle con La La Land, in tal senso basta anche confrontare il piano sequenza nei titoli di testa con quelli, eccessivamente numerosi, di quest'ultimo per accorgersene) la fantasia disincantata del cinema musicale verso un'insolita accezione realistica, appartenente in questo caso al genere action.
Perché Baby Driver, pur non essendo un musical, su una colonna sonora tagliata in modo sartoriale inserisce una coreografia (in cui spicca la maestria e il genio di Edgar Wright, emerso grazie a quella che viene chiamata la "Trilogia del Cornetto": L'alba dei morti dementi, Hot Fuzz e La fine del mondo) i cui balletti sono dati dalle vertiginose sequenze di inseguimenti in auto, dove sterzate improvvise, drift, derapate, frenate e accelerazioni costituiscono tutti gli elementi di un vero e proprio spettacolo. Perché anche se la parte action non fa gridare al miracolo per spettacolarità, è altrettanto vero che il montaggio sonoro e visivo di ogni scena, spezzato dalle note tra battere e levare con una precisione ai limiti del click del metronomo, è senza dubbio l'elemento più sorprendente, divertente e quello più spettacolare. Tanto che, ogni volta che accompagniamo il giovane Ansel Elgort sulla sua vettura possiamo star tranquilli che ci divertiremo, all'insegna di una fase della pellicola molto coinvolgente, ma anche molto più ordinata di un Fast And Furious qualsiasi. A tal proposito Baby Driver presenta diversi punti in comune anche con Guardiani della galassia vol. 2 di James Gunn, con quest'ultimo infatti condivide il tono ironico della narrazione, la gestione enfatica di una colonna sonora nostalgicamente rétro e, soprattutto, l'assimilazione di un immaginario (e dunque di un cinema) ormai perduto (gli anni '80 e la fantascienza per Gunn, l'heist movie e l'action anni '70 per Wright). Tuttavia per questo il film gioca fin troppo con i modelli e le citazioni, in un loop visivo e narrativo che, pur intrattenendo sempre con efficacia, in più di un caso diventa autoreferenziale, cinefilia popolare di maniera. Inoltre tutto il senso del divertimento ha una battuta d'arresto nelle fasi conclusive, dove la razionalizzazione degli eventi narrati confluisce in un finale che ha poco mordente.
Perché certo, questo non è quel tipo di film in cui il personaggio principale resta pulito fino alla fine, senza oltrepassare un certo limite, dopotutto Baby ne passa di tutti i colori, si mette ne guai, ne esce e alla fine ne paga le conseguenze (e in verità è giusto così), ma ci si aspettava di più. Non dimenticando che seppur impossibile è negare la bellezza della love story del protagonista (perfetta l'alchimia tra la splendida Lily James, già abbondantemente ammirata in L'amore oltre la guerra, e Ansel Elgort) e sebbene comunque il loro rapporto sia solo uno dei tanti punti forti del film, ho trovato un po' forzata e affrettata la loro storia d'amore, giacché passano da zero a cento in davvero troppo poco tempo. Ma, e fortunatamente, questi sono difetti di fronte ai quali comunque si chiude volentieri un occhio, poiché Baby Driver, nonostante un intreccio tutto sommato canonico e privo di particolari guizzi e nonostante le sue lungaggini e le sue leggere cadute, è intrattenimento genuino che, pur forse non raggiungendo i fasti delle prime due opere del regista, nel suo incedere altalenante e schizofrenico cela un'anima incredibilmente dolce e sensibile. E fornisce la prova, l'ennesima, di un talento che, ancora, deve mostrarci pienamente cosa è in grado di offrire. Ma nel frattempo che ciò avvenga, concentriamoci su e in questo film, dove il regista è anche bravo nel non rendere i dialoghi (pochi ma buoni) quasi mai banali. Altresì sfrutta in maniera discreta, non solo la forza (soprattutto visiva) di ogni singola scena d'azione, ma anche la divertente caratterizzazione dei criminali. Attori fortemente riconoscibili come Kevin Spacey (boss criminale glaciale, pericoloso e vendicativo ma pure dotato di una pungente ironia), Jon Bernthal, Jon Hamm, Eiza Gonzalez (spettacolarmente gnocca) e Jamie Foxx infatti, sono utili ad aumentare l'effetto cool che Edgar Wright vuole ottenere dalla sua opera, anche se portano in scena personaggi non certo indimenticabili.
Quest'ultimi difatti sono invischiati in personalità al limite dello stereotipo e incastrate in una sceneggiatura che non lascia molto spazio a colpi di scena degni di nota. Tuttavia degno di nota è appunto il film, giacché Baby Driver è un film che riesce, proprio perché raggiunge l'obbiettivo che si pone. Vuole divertirci per le due orette che ci chiede, senza inutili complicazioni. Un film d'azione vecchio stile senza troppi moralismi, crudo quando serve, frizzante per buona parte della sua durata e eccessivo solo se ne ha la necessità. Un musical 2.0 che il regista confeziona scegliendo le note blues-rock come chiave per scandire e raccontare la storia di riscatto di un personaggio protagonista piuttosto sui generis. Ma la sua arma migliore, oltre alla scelta di brani azzeccatissimi, è un montaggio dalla precisione chirurgica, capace di garantire un ottimo ritmo all'azione e di divertire lo spettatore nonostante un susseguirsi degli eventi piuttosto telefonato. In tal senso si poteva fare meglio, ma ce lo facciamo andare bene ugualmente, perché seppur in verità mi aspettavo di più, giacché un non completo appagamento e una prevedibilità in alcune situazioni, oltre ad alcuni difetti precedentemente detti, non riescono a far elevare la pellicola come avrei voluto, Baby Driver, che merita certamente un posto tra i grandi film di genere, è un film che merita di essere visto. Perché questo spettacolo godibile, nel quale chiunque può trovare particolari che lo faranno ridere, saltare sulla poltrona o semplicemente stupire, è davvero un gran bel film. E a Edgar Wright, autore di film particolari (Scott Pilgrim vs. the World tra tutti), il merito di aver fatto un altro film che chi ha visto non dimenticherà facilmente. Voto: 7,5
Perché Baby Driver, pur non essendo un musical, su una colonna sonora tagliata in modo sartoriale inserisce una coreografia (in cui spicca la maestria e il genio di Edgar Wright, emerso grazie a quella che viene chiamata la "Trilogia del Cornetto": L'alba dei morti dementi, Hot Fuzz e La fine del mondo) i cui balletti sono dati dalle vertiginose sequenze di inseguimenti in auto, dove sterzate improvvise, drift, derapate, frenate e accelerazioni costituiscono tutti gli elementi di un vero e proprio spettacolo. Perché anche se la parte action non fa gridare al miracolo per spettacolarità, è altrettanto vero che il montaggio sonoro e visivo di ogni scena, spezzato dalle note tra battere e levare con una precisione ai limiti del click del metronomo, è senza dubbio l'elemento più sorprendente, divertente e quello più spettacolare. Tanto che, ogni volta che accompagniamo il giovane Ansel Elgort sulla sua vettura possiamo star tranquilli che ci divertiremo, all'insegna di una fase della pellicola molto coinvolgente, ma anche molto più ordinata di un Fast And Furious qualsiasi. A tal proposito Baby Driver presenta diversi punti in comune anche con Guardiani della galassia vol. 2 di James Gunn, con quest'ultimo infatti condivide il tono ironico della narrazione, la gestione enfatica di una colonna sonora nostalgicamente rétro e, soprattutto, l'assimilazione di un immaginario (e dunque di un cinema) ormai perduto (gli anni '80 e la fantascienza per Gunn, l'heist movie e l'action anni '70 per Wright). Tuttavia per questo il film gioca fin troppo con i modelli e le citazioni, in un loop visivo e narrativo che, pur intrattenendo sempre con efficacia, in più di un caso diventa autoreferenziale, cinefilia popolare di maniera. Inoltre tutto il senso del divertimento ha una battuta d'arresto nelle fasi conclusive, dove la razionalizzazione degli eventi narrati confluisce in un finale che ha poco mordente.
Perché certo, questo non è quel tipo di film in cui il personaggio principale resta pulito fino alla fine, senza oltrepassare un certo limite, dopotutto Baby ne passa di tutti i colori, si mette ne guai, ne esce e alla fine ne paga le conseguenze (e in verità è giusto così), ma ci si aspettava di più. Non dimenticando che seppur impossibile è negare la bellezza della love story del protagonista (perfetta l'alchimia tra la splendida Lily James, già abbondantemente ammirata in L'amore oltre la guerra, e Ansel Elgort) e sebbene comunque il loro rapporto sia solo uno dei tanti punti forti del film, ho trovato un po' forzata e affrettata la loro storia d'amore, giacché passano da zero a cento in davvero troppo poco tempo. Ma, e fortunatamente, questi sono difetti di fronte ai quali comunque si chiude volentieri un occhio, poiché Baby Driver, nonostante un intreccio tutto sommato canonico e privo di particolari guizzi e nonostante le sue lungaggini e le sue leggere cadute, è intrattenimento genuino che, pur forse non raggiungendo i fasti delle prime due opere del regista, nel suo incedere altalenante e schizofrenico cela un'anima incredibilmente dolce e sensibile. E fornisce la prova, l'ennesima, di un talento che, ancora, deve mostrarci pienamente cosa è in grado di offrire. Ma nel frattempo che ciò avvenga, concentriamoci su e in questo film, dove il regista è anche bravo nel non rendere i dialoghi (pochi ma buoni) quasi mai banali. Altresì sfrutta in maniera discreta, non solo la forza (soprattutto visiva) di ogni singola scena d'azione, ma anche la divertente caratterizzazione dei criminali. Attori fortemente riconoscibili come Kevin Spacey (boss criminale glaciale, pericoloso e vendicativo ma pure dotato di una pungente ironia), Jon Bernthal, Jon Hamm, Eiza Gonzalez (spettacolarmente gnocca) e Jamie Foxx infatti, sono utili ad aumentare l'effetto cool che Edgar Wright vuole ottenere dalla sua opera, anche se portano in scena personaggi non certo indimenticabili.
Quest'ultimi difatti sono invischiati in personalità al limite dello stereotipo e incastrate in una sceneggiatura che non lascia molto spazio a colpi di scena degni di nota. Tuttavia degno di nota è appunto il film, giacché Baby Driver è un film che riesce, proprio perché raggiunge l'obbiettivo che si pone. Vuole divertirci per le due orette che ci chiede, senza inutili complicazioni. Un film d'azione vecchio stile senza troppi moralismi, crudo quando serve, frizzante per buona parte della sua durata e eccessivo solo se ne ha la necessità. Un musical 2.0 che il regista confeziona scegliendo le note blues-rock come chiave per scandire e raccontare la storia di riscatto di un personaggio protagonista piuttosto sui generis. Ma la sua arma migliore, oltre alla scelta di brani azzeccatissimi, è un montaggio dalla precisione chirurgica, capace di garantire un ottimo ritmo all'azione e di divertire lo spettatore nonostante un susseguirsi degli eventi piuttosto telefonato. In tal senso si poteva fare meglio, ma ce lo facciamo andare bene ugualmente, perché seppur in verità mi aspettavo di più, giacché un non completo appagamento e una prevedibilità in alcune situazioni, oltre ad alcuni difetti precedentemente detti, non riescono a far elevare la pellicola come avrei voluto, Baby Driver, che merita certamente un posto tra i grandi film di genere, è un film che merita di essere visto. Perché questo spettacolo godibile, nel quale chiunque può trovare particolari che lo faranno ridere, saltare sulla poltrona o semplicemente stupire, è davvero un gran bel film. E a Edgar Wright, autore di film particolari (Scott Pilgrim vs. the World tra tutti), il merito di aver fatto un altro film che chi ha visto non dimenticherà facilmente. Voto: 7,5